TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 6 novembre 2020

Bordiga sconosciuto (1926-1944) 2. Il confino a Ustica e l'amicizia con Gramsci

 


Seconda puntata della nostra ricostruzione degli anni “oscuri” di Bordiga. Oggi trattiamo del confino a Ustica e della profonda amicizia che si crea con Gramsci.

Giorgio Amico

2. Il confino a Ustica e l'amicizia con Gramsci

Dopo l'arresto, Bordiga è trasferito a Ustica, il primo luogo di concentramento degli antifascisti ad essere organizzato dal regime. Addirittura come ricorda Riccardo Bauer, nella sua autobiografia, l'isola era stata scelta per organizzarvi una colonia di confinati assai prima che l'attentato Zamboni provocasse i provvedimenti speciali. [1]

Ustica rappresentava un mondo a sé. Numerosissima la colonia dei confinati, composta da rappresentanti di tutto l'arco politico, dissidenti fascisti inclusi:

“Le rappresentanze dei vari partiti erano naturalmente diverse: pochissimi dissidenti fascisti (fra cui va ricordato Alfredo Misuri), pochissimi popolari, pochi liberali, moltissimi comunisti fra cui Gramsci (che nonostante la breve permanenza lasciò forte la sua impronta), Bordiga, Montelatici, Marcucci, Maffi, Berti, Sorgoni, Griffith, Tucci, e fra loro anche due donne: Anita Pusterla ed Egle Gualdi (...). C'erano moltissimi socialisti fra cui Romita, Schiavello, Sbaraglini, Massarenti insieme a quasi tutto il mitico gruppo di Molinella (...). Vi era un solo repubblicano, Angeloni, morto poi combattendo in Spagna a fianco di Carlo Rosselli. Moltissimi gli anarchici fra cui Gino Bibbi (...). E poi vi erano i grandi personaggi che sfuggono ancora oggi a qualsiasi etichetta politica come Riccardo Bauer, Carlo e Nello Rosselli, Ferruccio Parri. In quel periodo (1926-28) l'isola si trasformò in un vero e proprio laboratorio politico.” [2]

Soprattutto ad opera dei comunisti erano stata creata una biblioteca e una vera e propria università popolare con corsi che andavano dall'economia politica, alla filosofia hegeliana, passando per lo studio delle lingue straniere: francese, tedesco e soprattutto russo. I corsi erano rivolti a tutti, anche a quella parte di confinati, operai e contadini, che non avevano neppure la licenza elementare e per i quali si svolgevano attività di prima acculturazione. Tra i più attivi, Antonio Gramsci che in una lettera del dicembre 1927 ne parla in questi termini all'amico Piero Sraffa:

“Siamo ad Ustica in 30 confinati politici: abbiamo già iniziato tutta una serie di corsi, elementari e di cultura generale, per i diversi gruppi di confinati; inizieremo anche delle serie di conferenze. Bordiga dirige la sezione scientifica, io la sezione storico-letteraria; ecco la ragione per cui ho commissionato determinati libri. Speriamo così di trascorrere il tempo senza abbrutirci e giovando agli altri amici, che rappresentano tutta la gamma dei partiti e della preparazione culturale. Con me c’è Schiavello e Fiorio di Milano; di massimalisti c’è anche l’ex deputato Conca di Milano. Di unitari c’è l’avv. Sbaraglini di Perugia e un magnifico tipo di contadino molinellese. Un repubblicano di Massa e 6 anarchici di composizione morale complessa; il resto comunisti, cioè la grande maggioranza. Ci sono 3 o 4 analfabeti o quasi; il resto ha una preparazione diversa, ma con media generale molto bassa. Tutti però sono contenti di avere la scuola, che è frequentata con grande assiduità e diligenza”. [3]

Arrivato a Ustica, Bordiga si inserisce immediatamente nella comunità dei confinati. Nonostante la dura contrapposizione avvenuta nel Pcd'I negli anni precedenti e culminata con la sua totale emarginazione al Congresso di Lione, Bordiga stabilisce rapporti particolarmente amichevoli con Antonio Gramsci. È lui stesso a ricordarlo nella sua ultima intervista, concessa ad un giornalista della RAI poco prima di morire:

“I rapporti di amico, oltre che di compagno, che avevo sempre avuto con Antonio che certamente meritava tutta la mia ammirazione, furono sempre cordialissimi. La nostra ultima convivenza in ambiente che ben può dirsi di partito, risale all'anno 1926, quando entrambi fummo condotti al confino nell'isola di Ustica. In quel periodo, allorché con un uditorio di altri confinati veniva in discussione un problema che interessasse i nostri principi e il nostro movimento, Antonio ed io, come per una tacita intesa, ci offrivamo di illustrare ai presenti la visione che l'altro propugnava sul tema esaminato. Con ciò, è chiaro che nessuno dei due voleva in qualche modo attenuare il proprio dissenso dal pensiero dell'altro e della sua corrente. La doppia esposizione si concludeva di regola con una reciproca conferma, chiesta ed ottenuta, di avere bene interpretato l'insieme delle concezioni dell'altro”. [4]

Bordiga e Gramsci condividono la stessa abitazione. Una convivenza che costruisce fra di loro, al di là dei contrasti politici, una profonda e sincera amicizia. Gramsci, che era stato colpito dalla forte personalità di Bordiga già dal loro primo incontro alla riunione clandestina di Firenze della frazione "intransigente rivoluzionaria" nel novembre 1917, ora ha modo di scoprirne a pieno e apprezzarne la profonda carica umana. Tanto da scriverne così nel gennaio 1927 alla moglie Julca:

“Al mattino, di solito, io sono il primo a levarmi; l’ingegnere Bordiga afferma che in questo momento il mio passo ha caratteristiche speciali, è il passo dell’uomo che non ha ancora preso il caffè e lo attende con una certa impazienza. Io stesso faccio il caffè, se non sono riuscito a convincere il Bordiga a farlo, date le sue attitudini spiccate per la cucina. Incomincia quindi la nostra vita: si va a scuola, come insegnanti o come scolari. Se è giorno di posta, si va sulla marina ad attendere con ansia l’arrivo del vaporetto: se per il cattivo tempo la posta non giunge, la giornata è rovinata, perché una certa malinconia si diffonde su tutti i volti. A mezzogiorno si mangia: io partecipo ad una mensa comune e proprio oggi mi spetta fare da cameriere e da sguattero: non so ancora se dovrò sbucciare le patate, preparare le lenticchie o pulire l’insalata prima di servire in tavola. Il mio debutto è atteso con molta curiosità: parecchi amici volevano sostituirmi nel servizio, ma io sono stato incrollabile nel volere adempiere la mia parte. La sera dobbiamo rientrare nelle nostre abitazioni alle 8. Talvolta vengono delle visite di sorveglianza per accertare se veramente siamo in casa. A differenza dei coatti comuni noi non siamo chiusi dal di fuori. Altra differenza consiste nel fatto che la nostra libera uscita dura fino alle 8 e non solamente fino alle 5; potremmo avere dei permessi serali se fossero necessari per qualche cosa. In casa, alla sera giuochiamo alle carte. Non avevo giocato mai finora; il Bordiga assicura che ho la stoffa per diventare un buon giocatore di scopone scientifico. Ho già ricostituito una certa bibliotechina e posso leggere e studiare. I libri e i giornali che mi arrivano hanno già determinato una certa lotta tra me e il Bordiga, il quale sostiene a torto che io sono molto disordinato; a tradimento egli mette il disordine tra le cose mie, con la scusa della simmetria e dell’architettura: ma in realtà io non riesco più a trovar nulla nel guazzabuglio simmetrico che mi trovo combinato”. [5]

Dalle lettere sembra che, nonostante la residenza coatta e la vigilanza degli organi di polizia, la condizione dei confinati sia tutto sommato sopportabile, ma la situazione muterà presto drammaticamente, come vedremo nella prossima puntata.

Note

1. Riccardo Bauer, Quello che ho fatto. Trent’anni di lotte e di ricordi, Cariplo-Laterza, Milano, 1987, p. 67.

2. Giovanna Delfini, Povera Ustica isola perseguitata, La Repubblica, 11 ottobre 2000.

3. Lettera del 21 dicembre 1926, in Antonio Gramsci, Lettere dal carcere, Einaudi, Torino, 1965, p. 25.

4. Edek Osser, Una intervista ad Amadeo Bordiga, «Storia contemporanea», n. 3, settembre 1973.

5. Lettera del 15 gennaio 1927, in Antonio Gramsci, cit., pp. 43-44.