Quella che segue è la
prima di quattro lezioni ad una scuola di partito per i giovani del
PRC tenutasi a Savona nel 1996. Sono testi semplici, dal taglio
didattico, ma pensiamo ancora di un qualche interesse per chi per la
prima volta si avvicini al marxismo.
Giorgio Amico
Il giovane Marx
(1818-1843)
Marx e Engels nascono
entrambi in Renania, il primo a Treviri nel 1818, il secondo a Barmen
nel 1820. I due grandi rivoluzionari crescono quindi nel clima
soffocante della Restaurazione e del trionfo della Santa Alleanza, ma
diventano adulti negli anni Trenta, nel pieno rifiorire dei movimenti
rivoluzionari in tutta Europa sull'onda lunga della vittoriosa
insurrezione di Parigi del luglio 1830, in una Germania
dall'impetuoso sviluppo economico favorito dalla creazione nel 1834
dell'Unione doganale fra la miriade di regni e principati tedeschi.
Non si può comprendere a
pieno l'ambiente in cui Marx e Engels maturano la loro personalità e
di fatto pongono le premesse delle loro scelte future, se non si
individuano le tendenze culturali dominanti dell'epoca e le grandi
forze che animano la società europea dei primi decenni del XIX
secolo.
Si tratta di processi
giganteschi che trasformano radicalmente gli assetti
economico-sociali di intere regioni d'Europa, colpendo duramente
soprattutto nelle campagne il livello di vita di larga parte della
popolazione. Processi che comportano la messa in discussione delle
tradizionali concezioni relative al potere politico, alle forme della
rappresentanza, al rapporto stato-società civile non solo nelle più
progredite Inghilterra e Francia, ma anche nell'ancora arretrata
Germania.
La rivoluzione
industriale
Processi che vedono
l'Inghilterra avanti di circa mezzo secolo rispetto alle zone più
sviluppate dell'Europa continentale. È in Inghilterra, infatti, che
attorno al 1760 vede la luce la moderna società industriale per un
complesso di concause su cui non è possibile qui soffermarci, ma che
risultano comunque determinanti, quali la favorevole collocazione
geopolitica, il controllo delle principali rotte atlantiche, la
disponibilità di ingenti risorse (capitali, manodopera, materie
prime), l'effettivo compimento di un'accumulazione primitiva iniziata
almeno a partire dal regno della grande Elisabetta che pone le
fondamenta dell'impero e della potenza navale britannici.
Una produzione
manifatturiera, già molto sviluppata e articolata, viene
rivoluzionata dall'introduzione delle macchine a vapore.
L'applicazione su larga scala di questa nuova fonte di energia ai
processi produttivi che si compie in un arco di tempo di oltre mezzo
secolo (1760-1825) determina la nascita della fabbrica moderna, la
crisi irreversibile delle tradizionali attività economiche sia
manifatturiere che agricole e la rapida decomposizione degli assetti
sociali e politici che su di esse si fondavano. La società
tradizionale, ancora in massima parte rurale, si disgrega
rapidamente. Nascono e si moltiplicano le grandi città nel cuore dei
nuovi distretti industriali e minerari. Le condizioni di vita e di
lavoro peggiorano sensibilmente per larghi strati della popolazione.
La miseria dilaga. Problemi nuovi, quali l'eccessivo tasso di
natalità, la mancanza di abitazioni, l'inquinamento, si impongono
con drammaticità all'attenzione degli intellettuali e dei governanti
dell'epoca.
Friedrich Engels, che
vive e lavora a Manchester, cuore dell'industria tessile britannica,
descrive superbamente questi processi nel suo capolavoro giovanile
"La condizione della classe operaia in Inghilterra",
composto fra il settembre del 1844 e il marzo 1845. È di Engels il
termine stesso "rivoluzione industriale" che da allora
contraddistingue l'epoca. Ma Engels non si limita, come una miriade
di filantropi e riformatori sociali a lui contemporanei, a denunciare
i mali dell'industrialismo, contro i quali pure si scaglia con un
ardore tutto giovanile. Egli vuole soprattutto capire, decifrare
quello strano enigma sociale e politico che è il proletariato
nascente. Per il giovane Engels l'Inghilterra rappresenta il "terreno
classico", l'osservatorio privilegiato di processi destinati a
travolgere in un futuro ormai prossimo anche la lontana Germania.
L'Inghilterra è prima di tutto l'unico paese dove il proletariato,
che della rivoluzione industriale rappresenta il principale frutto,
può "venir studiato in tutti i suoi rapporti e da tutti i
lati".
La progressiva
disgregazione della società tradizionale, il rapido e inarrestabile
peggioramento delle condizioni di vita delle grandi masse inurbate
sono analizzate da Engels in pagine ancora oggi attualissime. Le
condizioni di lavoro sono inumane, i ritmi estenuanti, neppure donne
e bambini vengono risparmiati. Anzi, l'ipocrita morale puritana delle
classi possidenti vede nel lavoro minorile e femminile un argine alla
depravazione dei costumi dovuta all'ozio forzato e alla promiscuità.
Ogni protesta, ogni
accenno di rivolta viene brutalmente repressa sul nascere. Ai
proletari divisi, privi di organizzazione e di coscienza di classe
non resta che la via del sabotaggio, strumento primordiale e
disperato di lotta, che nel nome stesso riecheggia i ricordi di una
non ancora superata condizione rurale. Gli operai si accaniscono
contro le macchine, individuate come il principale nemico, il mostro
da abbattere. È la macchina che distrugge i posti di lavoro, che
risucchia le energie mentali e fisiche dei lavoratori, che mutila i
loro corpi, che simboleggia lo spietato e impersonale dominio del
capitale. La reazione della "civile" Inghilterra è feroce:
il sabotaggio, il tentativo di distruggere le macchine è punito con
la morte. Nelle piazze dei nascenti centri industriali inglesi si
moltiplicano le forche, monito quotidiano per i proletari.
Nonostante tutto la
classe operaia si organizza. Come un secolo più tardi scriverà
Lenin, è la fabbrica stessa a creare le condizioni per
l'organizzazione dei proletari. Nel 1791 nasce a Londra la prima
associazione operaia, la "Società di corrispondenza", allo
scopo di collegare le disperse realtà operaie. Gli obiettivi non
sono solo economici. Nel 1792 al momento dell'instaurazione a Parigi
della repubblica, nonostante lo stato di guerra in corso fra i due
paesi, la Società invia un fraterno messaggio di solidarietà ai
rivoluzionari francesi.
La paura spinge
l'oligarchia inglese ad adottare sempre nuove misure contro il
nascente movimento operaio. Ogni forma di associazione fra i
proletari è vietata, lo sciopero è punito con la deportazione nelle
colonie e nei casi più gravi con la morte. Ma la repressione, per
quanto cieca e brutale, non ferma il progredire della coscienza di
classe. Inevitabilmente la protesta si trasforma in rivolta, lo
sciopero in insurrezione. Nel 1819 il proletariato di Manchester
insorge. La polizia non basta più, deve intervenire l'esercito. Il
movimento è stroncato nel sangue, ma l'oligarchia comprende che è
giunto il momento di fare concessioni. Nel 1824 la "Legge sulle
coalizioni" legalizza l'esistenza delle prime rudimentali
associazioni sindacali. A partire dal 1830, sotto l'influenza della
parigina rivoluzione di luglio, l'Inghilterra è teatro di una nuova
ondata rivoluzionaria. In tutto il paese si sviluppa un forte
movimento per il riconoscimento al popolo del diritto di voto. Il
proletariato si riscopre portatore di valori universali. Allora come
oggi la classe operaia con le sue lotte per il salario e il lavoro fa
da traino alla lotta per l'estensione e la generalizzazione dei
diritti politici. Allora come oggi la lotta in fabbrica apre la
strada alla lotta per la democratizzazione della società.
La rivoluzione
francese
"Eguaglianza,
fraternità, libertà", le parole d'ordine della rivoluzione
francese, lasciate cadere dalla borghesia trionfante, vengono riprese
dal proletariato che le iscrive sulle proprie bandiere. E alla
rivoluzione francese ed in particolare all'esperienza giacobina
guardano i primi dirigenti e teorici operai. È nella Francia
rivoluzionaria che per la prima volta il "popolo" è
diventato protagonista della storia e in suo nome si è combattuto. È
nella Francia rivoluzionaria che per la prima volta l'ordine sociale
è stato colpito nei suoi pilastri: la sacralità della monarchia,
fonte di ogni legittimità e di ogni potere e l'intangibilità della
proprietà privata, messa in discussione dall'esproprio
rivoluzionario dei beni del clero e dell'aristocrazia.
Il bonapartismo prima, la
Restaurazione poi frenano il processo rivoluzionario, ma non possono
certo deviarne il corso. La rivoluzione del 1830 porta alla nascita
della monarchia costituzionale di Luigi Filippo, il "re
borghese" che apre al capitale finanziario la via per il dominio
anche politico sulla società.
Diventata la borghesia
nel suo complesso classe dominante, anche in Francia come già in
Inghilterra, la classe operaia si ritrova sola a difendere quei
principi di libertà e di giustizia per i quali si era fino ad allora
mobilitata l'intera società civile. Ma se nella evoluta Inghilterra
il proletariato può iniziare a percorrere la via
dell'associazionismo sindacale e dell'azione politica di massa, nella
Francia, che solo allora inizia ad uscire dall'arretratezza, dove il
proletariato è ancora imbrigliato nelle pastoie della tradizionale
organizzazione corporativa e dove fortissimo permane il ricordo del
rigore rivoluzionario di Robespierre e dell'eroico primitivo
comunismo di Babeuf, il difficile e travagliato formarsi di una
moderna coscienza di classe tra gli oppressi si manifesta ancora
sotto le vecchie vesti della cospirazione massonica e
dell'organizzazione settaria.
Il socialismo utopistico
E d'altronde, come si è
visto, la Francia resta il paese dove, per la prima volta la
"Cospirazione degli Eguali" di Gracco Babeuf aveva additato
ai proletari contro il rapido degenerare della rivoluzione la via del
comunismo. E nel nome di Babeuf prima Filippo Buonarroti, il "grande
vecchio" dei movimenti rivoluzionari nell'Europa della
Restaurazione, poi il suo discepolo Auguste Blanqui percorrono la via
della cospirazione e dell'insurrezione sulla base di un'incrollabile
fiducia nella realizzabilità storica di un comunismo filosofico,
carico di suggestioni illuministiche, ma privo di una scientifica
analisi delle contraddizioni di classe.
Una società, quella
sognata da Buonarroti e da Blanqui, di "liberi ed eguali",
regno della giustizia e della libertà. Una società da instaurarsi
mediante la presa del potere da parte di un gruppo di congiurati,
apostoli della "causa dell'umanità sofferente" e
l'esercizio di una spietata dittatura contro tutti i sostenitori del
vecchio mondo. Un sogno eroico e generoso, ma che vedendo nel
proletariato solo una massa di diseredati e di oppressi, non è in
grado di cogliere la reale portata dei processi in atto e quindi
additare ai proletari una via di liberazione in grado di andare oltre
il rifiuto dell'esistente. Ed il tragico fallimento del tentativo
insurrezionale della "Società delle stagioni" nel maggio
1839 con l'arresto e la condanna al carcere a vita per Blanqui,
segnerà con ogni evidenza l'illusorietà di queste generose
speranze.
Speranze che si
diffondono con il lievitare stesso del modo di produzione
capitalistico oltre i confini della Britannia. Teorie socialiste a
sfondo religioso o filosofico si moltiplicano, unite nel denunciare i
guasti di un'industrializzazione di cui non si colgono le forze
motrici né l'autentica natura, divise nei rimedi prospettati per
giungere finalmente al regno dell'armonia e della ragione.
Colpito dal dilagare
della disoccupazione e della miseria nonostante il rapido accrescersi
della ricchezza sociale, Robert Owen (1771-1858), un industriale
tessile inglese, intorno al 1820 inizia a elaborare un complesso
schema di società ideale fondata sull'adozione di misure cooperative
e comunitarie mirate a garantire la piena occupazione e l'equa
distribuzione della ricchezza prodotta. Di natura più filosofica è
invece il socialismo di Charles Fourier (1772-1837), teorico della
"Grande Armonia" che si raggiungerà in una società
rigidamente pianificata e organizzata in grandi unità produttive, le
"Falangi", e abitative, i "Falansteri". Accenti
di acceso misticismo assume poi il pensiero di Claude Henri de
Saint-Simon, profeta di un nuovo cristianesimo con venature
tecnocratiche a misura di una società industriale purificata dagli
egoismi di classe e affratellata nel culto del progresso tecnologico
e scientifico.
Casa natale di Karl Marx a Treviri
La Germania nei primi
decenni del XIX secolo
In questo contesto
europeo, caratterizzato dal prepotente esplodere della rivoluzione
industriale e dal diffondersi di teorie e movimenti a sfondo
ingenuamente socialista, la Germania ha un ruolo marginale. Come
l'Italia, la Germania post Congresso di Vienna non è nulla più di
una "espressione geografica": 39 fra Stati e Staterelli che
poco hanno in comune, se si eccettua la lingua e una storia gloriosa
alle spalle. Una realtà arretrata. I tre quarti della popolazione
vivono ancora nelle campagne, non esistono grandi città, a livello
manifatturiero predomina largamente il piccolo artigianato ancora
organizzato secondo il modello delle corporazioni medievali. Eppure
la Germania cova potenzialità gigantesche che si manifesteranno a
pieno a partire dagli anni Trenta ed in particolare dall'Unione
doganale del 1834 che crea un unico mercato tedesco.
Tra il 1830 e il 1842 la
produzione mineraria raddoppia, quella metallurgica triplica, mentre
l'industria dei beni di consumo cresce di ben otto volte rispetto ai
livelli del 1810. Tra il 1837 e il 1848 il numero delle macchine a
vapore installate nelle fabbriche tedesche triplica, riducendo il
ritardo nei confronti dell'Inghilterra ancora nel 1830 calcolabile in
cinquanta anni. Questo impetuoso sviluppo economico comporta, come
d'altronde già avvenuto in Inghilterra e in Francia, una vera e
propria esplosione demografica. In soli quarant'anni, tra il 1815 e
il 1855, la popolazione tedesca aumenta di oltre il cinquanta per
cento. Le città, pure in rapida crescita, e l'apparato produttivo
non sono in grado di stare dietro a questi ritmi. La disgregazione
dei tradizionali assetti economici delle campagne aggrava la
situazione. La soluzione sarà l'emigrazione verso le già
congestionate aree industriali inglesi e francesi o la partenza verso
il sogno rappresentato dagli Stati Uniti, paese senza passato e senza
frontiere in grado di assicurare a tutti un futuro fatto di lavoro e
di libertà. Tra il 1818 e il 1848 oltre un milione di tedeschi
prenderà la strada dell'emigrazione, andando a costituire a Parigi,
Londra, Bruxelles, New York vere e proprie colonie, autentiche fucine
di comunismo, nell'ambito delle quali Marx e Engels svolgeranno gran
parte della loro attività politica.
Vero e proprio crocevia d'Europa, la regione della Renania Westfalia, terra di frontiera fra mondo tedesco e francofono, traversata dal Reno, da sempre asse di collegamento tra il mare del Nord e il cuore delle Alpi, rappresenta il luogo di incubazione di tutti i fermenti che agitano il continente.
Scorpione e Felice, romanzo giovanile di K. Marx
Il giovane Marx: gli
anni dell'adolescenza
Karl Marx nasce il 5
maggio 1818 a Treviri, una cittadina di circa dodicimila abitanti,
centro amministrativo di una qualche importanza, da pochi anni
ritornata alla Prussia dopo che dal 1795 al 1814 era stata annessa
alla Francia. La famiglia Marx è un'antica famiglia ebraica, ma il
padre di Karl, Heinrich, nel 1817 si converte al cristianesimo,
costretto a ciò dalle leggi antisemite del regno di Prussia che
vietano ad un ebreo di assumere cariche pubbliche. Nonostante
Heinrich manifesti in campo religiose un blando deismo di stampo
illuministico, la famiglia mantiene un certo attaccamento alla fede
degli avi. I figli, tra cui il piccolo Karl, vengono battezzati solo
nel 1824, mentre la madre, Henriette, una donna semplice di cui si sa
molto poco, si convertì l'anno seguente. Nella famiglia Marx c'erano
nove figli, ma cinque erano morti ancora piccoli. Dei sopravissuti
Karl era il maggiore e l'unico maschio.
Di lui bambino non si
conosce quasi nulla se non brevi accenni ad un carattere già dai
primi anni piuttosto deciso. Di certo la famiglia conduceva una vita
agiata e serena, grazie alla posizione sociale di Heinrich Marx,
funzionario di una certa importanza dell'amministrazione prussiana,
membro influente della buona società cittadina, esponente di primo
piano degli ambienti liberali. Con il padre, "un vero francese
del Settecento che sapeva a memoria il suo Voltaire e il suo
Rousseau", il giovane Karl andava molto d'accordo. Secondo
Eleanor Marx, Karl, ormai adulto, portava sempre con sé il ritratto
del padre che aveva perso presto, nel 1838. Molto più difficili
furono i rapporti con la madre. Per tutta la vità, la donna morì
nel 1863 quando Karl era ormai un uomo maturo, essa rimproverò al
figlio di aver sprecato la sua vita, di non aver raggiunto una
posizione sociale corrispondente alle sue doti intellettuali e al
rango della famiglia.
Nel quinquennio 1830-1835
Karl frequentò il liceo di Treviri, caratterizzato da un corpo
docente moderatamente liberale. Degli anni liceali il poco che resta,
qualche componimento dell'esame di licenza, riflette l'immagine di un
adolescente pieno di idealismo e di entusiasmo, che sogna di
sacrificarsi per il bene dell'umanità. Nella prova di tedesco,
intitolata "Considerazioni di un giovane sulla scelta del
proprio avvenire", il giovane Karl respinge decisamente
l'ambizione come base per la scelta di una carriera e con un
entusiasmo tutto giovanile scrive:
"La storia chiama
grandi uomini quelli che, mentre operavano per la comunità,
nobilitarono se stessi; l'esperienza esalta come il più felice
quegli che rese felice il maggior numero di uomini; (...) Quando
abbiamo scelto la condizione nella quale possiamo più efficacemente
operare per l'umanità, allora gli oneri non possono più
schiacciarci, perché essi sono soltanto un sacrificio pel bene di
tutti, allora non gustiamo più una gioia povera, angusta ed
egoistica, ché anzi la nostra felicità appartiene a milioni, le
nostre imprese vivono pacifiche, ma eternamente operanti, e le nostre
ceneri saranno bagnate dalle lacrime ardenti di uomini nobili".
Questa ingenua
professione di fede, che i suoi insegnanti considerarono
eccessivamente retorica, era in realtà la prima manifestazione di un
ideale, al quale egli rimarrà per sempre fedele e per il quale
sacrificherà la sua vita.
Jenny von Westphalen
Gli studi
universitari: Marx e la Sinistra hegeliana
Terminato il liceo, Karl
Marx si iscrive all'Università di Bonn alla facoltà di
giurisprudenza. Anche su questo periodo si hanno notizie scarse e
indirette. Sicuramente il giovane non si dedicò allo studio con
quell'assiduità che il padre avrebbe desiderato. In quel periodo Kal
si fidanza con una amica d'infanzia, Jenny von Westphalen, "la
più bella ragazza di Treviri", come decenni più tardi egli
stesso ebbe a definirla. Fu un amore travagliato, ma travolgente.
Proveniente da una delle più illustri famiglie dell'aristocrazia
prussiana, Jenny, di qualche anno più vecchia di Karl, dovette
superare gli ostacoli posti a questa relazione da una parte della sua
famiglia.
Nell'Università di Bonn
il romanticismo dominava e lo stesso Karl ne fu influenzato. Invece
di dedicarsi ai severi studi giuridici, egli si mise a studiare
letteratura e a comporre poesie, non disdegnando di condurre una vita
allegra, tanto da essere condannato a un giorno di carcere per
ubriachezza e schiamazzi notturni nel giugno 1836 e nell'agosto
successivo restare leggermente ferito nel corso di un duello alla
sciabola con uno studente membro di un'associazione goliardica
rivale.
In complesso l'anno
trascorso a Bonn si risolse in un fallimento, per cui il padre,
allarmato dagli eccessi del giovane e dai debiti non indifferenti che
questi aveva accumulato, decise di iscriverlo alla molto più severa
Università di Berlino. Una "casa di correzione" secondo la
definizione di Ludwig Feuerbach, per il quale le altre università
altro non erano che "taverne".
Se Berlino era in forte
ritardo sulle dinamiche città industriali della Renania, restava di
certo, con i suoi 300.000 abitanti, la più grande città tedesca,
seconda soltanto a Vienna per importanza. L'ambiente ideale per un
giovane pieno di vitalità e voglia di fare.
Giunto a Berlino, Marx si
dedicò agli studi con passione, dedicandosi in particolare, oltre
che al diritto, alla storia antica e moderna, all'arte, alla
letteratura e naturalmente alla filosofia. Tra i filosofi lesse con
avidità gli scritti di Kant, Fichte, Schelling, Spinoza, Hume,
Leibniz, Aristotele e Bacone, mentre ostentatamente trascurò Hegel,
il cui pensiero dichiarava di trovare "roccioso". Costretto
a un periodo di riposo a causa di una malattia, Marx si dedicò allo
studio approfondito della filosofia hegeliana. L'impressione che ne
ricavò fu profondissima. Alla fine del 1837 Marx è ormai un
hegeliano convinto, tanto da aderire al Doktorclub, un'associazione
di studenti, giovani insegnanti e pubblicisti accomunati da
un'identico interesse per le questioni letterarie e filosofiche e per
la comune militanza nella sinistra hegeliana. In realtà le dispute
accademiche celavano più profondi problemi politici.
Nel clima
repressivo del Regno di Prussia, dove un'occhiuta censura vigilava a
impedire ogni manifestazione di libero pensiero, le aspirazioni
politiche erano obbligate a camuffarsi in vesti di tendenze
filosofiche astratte. I sostenitori del potere regio e dell'autorità
della Chiesa, si atteggiavano a difensori ad oltranza del sistema
hegeliano preso nel suo complesso, insistendo su di una
interpretazione conservatrice e integralista del pensiero di Hegel,
assunto alla lettera in tutte le sue articolazioni. I fautori del
rinnovamento politico e culturale, che si definivano "giovani
hegeliani" o "sinistra hegeliana", insistevano invece
sempre di più sugli aspetti rivoluzionari del metodo hegeliano,
sulla dialettica hegeliana, per la quale nulla ha stabilità, tutto è
concepito in un divenire che è eterno superamento. I giovani
hegeliani denunciavano soprattutto gli aspetti contradditori del
pensiero hegeliano, la sua trasformazione da filosofia rivoluzionaria
a teologia, a giustificazione dell'esistente ed in particolare del
trono e dell'altare. In particolare essi tentavano di interpretare la
dialettica come principio della trasformazione della realtà, in
senso non solo spirituale, ma anche sociale e politico.
Discussione al Doktorclub
Non potendo per ovvi
motivi di prudenza attaccare apertamente la monarchia, la critica dei
giovani hegeliani si era rivolta contro la religione che del potere
regio rappresentava il principale puntello ideologico. Nel 1835 David
Friedrich Strauss aveva pubblicato la sua "Vita di Gesù",
il primo attacco di un hegeliano ai fondamenti della religione
ufficiale. La lotta diretta prima contro le deformazioni del
cristianesimo da parte delle Chiese, per una conciliazione del
messaggio cristiano con il moderno spirito critico, si trasformò ben
presto in lotta aperta contro la stessa religione. Bruno Bauer,
libero docente di teologia, radicalizzò la critica di Strauss
attaccando esplicitamente i vangeli, considerati niente di più che
una raccolta di miti. Fin dal principio Marx si trovò schierato con
l'ala estrema. A questo proposito scrisse pochi anni dopo:
"La critica della
religione è la condizione necessaria di ogni critica. Il fondamento
della critica antireligiosa è il seguente: è l'uomo che fa la
religione non è la religione che fa l'uomo. Ma l'uomo non è un
essere astratto, estraneo al mondo reale. L'uomo è il mondo
dell'uomo, è lo stato, la società. Questo stato, questa società,
che sono un mondo assurdo, producono la religione, assurda concezione
del mondo. La religione è la realizzazione fantastica dell'essere
umano, giacchè l'essere umano non possiede una vera realtà. La
lotta contro la religione è dunque indirettamente una lotta contro
un mondo di cui essa rappresenta l'aroma spirituale".
L'atteggiamento
apertamente repressivo nei confronti dei giovani hegeliani da parte
delle autorità accademiche spinse il Doktorclub sempre più
all'opposizione. Da una posizione di sostegno all'ipotesi di una
monarchia liberal-costituzionale, il club passò all'estrema sinistra
del repubblicanesimo rivoluzionario, intitolandosi "Gli amici
del popolo".
Il giovane Karl si mise
ben presto in luce non solo per le doti intellettuali, ma anche per
lo straordinario impegno che metteva in tutto quello che faceva. Così
lo descrive una poesiola ironica dell'epoca:
"Chi balza con impeto
selvaggio?
È un nero caposcarico, torel di buona razza.
Va, corre, salta, balza a suo talento,
Animato da eroico furore! Come un gigante
Che voglia abbracciare l'immensa volta dei cieli
E tirarla giù.
Tende le braccia, le spinge in alto verso il cielo
Chiude furibondo il pugno! Sembra agitato
Come se mille demoni l'afferrassero per i capelli".
È un nero caposcarico, torel di buona razza.
Va, corre, salta, balza a suo talento,
Animato da eroico furore! Come un gigante
Che voglia abbracciare l'immensa volta dei cieli
E tirarla giù.
Tende le braccia, le spinge in alto verso il cielo
Chiude furibondo il pugno! Sembra agitato
Come se mille demoni l'afferrassero per i capelli".
Nonostante la giovane
età, Marx ha appena ventitre anni, le sue doti filosofiche sono
ormai universalmente riconosciute nell'ambiente dei giovani critici
berlinesi. Quale impressione il giovanissimo Marx esercitasse sui
contemporanei si può riconoscere da una lettera di Moses Hess,
allora principale esponente in Germania di un comunismo
filosofeggiante, scritta ad un amico nel settembre 1841:
"Puoi prepararti a
conoscere il più grande, forse l'unico autentico filosofo oggi
vivente, il quale, dove apparirà in pubblico (tramite i suoi scritti
o anche dalla cattedra), attirerà su di sé gli occhi di tutta la
Germania. Sia per la sua tendenza sia per la sua cultura filosofica
egli non solo supera Strauss, ma va anche al di là di Feuerbach
(...). Il dottor Marx, così si chiama il mio idolo, è un uomo
ancora molto giovane (ha circa 24 anni) che darà il colpo di grazia
alla religione e alla politica medievale; egli unisce alla più
profonda serietà filosofica uno spirito tra i più pungenti;
immaginati Rousseau, Holbach, Lessing, Heine e Hegel riuniti assieme
in una sola persona; dico riuniti, non gettati insieme alla rinfusa,
e avrai il dottor Marx".
Entrato nel Doktorclub, Marx, tutto preso dal dibattito filosofico, non si curò quasi più dei suoi studi universitari. Anzi, essendosi messo in mostra come uno dei più accesi giovani hegeliani, si accorse di aver irrimediabilmente compromesso le sue possibilità di laurearsi a Berlino. Nell'aprile 1841 decise, pertanto, di laurearsi nella più provinciale università di Jena, conosciuta come una università facile e il giorno 15 si laureò con una tesi sulla "Differenza fra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro".
La scelta dell'argomento
è significativa, così come altrettanto significativo è il taglio
dell'argomentazione. Confrontando i due massimi filosofi materialisti
dell'antichità, Marx contrappone al determinismo meccanicistico di
Democrito l'etica della libertà di Epicuro, "il vero radicale
illuminista dell'antichità". Marx corregge l'assunto di Hegel
secondo cui la dottrina atomistica di Democrito sarebbe stata
identica a quella di Epicuro. Egli dimostra invece che mentre
Democrito concepiva solo una necessità strettamente meccanica, la
filosofia epicurea conteneva in nuce elementi dialettici
profondamente innovativi. In estrema sintesi, Marx tenta qui una
conciliazione fra necessità e libertà, intravvedendone la soluzione
in un primo abbozzo del concetto di prassi.
La "Rheinische
Zeitung"
Finalmente fuori
dall'Università, Marx pensa in un primo momento, stimolato
dall'amico Bauer, libero docente di teologia a Bonn, di dedicarsi
all'insegnamento accademico. Ma il brusco licenziamento dello stesso
Bauer, accusato di "ateismo", costringe il giovane a
modificare radicalmente i propri progetti. Egli rinsalda i rapporti
con i giovani hegeliani ed in particolare con Arnold Ruge, già
editore della rivista radicale "Annali di Halle" che aveva
passato sei anni in carcere per cospirazione. Perseguitato dalla
censura, Ruge si era trasferito a Dresda dove dal luglio 1841
pubblicava la sua rivista col nuovo titolo di "Annali tedeschi".
Con Ruge, di sedici anni più anziano, Marx pensa di pubblicare una
nuova rivista, gli "Aneddoti sulla nuova filosofia tedesca e sul
giornalismo", approfittando del più tollerante clima politico
della Svizzera dove nel frattempo Ruge si è trasferito.
Il progetto però va alle
lunghe per mancanza di finanziatori e Marx, che nel frattempo ha
inviato a Ruge un duro articolo di critica alla legge sulla censura,
decide di dedicarsi a tempo pieno al giornalismo politico entrando
nella redazione di una rivista liberale da poco apparsa a Colonia, la
"Rheinische Zeitung".
Gli esponenti della
borghesia industriale e commerciale più radicale della Renania
avevano deciso di fondare un proprio organo politico per difendere i
propri interessi economici contro la feudalità e strappare
concessioni al governo nel senso di un deciso svecchiamento
dell'ordinamento giuridico del vecchio regno di Prussia, vera e
propria palla al piede per il dinamismo della nascente industria. La
proprietà decise di affidare questo giornale a esponenti della
sinistra hegeliana, fra cui Moses Hess, il "rabbino rosso",
come familiarmente veniva chiamato per le sue origini ebraiche e per
le idee comuniste.
Marx in quel momento
viveva a Bonn. Per alcuni mesi fu solo un collaboratore esterno che
inviava regolarmente i suoi articoli al giornale, poi, nel settembre
1842 si trasferì a Colonia per dedicarsi a tempo pieno al suo nuovo
lavoro di redattore. In questa attività il non ancora venticinquenne
Marx mise in luce una straordinaria maturità politica. Sotto la
guida di Marx la Gazzetta renana cerca di realizzare l'unificazione
di tutte le forze progressiste tedesche contro il regime reazionario
di Federico Guglielmo IV, superando le sterili contrapposizioni e
soprattutto abbandonando il terreno della mera critica filosofica per
la lotta politica aperta. La Gazzetta, scrive Marx in un editoriale,
deve "riportare sulla Germania gli sguardi che così numerosi
sono fissi sulla Francia e far nascere un liberalismo tedesco anzichè
francese".
Questo tentativo di
unificare tutte le forze progressiste tedesche porta ben presto Marx
a scontrarsi con i suoi vecchi amici berlinesi, Bruno Bauer compreso.
Marx critica duramente il loro massimalismo verbale, il gusto della
frase ad effetto destinata a far scandalo, il loro "romanticismo
politico, la loro ricerca dello stravagante e la loro millanteria"
che rischia di compromettere seriamente il "partito della
libertà". Pur se in un'ottica ancora largamente liberale, Marx
ragiona ormai in termini di strategia politica di lungo periodo. Non
c'è più posto nel suo pensiero per sfoghi intellettuali, la
battaglia politica viene prima di tutto. E lotta politica per Marx
vuol dire partito, cioè strategia, cioè critica radicale
dell'esistente, cioè analisi. Nei suoi articoli Marx, dando prova di
un'assoluta concretezza storico-sociale, sottopone ad una critica
implacabile tutte le istituzioni corporative e assolutistiche della
Germania del suo tempo così come demolisce con un rigore totale non
privo di ironia tutti i tentativi di accomodamento con esse degli
esitanti liberali tedeschi.
Marx, che nel frattempo è
stato nominato redattore capo, rifiuta un atteggiamento d'opposizione
su basi esclusivamente dottrinarie, come sostenuto dai "Liberi".
"La vera teoria - scrive - deve essere sviluppata e resa
evidente all'interno di situazioni concrete". Come abbiamo
visto, Marx si muove ancora in un'ottica totalmente liberale,
respinge quindi seccamente le accuse di comunismo rivolte alla
rivista dalla reazionaria "Gazzetta generale di Augusta", a
causa di un paio di articoli di Moses Hess in cui si recensivano le
teorie di Fourier. Tuttavia dal tono della risposta traspare un
interesse nuovo verso le teorie comuniste ed in particolare l'opera
di Proudhon:
"La Rheinische
Zeitung, che non può concedere alle idee comuniste, nella loro forma
odierna, neppure attualità teoretica, e quindi ancor meno può
desiderare o anche solo ritener possibile la loro pratica
realizzazione, sottoporrà queste idee a una critica approfondita. Se
però l'Augsburger pretendesse e desiderasse qualcosa di più che
frasi brillanti, comprenderebbe che scritti come quelli di Leroux,
Considérant e soprattutto la penetrante opera di Proudhon, non
possono essere criticati con trovate superficiali del momento, ma
solo dopo uno studio lungo, assiduo e molto approfondito".
Per il governo prussiano
le critiche della "Gazzetta renana" erano eccessive e la
tendenza del giornale sovversiva e antimonarchica. Tanto bastava a
decretare la morte della rivista, decisa dal consiglio dei ministri
del 21 gennaio 1843 alla presenza dello stesso sovrano. Marx non
drammatizzò l'accaduto. "Il governo - disse - mi ha ridato la
libertà. In Germania non posso combinare più nulla. Qui si
falsifica se stessi".
Marx abbandona il
giornale profondamente cambiato rispetto a come vi era entrato un
anno prima. Nel gennaio 1842 egli non era altro che un democratico
radicale, ma la quotidiana battaglia politica lo ha costretto a
scendere sul terreno della società concreta e a interessarsi della
situazione socio-economica dei contadini della Mosella, in via di
progressiva proletarizzazione poprio a causa dell'incalzante sviluppo
capitalistico. Di conseguenza, egli che fino ad allora si era
occupato quasi esclusivamente di filosofia e di diritto, ha dovuto
occuparsi sempre di più di economia e di questioni sociali.
Quando
abbandona la "Gazzetta renana" Marx non è ancora
comunista, ma ha già iniziato a considerare il comunismo come una
teoria degna di "uno studio lungo, assiduo e molto
approfondito". Le idee comuniste - scrive senza sapere di star
predicendo la propria vita futura - non possono essere prese alla
leggera. Una volta penetrate nell'animo e nell'intelletto "sono
vincoli dai quali non ci si strappa senza lacerarsi il cuore, sono
demoni che l'uomo può vincere soltanto sottomettendosi ad essi".