TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 28 novembre 2020

Bordiga sconosciuto (1926-1944) 17. Il mistero Bordiga

 


Giorgio Amico

17. Il mistero Bordiga


Gli “anni oscuri”, come sono stati definiti, di Bordiga in realtà poi, come abbiamo visto, tanto oscuri non sono. Anzi, esiste una mole piuttosto consistente di materiali, sparsi in libri, giornali e riviste che, uniti ai documenti di polizia conservati nel fascicolo intestato a Bordiga presso l'archivio Centrale dello Stato a Roma, permettono di ricostruire quasi giorno per giorno cosa egli fece in quegli anni, chi incontrò, che opinioni si andò via via formando del regime fascista e della politica di Mussolini. Opinioni, come si è visto oggettivamente spiazzanti, lontanissime da ciò che si presume possa pensare un comunista irriducibile in una situazione drammatica come quella del fascismo. Basta pensare ai Quaderni, redatti in carcere da un Gramsci abbandonato dal partito e sempre più malato, per capire, oltre che la grandezza morale prima che politica dell'uomo, come anche in situazioni estreme, come quella del carcere, la riflessione e l'impegno politico potessero continuare.

Per Bordiga non fu così. La sua fu oggettivamente una resa. Giustamente Damen scrive di un uomo rimasto schiacciato sotto le macerie del partito che più di ogni altro aveva contribuito a costruire e dell'Internazionale comunista. Ma c'è una causa più profonda che è visibile nelle tre fasi della vita politica di Bordiga, quella iniziale dalla militanza nella sinistra socialista al Congresso di Lione (1912-1926), quella degli anni del silenzio (1927-1944), quella della ripresa dell'attività politica e dell'elaborazione teorica (1944-1970). Causa legata alla particolare e del tutto personale interpretazione che Bordiga elabora del lascito teorico di Marx. È ancora Damen a offrirci un chiave interpretativa da cui partire per cercar di comprendere meglio l'enigma Bordiga. Scrive Damen:

“È mancato a Bordiga una giusta valutazione della dialettica per quel fondo della sua educazione basata prevalentemente sul dato scientifico che lo portava a vedere il mondo e la vita su di un piano di sviluppo razionale quando la realtà della vita sociale e della lotta rivoluzionaria lo ha messo spesso davanti ad un mondo che obbedisce in buona parte a spinte irrazionali. La metodologia basata sul dato matematico proprio della scienza non sempre combacia con la metodologia basata sulla dialettica che è movimento e contraddizione e questo sull'esame della politica rivoluzionaria e delle sue prospettive, non è di poco conto”. [1]

Una mancata comprensione della dialettica che lo porterà sempre più, man mano che aumenta il suo isolamento, a negare ogni influenza del fattore umano nei processi storici, a parlare astrattamente di classi senza comprendere che queste sono composte da uomini e donne in carne e ossa con le loro contraddizioni e che i rapporti di produzione, ce lo insegna Marx, altro non sono che i rapporti concreti e quotidiani che questi uomini e donne intrecciano a partire da un determinato assetto economico, ma anche culturale della società. Per cui le rappresentazioni che le masse si fanno del mondo non sono mere fantasie, ma hanno consistenza reale e vita propria. Tutto questo sfugge a Bordiga, prigioniero di un determinismo astratto fino al punto di vedere nella vittoria della barbarie nazista un “oggettivo” fattore di progresso per la causa proletaria.

Proprio per questa rigidità incline allo schematismo, nessun esponente di primo piano del marxismo fu quanto Bordiga ideologico, a partire dal rifiuto irrazionale e compulsivo della democrazia in tutte le sue forme, compresa quella proletaria, tanto da negarla anche per il partitino che si costruì a sua immagine e somiglianza nel 1952, sostituita da un evanescente “centralismo organico” che nessuno è mai riuscito a capire bene che cosa volesse realmente significare.

Eppure, al di là di queste considerazioni, questo lavoro non vuole essere uno strumento di polemica politica, cosa assolutamente priva di senso nel caso di un personaggio ormai così lontano dalla nostra esperienza, né tanto meno storica nei confronti dei tre o quattro libri già usciti sull'argomento. Scopo di questo lavoro è la narrazione di sedici anni della vita di un uomo, vista nella sua complessità, nelle sue debolezze e nelle sue contraddizioni.

Certo, Bordiga è stato uno dei protagonisti della storia del Novecento. Il suo ruolo egemone nella fondazione nel 1921 del Partito comunista e una parte dei suoi scritti del dopoguerra – a partire dal fondamentale Spazio contro cemento del 1953 – bastano ad assicurargli un posto di primo piano nella storia del movimento operaio e del marxismo.

Ma, nonostante Bordiga si vedesse come uno scienziato freddamente impersonale nel suo lavoro di analista dell'economia e della società, egli resta una figura profondamente umana proprio per le sue debolezze e contraddizioni. Per quanto grande, Bordiga non resse quando la vita lo costrinse a confrontarsi con realtà e forze più grandi di lui che non riuscì a padroneggiare e in parte neppure a comprendere proprio per quella mancanza di dialettica a cui già si è accennato. In questo Bordiga è un personaggio essenzialmente tragico, ben più di Gramsci che anche solo con l'ausilio di carta e penna seppe reggere meglio l'urto di contraddizioni gigantesche. Bordiga no. Posto di fronte allo spettacolo terribile della storia che già a partire dai primi anni venti cambiava direzione di marcia e di un sogno palingenetico di rivoluzione che si trasformava nell'incubo dello stalinismo, il suo disincanto fu devastante, una perdita di cui mai riuscì completamente a elaborare il lutto. Per questo nei suoi scritti, e in particola nei Fili del tempo, troviamo un continuo tornare all'indietro, a ciò che c'era prima della grande catastrofe.

Se a questo aggiungiamo poi anche il dramma di una moglie amatissima ma sempre più devastata da gravi disturbi mentali che insiste in ogni occasione perché egli si sottometta al regime e permetta a lei e ai figli di vivere una vita normale senza l'assillo costante della polizia, l'uomo Bordiga si presenta in tutta la sua fragilità, evidenziando debolezze, egoismi, meschinità e cinismi del tutto tipici dell'italiano che “tiene famiglia”.

Grazie alle testimonianze dei contemporanei e ai materiali di polizia, in particolare quelli raccolti da Roberto Gremmo, preziosi perché presentati pressocchè integralmente senza alcuna autocensura o timore di confermare le calunnie staliniste, il personaggio Bordiga esce così definitivamente dalla oscurità degli anni Trenta e può essere oggetto di una obiettiva valutazione che ormai, considerato il tempo trascorso, non può che essere di natura storica più che politica. Lo stesso non possiamo dire dell'uomo Bordiga, di cui molti comportamenti restano ancora, nonostante i materiali raccolti, di difficile comprensione. Insomma, come nei migliori gialli, il mistero Bordiga resta nonostante tutto irrisolto. Come avrebbe detto Humphrey Bogart, “è la condizione umana, bellezza”. E non ci si può fare proprio niente, se non mantenere un rispettoso silenzio.

Note

1. O. Damen, AmadeoBordiga, cit., pp. 21-22.


FINE