TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 14 novembre 2020

Bordiga sconosciuto (1926-1944) 6. La svolta del 1928 e il socialfascismo

 


Giorgio Amico

6. La svolta del 1928 e il socialfascismo

Dunque Bordiga non cede alle richieste pressanti della moglie e del padre e non si sottomette, anche se la sua situazione politica è oggettivamente mutata e il suo isolamento, come ha notato il padre, crescente. Tra il 1927 e il 1928 la situazione del movimento comunista mondiale è profondamente mutata a partire dal partito russo. Alla fine del 1927 Trotsky e Zinov'ev, fino a poco prima presidente del Comintern, sono espulsi dal partito. Nel gennaio dell'anno successivo Lev Trotsky, il leggendario capo dell'Armata Rossa e principale avversario di Stalin, è esiliato ad Alma Ata per poi essere un anno più tardi addirittura espulso dall'Unione Sovietica. A luglio è la volta di Bucharin, principale esponente della “destra” del partito a cadere in disgrazia. Insomma, dal 1927 Stalin domina incontrastato sul partito russo e sull'Internazionale. Inizia quello che poi sarà chiamato lo “stalinismo”, che non è solo la politica della “costruzione del socialismo in un solo paese”, ma un modo di intendere la vita interna dei partiti comunisti. In URSS la repressione, che fino ad allora era rivolta soprattutto ai dissidenti esterni, ora inizia a colpire i membri del partito. Con il trionfo di Stalin si iniziano a fucilare anche i comunisti, soprattutto membri della vecchia guardia bolscevica. Di conseguenza il clima cambia radicalmente anche nei partiti comunisti, a partire da quello italiano. Il dissenso non è più tollerato, gli oppositori di destra o di sinistra sono considerati nemici, agenti della borghesia, assimilati a Trotsky, diventato ormai il male assoluto, ed espulsi. Anche il Pcd'I si adegua, serrando i ranghi e inasprendo la lotta interna contro quelli che presto verranno definiti trotsko-bordighisti. Togliatti, fino ad allora, vicino alle posizioni di Bucharin, diventa il più solerte esecutore della nuova linea staliniana. L'epurazione colpisce a sinistra, uno dopo l'altro vengono emarginati e poi espulsi i seguaci di Bordiga, mentre a destra, nel 1929, viene cacciato Angelo Tasca. Gramsci dal carcere manda segnali di dissenso, il risultato sarà l'isolamento totale e una espulsione di fatto. Nonostante l'uso propagandistico che si fa della sua carcerazione, l'ex capo del partito viene abbandonato da Togliatti al suo destino.

Nell'estate 1928 si tiene a Mosca il sesto congresso mondiale dell'Internazionale comunista che inaugura la fase cosiddetta del “terzo periodo”. Per Stalin, che in Russia sta iniziando la collettivizzazione forzata delle campagne e la liquidazione anche fisica della piccola proprietà contadina, i cosiddetti kulaki, la fase di stabilizzazione capitalistica del dopoguerra è finita e si è aperto un nuovo periodo favorevole alla rivoluzione. Di conseguenza i partiti comunisti devono intensificare la loro opposizione ai governi borghesi e combattere a fondo la socialdemocrazia, assimilata ormai al fascismo e considerata il principale ostacolo sulla via della rivoluzione. È la teoria del socialfascismo che crea lacerazioni anche nel partito italiano. Dal carcere Gramsci e Terracini manifestano il loro aperto dissenso nei confronti di una linea che divide ulteriormente il movimento operaio e rende, se possibile, ancora più ardua la lotta al fascismo. Diversa la posizione di Bordiga, il quale, anche se molto critico verso la politica di Stalin e del Partito russo, non vede con sfavore la svolta che anzi lo conferma nell'idea, già manifestata nella lettera del 1926 a Karl Korsch, che occorra restare ad ogni costo nel partito perché il tempo lavora per i rivoluzionari e la battaglia non è ancora definitivamente perduta. Era d'altronde quello che Amadeo aveva scritto nel luglio 1926 ad un gruppo di compagni all'estero che insistevano per una rottura netta con il Comintern:

“È ancora possibile rettificare la linea dell'Internazionale attuale, o almeno questo appare difficile sì, ma non impossibile. Sebbene noi aneliamo ad un partito mondiale la cui sicurezza contro le deviazioni non oscilli col mutare delle situazioni, dobbiamo pur attendere per vedere come reagirà sul comintern, così come è oggi, il radicalizzarsi […] della congiuntura. Dovremo sì diffidare degli uomini che saranno resi sinistri dal sinistreggiare della situazione, ma non possiamo pur non «far credito» in questo senso ai nostri partiti”. [1]

Nonostante gli storici di matrice bordighista, come Peregalli e Saggioro, lo neghino fermamente [2], considerate le posizioni di durissima avversione al PSI che Bordiga aveva tenuto dopo il 1921 e la sua convinzione ripetutamente espressa che fascismo e socialdemocrazia fossero facce diverse della stessa medaglia capitalistica, non è poi così strano che egli, pur mantenendo per intero le sue critiche a Stalin e alla politica del Comintern, guardasse con interesse alla svolta. Una tesi che trova conferma in uno scritto dello stesso Bordiga dell'inizio del 1945, pubblicato poi nel 1947 sulla rivista del Partito comunista internazionalista:

“Vero è che, dal 1928 al 1934, si è verificata una fase in cui il Comintern ha ridato la parola della autonomia di posizioni e della lotta indipendente, rivolgendo di nuovo ed improvvisamente il fronte polemico e di opposizione contro le correnti borghesi di sinistra e quelle social-democratiche. Ma questa brusca svolta tattica non è valsa che a produrre nei partiti comunisti il più assoluto disorientamento, e non ha offerto alcun successo storico nel debellamento sia di contro-offensive fasciste che di azioni solidali della coalizione borghese contro il proletariato. La causa di questi insuccessi deve farsi risalire al fatto che le successive parole tattiche sono piovute sui partiti e in mezzo ai loro inquadramenti col carattere di improvvise sorprese e senza alcuna preparazione della organizzazione comunista alle varie eventualità”. [3]

Ancora più netto Bordiga è nell'ultima intervista rilasciata prima di morire, quella già citata a Edek Osser nel giugno 1970, in cui rivendica la primogenitura della tesi del socialfascismo:

“Il VI Congresso mondiale comunista si tenne a Mosca nel 1928 ed io non vi partecipai. Seppi nel seguito che, per volere di Stalin, si era adottata una nuova tattica politica, che fu detta del social-fascismo, nella quale si proclamavano avversari di Mosca e del comunismo tanto i partiti fascisti che quelli socialdemocratici, e quindi si condannava l'opposta tattica di fare fronte unito con i socialisti contro il fascismo. Più tardi, nella stampa comunista ufficiale (e dopo la nota espulsione dei tre dissidenti italiani: Leonetti, Tresso e Ravazzoli) si è ammesso in polemiche retrospettive che quella tattica era stata da tempo anticipata dalla sinistra del comunismo italiano. Ed infatti, in un mio articolo del 1921 si trovano le parole: "Fascisti e socialdemocratici non sono che due aspetti dello stesso nemico di domani".[4]

Una tesi confermata anche da una testimonianza di Alfonso Leonetti, secondo il quale Bordiga riferendosi alla “svolta” avrebbe affermato non senza un certo compiacimento che “il partito sta tornando a me”. [5]

Questo atteggiamento di Bordiga non modifica tuttavia in alcun modo la sua condizione di oppositore, guardato ormai con sospetto dai comunisti ortodossi anche nell'ambiente confinario. Nel 1928 un primo rapporto alla segreteria comunista denuncia l'opera «frazionistica» che egli continuerebbe a svolgere tra i 200 comunisti deportati nell'isola. Come scrive Spriano “Si tratta di una lettera, registrata il 23 marzo 1928, a firma di Massini, Berti e Menotti, da Ustica. Vi si dice che «fino a che erano qui i compagni Gramsci e Maffi il compagno Bordiga ha tenuto un contegno che permetteva, in un certo qual modo, una pacifica convivenza», ma che, con la partenza di costoro, Bordiga non ha più avuto freno nell'«opera frazionistica e di denigrazione dei dirigenti». [6]

Il problema è che oltre alla “svolta” a dividere il partito c'è anche la “questione Trotsky” e su di questa, come vedremo, la rottura sarà insanabile.

Note

1. Amadeo Bordiga, Lettere a Bruno Bibbi, Piero Corradi, Eugenio Moruzzo, Michelangelo Pappalardi e Lodovico Rossi, Quaderni Pietro Tresso, n. 14, novembre 1998.

2. A. Peregalli-S. Saggioro, Amadeo Bordiga..., cit., p. 187.

3. A. Bordiga, Natura, funzione e tattica del partito rivoluzionario della classe operaia, Prometeo, n.7, maggio-giugno 1947, pp. 301-311.

4. Edek Osser, Una intervista ad Amadeo Bordiga, Storia contemporanea, n. 3, settembre 1973.

5. Testimonianza di Alfonso Leonetti, in Gramsci e i tre, Rinascita sarda, n. 21, 15-30 novembre 1966.

6. P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, cit., p. 182n.


6. Continua