TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


lunedì 23 novembre 2020

Bordiga sconosciuto (1926-1944). 13. Amadeo Bordiga. Vita privata di un comunista eretico

 


Giorgio Amico

13. Amadeo Bordiga. Vita privata di un comunista eretico


Dunque a partire dal 1930 Bordiga si ritira a vita privata e non si occupa più di politica, perlomeno a livello di impegno attivo. Anche negli anni del dopoguerra, quando prima collaborerà con il Partito comunista internazionalista di Damen e poi nel 1952, con Perrone e Maffi, costruirà un suo partitino, il Partito comunista internazionale, egli farà il massimo sforzo per mantenere l'anonimato e restare nell'ombra, tanto che al momento della sua morte, nel 1970, su «L'Ingegnere Libero Professionista», «organo ufficiale del Sindacato Nazionale Ingegneri Liberi Professionisti Italiani», sindacato di categoria, fondato nel 1950 grazie soprattutto all'impegno di Bordiga, apparve un necrologio che mostra come anche i suoi più stretti colleghi ne ignorassero del tutto l'impegno di teorico marxista. Per loro Bordiga si era definitivamente ritirato dalla politica nel 1930, anche se ogni tanto amava rievocare in maniera scherzosa, come si fa con i ricordi di gioventù, quel suo antico passato:

“Ritiratosi dalla politica si dedicò con fortuna alla libera professione con tutte le forze del suo ingegno e della sua tenacia. […] Spesso ci riferiva lepidi episodi dei suoi trascorsi politici con sorridente bonomia, e ci parlava sovente dei suoi vecchi compagni di partito. Anche di quelli che poi divennero suoi nemici e che lo espulsero dal partito stesso”. [1]

Il che ricorda molto da vicino la storia di Robert Barcia, importante industriale farmaceutico parigino, morto nel 2009, che i suoi colleghi della Confindustria francese conoscevano come un uomo di grande simpatia e dalle spiccate simpatie golliste, fin quando in seguito ad un inchiesta giornalistica dei primi anni 2000 si scoperse che, con il nome di battaglia di “Hardy”, egli era in realtà il fondatore e capo incontrastato di Lutte ouvrière, la principale organizzazione trotskista.

Il necrologio fa giustizia anche del mito, creatosi dopo la sua morte soprattutto in base ad alcune dichiarazioni della seconda moglie, Antonietta De Meo sorella di Ortensia e sposata nel 1965 a dieci anni della scomparsa di questa [2], di un Bordiga “vivente ai limiti della povertà”[3], quasi ridotto alla fame a causa della persecuzione del regime. In realtà, come risulta da numerose testimonianze negli anni Trenta, nonostante la radiazione dall'albo, egli riuscì comunque a esercitare la sua professione con un discreto successo e ad assicurare alla sua famiglia una vita sufficientemente agiata da permettere ai due figli Oreste e Alma di frequentare l'università e di laurearsi rispettivamente in Lettere e Medicina. Obiettivo irraggiungibile all'epoca, ma ancora almeno fino alla metà degli anni sessanta e alla prosperità causata dal boom economico, per la quasi totalità delle famiglie operaie e della piccola borghesia. Un compagno di studi del figlio, diventato poi nel dopoguerra giornalista, allora frequentatore assiduo della casa di Bordiga ci offre un quadro tutto sommato rassicurante della vita quotidiana dell'ex dirigente comunista, che smentisce i toni drammatici usati da una certa storiografia di tendenza bordighiana che tende invece a mettere in risalto “le ristrettezze economiche, il controllo costante della polizia, le calunnie degli ex compagni, la difficoltà nel trovare commesse lavorative” [4]:

“ Tornato da Ponza, [...] si era reinserito nella sua professione di ingegnere edile, che aveva esercitato in passato saltuariamente ma con straordinaria bravura. Dirigeva in quei giorni i lavori di costruzione, o di ripristino, di un grosso fabbricato, mi pare una banca o qualcosa di simile, ed era, immagino, sottoposto alla stretta vigilanza dell'OVRA, ma con una apparente discrezione, perché chi frequentava la sua casa come il ristrettissimo gruppo dei compagni di università del figlio Oreste, non avvertiva il minimo segno di disagio. Era un Bordiga domestico, esteriormente tranquillo, che continuava a dedicare alle questioni politiche molte ore di lettura e di studio, ma che alternava queste occupazioni vocazionali, e quelle professionali, con momenti di svago di una semplicità e di un candore estremo. […] Seguiva occasionalmente gli studi di Oreste, che intendeva specializzarsi in glottologia […]. Del periodo trascorso a Ponza in confino, e che Oreste rammentava confusamente per la quotidiana familiarità con altri confinati illustri (Nenni fra gli altri) Bordiga non parlava mai, anche perché noi ragazzi che frequentavamo la casa, per l'età e l'obiettiva disinformazione, non sapevamo molto né del secondo congresso tenuto dal partito comunista a Roma nel 1922, né del terzo congresso clandestino del '26 a Lione, che segnò di fatto l'allontanamento definitivo di Bordiga dalle posizioni di comando”. [5]

Il quadro, tutto sommato, di una tranquilla normalità borghese, confermato da Ermanno Rea nel suo bellissimo romanzo/documento Mistero napoletano:

“Naturalmente poi c'erano le donne, e non soltanto Noa-Noa, ma Lidia Sepe, Silvia Rega e tante altre che erano dentro o accanto alla compagnia del «Teatro Sperimentale » dell'università di Napoli, accanto a lui oppure dentro di lui, amicizie o amori poco importa. E c'era Alma Bordiga, che studiava medicina a sua volta e che di tanto in tanto invitava Renzo, ma in qualche caso anche Galdo [6], a mangiare a casa sua, accanto al suo genitore monumento. Allora né Renzo né Galdo sapevano con precisione chi fosse Amadeo Bordiga, sicché una sera in cui il padre di Alma raccontò, con l'aria più naturale del mondo, di aver avuto una volta, un bel po' d'anni prima, un'aspra discussione con Lenin su una certa questione, i due giovani si guardarono sbalorditi negli occhi. Sbalorditi, ma incapaci di chiedere maggiori lumi (dell'amicizia con Alma, Renzo sarà chiamato poi, dopo la liberazione di Napoli, a rendere duramente conto al partito...)”. [7]

Richiamo forse dovute alle posizioni politiche manifestate pubblicamente da Alma. Bordiga non si era in nessun modo opposto alla partecipazione dei figli alle attività delle organizzazioni giovanili del regime e non solo per compiacere la moglie sempre più afflitta dai suoi disturbi nervosi, ma soprattutto per la sua scelta di “adattarsi” a convivere con il fascismo. È lui stesso a dichiararlo ad un amico, Angelo Alliotta, vecchio militante socialista diventato poi facoltoso direttore della Banca Salernitana, di cui si fida ciecamente.

“Di tutto ciò non mi importa proprio nulla. Tu sai come la penso in proposito...Ti dissi che bisogna che noi ci abituiamo a considerare la iscrizione dei nostri figli alle organizzazioni Fasciste come un atto necessario, ma di ordinaria amministrazione... Che forse quando ci nasce un bambino non ci affrettiamo ad iscriverlo sui registri dello Stato civile? Mutatis mutandis la cosa è la stessa. Ma oggi sono anche più convinto di allora che così va fatto, io ho rotti tutti i miei rapporti con chicchessia; tu sei se non il solo, uno dei pochissimi antichi compagni con i quali mantengo ancora delle relazioni. Non vi è più nulla di comune fra me e gli antichi professionisti della politica”. [8]

Peccato che invece, come l'avvocato Cassinelli, l'Alliotta si fosse messo al servizio del regime come informatore per l'OVRA con il compito prioritario di trasmettere alla polizia politica le confidenze di Bordiga.

Dunque, coerentemente con l'impostazione del padre per il quale fascismo e antifascismo sostanzialmente si equivalgono, Alma non trova in famiglia alcuna barriera alla propaganda del regime. Donna di spiccata intelligenza, non stupisce quindi trovarla addirittura vincitrice dei littoriali femminili anche se con una tesi elogiativa delle leggi razziali, e autrice di saggi in cui si esalta la politica di “epurazione biologica” del regime hitleriano. « La politica razziale – scrive - dei due paesi parte dalla stessa esigenza di epurazione biologica e spirituale, e la frequenza ed intensità degli scambi culturali ribadisce la vitalità dell’Asse anche in questo campo».[9]

Alma sarà anche causa involontaria nel 1935 di una campagna di calunnie degli stalinisti, iniziata con la pubblicazione a Parigi dell'articolo «I bordighiani sono caduti nella vergogna et nel crimine. A. Bordiga tra i militi e i preti» di cui riprendiamo le parti più significative:

“Il «Popolo di Roma» del 2 agosto 1935, sotto il titolo: «Nozze al campo», pubblicava la seguente notizia: «Al campo della 180ª Legione delle Camicie Nere si è svolta, semplice e, ad un tempo solenne, la cerimonia delle nozze del capo manipolo avv. Alessandro Caroglio di Varese, con la signorina Emma De Meo, insegnante nelle nostre scuole e capo centuria dell'Opera Balilla. La manifestazione resterà indimenticabile per quanti vi hanno assistito. Alle ore 8, tutto era predisposto per la messa al campo. […] Testimoni per la sposa, il cognato ing. Amedeo Bordiga ed il pro, dott. Giuseppe Cusumano» […] Ci pare che ogni operaio ed ogni antifascista non possa far altro che sputare sulla faccia di questo rinnegato ing. Amadeo Bordiga, che un giorno pretese, nientemeno, di insegnare ai comunisti come si lotta per la liberazione del proletariato”. [10]

In una successiva pubblicazione, addirittura del dopoguerra, l'episodio veniva ripreso, retrodatandolo al 1932 e non parlando più di una cognata ma addirittura della figlia Alma. Bordiga se ne risentì moltissimo, tanto da lamentarsene con il giornalista de l'Unità Massimo Caprara, incontrato nel 1962 a Napoli ai margini di una riunione del Consiglio comunale a cui partecipava come consulente in merito alla discussione del nuovo piano regolatore della città. Scrive Caprara:

“Mi diede un appuntamento per l'indomani. Vi andai con qualche emozione, poiché era pur sempre un incontro che Roma non avrebbe approvato. Lo incontrai da Caflisch a Piazza Dante. Portò una borsa di pelle dalla quale trasse con cautela una foto non sgualcita, conservata con cura, che io avevo già visto circolare fra i militanti più fidati. La riguardai: una coppia di freschi sposi  (lei in abito bianco di tulle e lui in marsina) passa, nella foto, sotto una guardia d'onore formata dai pugnali sguainati dei Moschettieri del Duce in divisa nera con borchie dorate e teschi sulle mostrine. Negli anni '30 era un onore riservato solo ai fedelissimi del fascismo. «Questa è mia figlia. Non si è mai sposata», commentò Bordiga. «E' uno sporco fotomontaggio con il quale il partito ha cercato di denigrarmi presso i miei compagni. Togliatti ne sa qualcosa». [11] 

In realtà Bordiga ricordava male, intanto la figlia non solo si era sposata nel 1946, ma era addirittura diventata madre di quattro figli, ma soprattutto il fatto, per quanto deformato a fini propagandistici, era vero e si era svolto esattamente come l'Unità ne aveva parlato nel 1935. In realtà in una conversazione con la spia Alliotta Bordiga stesso aveva ammesso la veridicità dell'accaduto, pur minimizzandone la portata:

“A Parigi stamparono che ero ufficialmente – ufficialmente perché, poi, nel caso mio? - alla celebrazione delle nozze di un ufficiale della Milizia, mescolandomi con i fascisti presenti, toccando il bicchiere con essi, ecc. ecc. […] senza tener conto che io ero intervenuto alla cerimonia per il semplice fatto che la sposa era la più giovane delle sorelle di mia moglie, che io ho cresciuta come figlia”. [12]

Ancora una volta l'ingenuità di Bordiga ci colpisce. Possibile che egli non si rendesse conto di non essere un cittadino qualunque, ma il fondatore e di fatto fino al 1923 il primo segretario del Partito comunista e che dunque la sua partecipazione, addirittura nel ruolo di testimone della sposa, ad una cerimonia della Milizia assumeva un significato implicito di riconoscimento della legittimità del regime, o se si vuole, ma la cosa non cambia, di adattamento allo stato di cose esistente, su cui il fascismo avrebbe battuto la grancassa per ricavarne il massimo effetto propagandistico? Un comportamento davvero sconcertante al pari delle dichiarazioni sulla politica del regime fatte ad amici ritenuti fidati, ma in realtà informatori dell'OVRA. Ma di questo parleremo nel prossimo articolo.

Note

1. Amadeo Bordiga, L'Ingegnere libero professionista, n. 8, agosto 1970.

2. Bruno Miserendino, Chiedo più rispetto per Amadeo, L'Unità, 24 luglio 1990.

3. Philippe Bourrinet, Un siècle de Gauche communiste «italienne» (1915-2015), Éditions moto proprio, Paris, 2016, p. 28.

4. C. Basile- A. Leni, Amadeo Bordiga politico, cit., pp. 608-609.

5. Guido Botta, Com'era Bordiga visto nell'intimità domestica, Paese Sera, 25 febbraio 1981.

6. Renzo Lapiccirella, nel dopoguerra esponente del PCI napoletano e Galdo Galderisi, fucilato dai tedeschi in Albania dove dopo l'8 settembre, ufficiale dell'esercito, si era unito alla resistenza comunista, sono tra i personaggi del romanzo di Rea.

7. Ermanno Rea, Mistero napoletano, Einaudi, Torino, 1995, pp. 113-14.

8. Conversazione con l'Ing. Amadeo Bordiga, ACS-PP-B/1, ripreso da R. Gremmo, Gli anni amari di Bordiga, cit., p.117.

9. Alma Bordiga, “Politica razziale”, IX maggio, 23, 15 ottobre 1941. Citato in: Paolo Varvaro, L’ideologia della razza nel fascismo, in Giancarlo Lacerenza e Rossana Spadaccini ( a cura di), Atti delle Giornate di Studio per i settant'anni delle leggi razziali in Italia, Università degli studi di Napoli “L'Orientale”, Centro di studi ebraici, Napoli 2009, pag. 91.

10. I bordighiani sono caduti nella vergogna et nel crimine. A. Bordiga tra i militi e i preti, L’Unità n° 12, 1935, p. 11.

11. Massimo Caprara, I migliori di Bordiga, Il Giornale nuovo, 23 febbraio 1988.

12. Conversazione con l'Ing. Amadeo Bordiga, 19 giugno 1938, ACS-PP-B/1. Ripreso da R. Gremmo, cit., p. 74.


13. Continua