Giorgio Amico
A proposito di cattivi
maestri (ancora su Nanni Balestrini e non solo)
Quando va via un
compagno, con cui hai condiviso momenti, speranze, emozioni e anche
delusioni e rabbia, ti viene di pensare a te stesso e agli anni della
tua vita, alle cose belle che hai fatto, ma anche a ciò che non hai
fatto e che invece potevi fare. Hai passato i settant'anni, sai di
essere vecchio, qualcuno addirittura lo te getta in faccia come un
insulto (è esperienza recentissima) e quindi sai che il tempo che ti
resta, per lungo che possa essere, non ti basterà a recuperare
errori e omissioni. Insomma, la morte di un amico ti interroga sul
senso della tua vita. A me in poco tempo è capitato tre volte, con
Bruno Mozzone, Ugo Tombesi e Piero Pentenero. Compagni negli anni
della rivolta, del tempo in cui amavamo la sovversione e il
disordine, se ordine era lo sfruttamento, la miseria, la riduzione
degli uomini a a numeri. Un amore, insieme tenero e violento, come
è solo l'amore vero.
Perché se il mondo che vedevamo era la
pace, allora noi volevamo la guerra. Lo cantavamo e lo credevamo,
fermamente.
Siamo stati per questo
cattivi maestri? Ci pensavo in questi giorni, riprendendo in mano i libri di Nanni
Balestrini che di quella generazione, che poi è la mia, fu una delle
voci più intense.
Di sicuro siamo stati
motivo di scandalo, ma cattivi maestri no. Se maestri di qualcosa si
è stati, allora di etica si deve parlare. Perché di quello si
tratta, quando si pensa e si vive a partire dal noi e non dall'io.
Lo avevamo imparato dalla
generazione che ci aveva preceduto, da chi si era formato nella guerra
partigiana, che non era solo liberazione dal fascismo o
dall'occupazione, ma soprattutto liberazione da tutto quello che rende la vita
insopportabile agli uomini. Quella, almeno, era la speranza.
E allora, se la vecchiaia
è il tempo dei bilanci, il mio lo ritrovo in due righe,
straordinarie, di Italo Calvino:
“La mia generazione è
stata una bella generazione, anche se non ha fatto tutto quello che
avrebbe potuto. Certo, per noi, per anni la politica ha avuto
un'importanza magari esagerata, mentre la vita è fatta di tante
cose. Ma questa passione civile ha dato un'ossatura alla nostra
formazione culturale; se ci siamo interessati di tante cose è stato
per quello. Anche se mi guardo attorno, in Europa, in America, coi
nostri coetanei e con quelli più giovani, devo dire che noi eravamo
più in gamba. Tra i giovani che sono venuti su dopo di noi negli
ultimi anni, in Italia, i migliori ne sanno più di noi, ma sono
tutti più teorici, hanno una passione ideologica tutta fatta sui
libri; noi avevamo per prima cosa una passione a operare; e questo
non vuol dire essere superficiali, anzi.”
Era il '60, poi sarebbe
venuto il '68. A smentirlo, perché la triste passione ideologica sarebbe diventata
gioia di vivere e lottare. L'inverno delle nostre vite oggi convive
con l'inverno della società. Che torni presto il tempo delle
passioni violente e dei teneri amori e che, come con Calvino, una nuova generazione sappia smentirci.