TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 11 maggio 2019

Il giovane Marx (1818-1843)



Quella che segue è la prima di quattro lezioni ad una scuola di partito per i giovani del PRC tenutasi a Savona nel 1996. Sono testi semplici, dal taglio didattico, ma pensiamo ancora di un qualche interesse per chi per la prima volta si avvicini al marxismo.

Giorgio Amico

Il giovane Marx (1818-1843)


Marx e Engels nascono entrambi in Renania, il primo a Treviri nel 1818, il secondo a Barmen nel 1820. I due grandi rivoluzionari crescono quindi nel clima soffocante della Restaurazione e del trionfo della Santa Alleanza, ma diventano adulti negli anni Trenta, nel pieno rifiorire dei movimenti rivoluzionari in tutta Europa sull'onda lunga della vittoriosa insurrezione di Parigi del luglio 1830, in una Germania dall'impetuoso sviluppo economico favorito dalla creazione nel 1834 dell'Unione doganale fra la miriade di regni e principati tedeschi.

Non si può comprendere a pieno l'ambiente in cui Marx e Engels maturano la loro personalità e di fatto pongono le premesse delle loro scelte future, se non si individuano le tendenze culturali dominanti dell'epoca e le grandi forze che animano la società europea dei primi decenni del XIX secolo.

Si tratta di processi giganteschi che trasformano radicalmente gli assetti economico-sociali di intere regioni d'Europa, colpendo duramente soprattutto nelle campagne il livello di vita di larga parte della popolazione. Processi che comportano la messa in discussione delle tradizionali concezioni relative al potere politico, alle forme della rappresentanza, al rapporto stato-società civile non solo nelle più progredite Inghilterra e Francia, ma anche nell'ancora arretrata Germania.


La rivoluzione industriale

Processi che vedono l'Inghilterra avanti di circa mezzo secolo rispetto alle zone più sviluppate dell'Europa continentale. È in Inghilterra, infatti, che attorno al 1760 vede la luce la moderna società industriale per un complesso di concause su cui non è possibile qui soffermarci, ma che risultano comunque determinanti, quali la favorevole collocazione geopolitica, il controllo delle principali rotte atlantiche, la disponibilità di ingenti risorse (capitali, manodopera, materie prime), l'effettivo compimento di un'accumulazione primitiva iniziata almeno a partire dal regno della grande Elisabetta che pone le fondamenta dell'impero e della potenza navale britannici.

Una produzione manifatturiera, già molto sviluppata e articolata, viene rivoluzionata dall'introduzione delle macchine a vapore. L'applicazione su larga scala di questa nuova fonte di energia ai processi produttivi che si compie in un arco di tempo di oltre mezzo secolo (1760-1825) determina la nascita della fabbrica moderna, la crisi irreversibile delle tradizionali attività economiche sia manifatturiere che agricole e la rapida decomposizione degli assetti sociali e politici che su di esse si fondavano. La società tradizionale, ancora in massima parte rurale, si disgrega rapidamente. Nascono e si moltiplicano le grandi città nel cuore dei nuovi distretti industriali e minerari. Le condizioni di vita e di lavoro peggiorano sensibilmente per larghi strati della popolazione. La miseria dilaga. Problemi nuovi, quali l'eccessivo tasso di natalità, la mancanza di abitazioni, l'inquinamento, si impongono con drammaticità all'attenzione degli intellettuali e dei governanti dell'epoca.

Friedrich Engels, che vive e lavora a Manchester, cuore dell'industria tessile britannica, descrive superbamente questi processi nel suo capolavoro giovanile "La condizione della classe operaia in Inghilterra", composto fra il settembre del 1844 e il marzo 1845. È di Engels il termine stesso "rivoluzione industriale" che da allora contraddistingue l'epoca. Ma Engels non si limita, come una miriade di filantropi e riformatori sociali a lui contemporanei, a denunciare i mali dell'industrialismo, contro i quali pure si scaglia con un ardore tutto giovanile. Egli vuole soprattutto capire, decifrare quello strano enigma sociale e politico che è il proletariato nascente. Per il giovane Engels l'Inghilterra rappresenta il "terreno classico", l'osservatorio privilegiato di processi destinati a travolgere in un futuro ormai prossimo anche la lontana Germania. L'Inghilterra è prima di tutto l'unico paese dove il proletariato, che della rivoluzione industriale rappresenta il principale frutto, può "venir studiato in tutti i suoi rapporti e da tutti i lati".


La progressiva disgregazione della società tradizionale, il rapido e inarrestabile peggioramento delle condizioni di vita delle grandi masse inurbate sono analizzate da Engels in pagine ancora oggi attualissime. Le condizioni di lavoro sono inumane, i ritmi estenuanti, neppure donne e bambini vengono risparmiati. Anzi, l'ipocrita morale puritana delle classi possidenti vede nel lavoro minorile e femminile un argine alla depravazione dei costumi dovuta all'ozio forzato e alla promiscuità.

Ogni protesta, ogni accenno di rivolta viene brutalmente repressa sul nascere. Ai proletari divisi, privi di organizzazione e di coscienza di classe non resta che la via del sabotaggio, strumento primordiale e disperato di lotta, che nel nome stesso riecheggia i ricordi di una non ancora superata condizione rurale. Gli operai si accaniscono contro le macchine, individuate come il principale nemico, il mostro da abbattere. È la macchina che distrugge i posti di lavoro, che risucchia le energie mentali e fisiche dei lavoratori, che mutila i loro corpi, che simboleggia lo spietato e impersonale dominio del capitale. La reazione della "civile" Inghilterra è feroce: il sabotaggio, il tentativo di distruggere le macchine è punito con la morte. Nelle piazze dei nascenti centri industriali inglesi si moltiplicano le forche, monito quotidiano per i proletari.

Nonostante tutto la classe operaia si organizza. Come un secolo più tardi scriverà Lenin, è la fabbrica stessa a creare le condizioni per l'organizzazione dei proletari. Nel 1791 nasce a Londra la prima associazione operaia, la "Società di corrispondenza", allo scopo di collegare le disperse realtà operaie. Gli obiettivi non sono solo economici. Nel 1792 al momento dell'instaurazione a Parigi della repubblica, nonostante lo stato di guerra in corso fra i due paesi, la Società invia un fraterno messaggio di solidarietà ai rivoluzionari francesi.

La paura spinge l'oligarchia inglese ad adottare sempre nuove misure contro il nascente movimento operaio. Ogni forma di associazione fra i proletari è vietata, lo sciopero è punito con la deportazione nelle colonie e nei casi più gravi con la morte. Ma la repressione, per quanto cieca e brutale, non ferma il progredire della coscienza di classe. Inevitabilmente la protesta si trasforma in rivolta, lo sciopero in insurrezione. Nel 1819 il proletariato di Manchester insorge. La polizia non basta più, deve intervenire l'esercito. Il movimento è stroncato nel sangue, ma l'oligarchia comprende che è giunto il momento di fare concessioni. Nel 1824 la "Legge sulle coalizioni" legalizza l'esistenza delle prime rudimentali associazioni sindacali. A partire dal 1830, sotto l'influenza della parigina rivoluzione di luglio, l'Inghilterra è teatro di una nuova ondata rivoluzionaria. In tutto il paese si sviluppa un forte movimento per il riconoscimento al popolo del diritto di voto. Il proletariato si riscopre portatore di valori universali. Allora come oggi la classe operaia con le sue lotte per il salario e il lavoro fa da traino alla lotta per l'estensione e la generalizzazione dei diritti politici. Allora come oggi la lotta in fabbrica apre la strada alla lotta per la democratizzazione della società.


La rivoluzione francese

"Eguaglianza, fraternità, libertà", le parole d'ordine della rivoluzione francese, lasciate cadere dalla borghesia trionfante, vengono riprese dal proletariato che le iscrive sulle proprie bandiere. E alla rivoluzione francese ed in particolare all'esperienza giacobina guardano i primi dirigenti e teorici operai. È nella Francia rivoluzionaria che per la prima volta il "popolo" è diventato protagonista della storia e in suo nome si è combattuto. È nella Francia rivoluzionaria che per la prima volta l'ordine sociale è stato colpito nei suoi pilastri: la sacralità della monarchia, fonte di ogni legittimità e di ogni potere e l'intangibilità della proprietà privata, messa in discussione dall'esproprio rivoluzionario dei beni del clero e dell'aristocrazia.

Il bonapartismo prima, la Restaurazione poi frenano il processo rivoluzionario, ma non possono certo deviarne il corso. La rivoluzione del 1830 porta alla nascita della monarchia costituzionale di Luigi Filippo, il "re borghese" che apre al capitale finanziario la via per il dominio anche politico sulla società.

Diventata la borghesia nel suo complesso classe dominante, anche in Francia come già in Inghilterra, la classe operaia si ritrova sola a difendere quei principi di libertà e di giustizia per i quali si era fino ad allora mobilitata l'intera società civile. Ma se nella evoluta Inghilterra il proletariato può iniziare a percorrere la via dell'associazionismo sindacale e dell'azione politica di massa, nella Francia, che solo allora inizia ad uscire dall'arretratezza, dove il proletariato è ancora imbrigliato nelle pastoie della tradizionale organizzazione corporativa e dove fortissimo permane il ricordo del rigore rivoluzionario di Robespierre e dell'eroico primitivo comunismo di Babeuf, il difficile e travagliato formarsi di una moderna coscienza di classe tra gli oppressi si manifesta ancora sotto le vecchie vesti della cospirazione massonica e dell'organizzazione settaria.



Il socialismo utopistico

E d'altronde, come si è visto, la Francia resta il paese dove, per la prima volta la "Cospirazione degli Eguali" di Gracco Babeuf aveva additato ai proletari contro il rapido degenerare della rivoluzione la via del comunismo. E nel nome di Babeuf prima Filippo Buonarroti, il "grande vecchio" dei movimenti rivoluzionari nell'Europa della Restaurazione, poi il suo discepolo Auguste Blanqui percorrono la via della cospirazione e dell'insurrezione sulla base di un'incrollabile fiducia nella realizzabilità storica di un comunismo filosofico, carico di suggestioni illuministiche, ma privo di una scientifica analisi delle contraddizioni di classe.

Una società, quella sognata da Buonarroti e da Blanqui, di "liberi ed eguali", regno della giustizia e della libertà. Una società da instaurarsi mediante la presa del potere da parte di un gruppo di congiurati, apostoli della "causa dell'umanità sofferente" e l'esercizio di una spietata dittatura contro tutti i sostenitori del vecchio mondo. Un sogno eroico e generoso, ma che vedendo nel proletariato solo una massa di diseredati e di oppressi, non è in grado di cogliere la reale portata dei processi in atto e quindi additare ai proletari una via di liberazione in grado di andare oltre il rifiuto dell'esistente. Ed il tragico fallimento del tentativo insurrezionale della "Società delle stagioni" nel maggio 1839 con l'arresto e la condanna al carcere a vita per Blanqui, segnerà con ogni evidenza l'illusorietà di queste generose speranze.

Speranze che si diffondono con il lievitare stesso del modo di produzione capitalistico oltre i confini della Britannia. Teorie socialiste a sfondo religioso o filosofico si moltiplicano, unite nel denunciare i guasti di un'industrializzazione di cui non si colgono le forze motrici né l'autentica natura, divise nei rimedi prospettati per giungere finalmente al regno dell'armonia e della ragione.

Colpito dal dilagare della disoccupazione e della miseria nonostante il rapido accrescersi della ricchezza sociale, Robert Owen (1771-1858), un industriale tessile inglese, intorno al 1820 inizia a elaborare un complesso schema di società ideale fondata sull'adozione di misure cooperative e comunitarie mirate a garantire la piena occupazione e l'equa distribuzione della ricchezza prodotta. Di natura più filosofica è invece il socialismo di Charles Fourier (1772-1837), teorico della "Grande Armonia" che si raggiungerà in una società rigidamente pianificata e organizzata in grandi unità produttive, le "Falangi", e abitative, i "Falansteri". Accenti di acceso misticismo assume poi il pensiero di Claude Henri de Saint-Simon, profeta di un nuovo cristianesimo con venature tecnocratiche a misura di una società industriale purificata dagli egoismi di classe e affratellata nel culto del progresso tecnologico e scientifico.

   Casa natale di Karl Marx a Treviri

La Germania nei primi decenni del XIX secolo

In questo contesto europeo, caratterizzato dal prepotente esplodere della rivoluzione industriale e dal diffondersi di teorie e movimenti a sfondo ingenuamente socialista, la Germania ha un ruolo marginale. Come l'Italia, la Germania post Congresso di Vienna non è nulla più di una "espressione geografica": 39 fra Stati e Staterelli che poco hanno in comune, se si eccettua la lingua e una storia gloriosa alle spalle. Una realtà arretrata. I tre quarti della popolazione vivono ancora nelle campagne, non esistono grandi città, a livello manifatturiero predomina largamente il piccolo artigianato ancora organizzato secondo il modello delle corporazioni medievali. Eppure la Germania cova potenzialità gigantesche che si manifesteranno a pieno a partire dagli anni Trenta ed in particolare dall'Unione doganale del 1834 che crea un unico mercato tedesco.

Tra il 1830 e il 1842 la produzione mineraria raddoppia, quella metallurgica triplica, mentre l'industria dei beni di consumo cresce di ben otto volte rispetto ai livelli del 1810. Tra il 1837 e il 1848 il numero delle macchine a vapore installate nelle fabbriche tedesche triplica, riducendo il ritardo nei confronti dell'Inghilterra ancora nel 1830 calcolabile in cinquanta anni. Questo impetuoso sviluppo economico comporta, come d'altronde già avvenuto in Inghilterra e in Francia, una vera e propria esplosione demografica. In soli quarant'anni, tra il 1815 e il 1855, la popolazione tedesca aumenta di oltre il cinquanta per cento. Le città, pure in rapida crescita, e l'apparato produttivo non sono in grado di stare dietro a questi ritmi. La disgregazione dei tradizionali assetti economici delle campagne aggrava la situazione. La soluzione sarà l'emigrazione verso le già congestionate aree industriali inglesi e francesi o la partenza verso il sogno rappresentato dagli Stati Uniti, paese senza passato e senza frontiere in grado di assicurare a tutti un futuro fatto di lavoro e di libertà. Tra il 1818 e il 1848 oltre un milione di tedeschi prenderà la strada dell'emigrazione, andando a costituire a Parigi, Londra, Bruxelles, New York vere e proprie colonie, autentiche fucine di comunismo, nell'ambito delle quali Marx e Engels svolgeranno gran parte della loro attività politica.

Vero e proprio crocevia d'Europa, la regione della Renania Westfalia, terra di frontiera fra mondo tedesco e francofono, traversata dal Reno, da sempre asse di collegamento tra il mare del Nord e il cuore delle Alpi, rappresenta il luogo di incubazione di tutti i fermenti che agitano il continente.

    Scorpione e Felice, romanzo giovanile di K. Marx

Il giovane Marx: gli anni dell'adolescenza

Karl Marx nasce il 5 maggio 1818 a Treviri, una cittadina di circa dodicimila abitanti, centro amministrativo di una qualche importanza, da pochi anni ritornata alla Prussia dopo che dal 1795 al 1814 era stata annessa alla Francia. La famiglia Marx è un'antica famiglia ebraica, ma il padre di Karl, Heinrich, nel 1817 si converte al cristianesimo, costretto a ciò dalle leggi antisemite del regno di Prussia che vietano ad un ebreo di assumere cariche pubbliche. Nonostante Heinrich manifesti in campo religiose un blando deismo di stampo illuministico, la famiglia mantiene un certo attaccamento alla fede degli avi. I figli, tra cui il piccolo Karl, vengono battezzati solo nel 1824, mentre la madre, Henriette, una donna semplice di cui si sa molto poco, si convertì l'anno seguente. Nella famiglia Marx c'erano nove figli, ma cinque erano morti ancora piccoli. Dei sopravissuti Karl era il maggiore e l'unico maschio.

Di lui bambino non si conosce quasi nulla se non brevi accenni ad un carattere già dai primi anni piuttosto deciso. Di certo la famiglia conduceva una vita agiata e serena, grazie alla posizione sociale di Heinrich Marx, funzionario di una certa importanza dell'amministrazione prussiana, membro influente della buona società cittadina, esponente di primo piano degli ambienti liberali. Con il padre, "un vero francese del Settecento che sapeva a memoria il suo Voltaire e il suo Rousseau", il giovane Karl andava molto d'accordo. Secondo Eleanor Marx, Karl, ormai adulto, portava sempre con sé il ritratto del padre che aveva perso presto, nel 1838. Molto più difficili furono i rapporti con la madre. Per tutta la vità, la donna morì nel 1863 quando Karl era ormai un uomo maturo, essa rimproverò al figlio di aver sprecato la sua vita, di non aver raggiunto una posizione sociale corrispondente alle sue doti intellettuali e al rango della famiglia.

Nel quinquennio 1830-1835 Karl frequentò il liceo di Treviri, caratterizzato da un corpo docente moderatamente liberale. Degli anni liceali il poco che resta, qualche componimento dell'esame di licenza, riflette l'immagine di un adolescente pieno di idealismo e di entusiasmo, che sogna di sacrificarsi per il bene dell'umanità. Nella prova di tedesco, intitolata "Considerazioni di un giovane sulla scelta del proprio avvenire", il giovane Karl respinge decisamente l'ambizione come base per la scelta di una carriera e con un entusiasmo tutto giovanile scrive:

"La storia chiama grandi uomini quelli che, mentre operavano per la comunità, nobilitarono se stessi; l'esperienza esalta come il più felice quegli che rese felice il maggior numero di uomini; (...) Quando abbiamo scelto la condizione nella quale possiamo più efficacemente operare per l'umanità, allora gli oneri non possono più schiacciarci, perché essi sono soltanto un sacrificio pel bene di tutti, allora non gustiamo più una gioia povera, angusta ed egoistica, ché anzi la nostra felicità appartiene a milioni, le nostre imprese vivono pacifiche, ma eternamente operanti, e le nostre ceneri saranno bagnate dalle lacrime ardenti di uomini nobili".

Questa ingenua professione di fede, che i suoi insegnanti considerarono eccessivamente retorica, era in realtà la prima manifestazione di un ideale, al quale egli rimarrà per sempre fedele e per il quale sacrificherà la sua vita.

   Jenny von Westphalen

Gli studi universitari: Marx e la Sinistra hegeliana

Terminato il liceo, Karl Marx si iscrive all'Università di Bonn alla facoltà di giurisprudenza. Anche su questo periodo si hanno notizie scarse e indirette. Sicuramente il giovane non si dedicò allo studio con quell'assiduità che il padre avrebbe desiderato. In quel periodo Kal si fidanza con una amica d'infanzia, Jenny von Westphalen, "la più bella ragazza di Treviri", come decenni più tardi egli stesso ebbe a definirla. Fu un amore travagliato, ma travolgente. Proveniente da una delle più illustri famiglie dell'aristocrazia prussiana, Jenny, di qualche anno più vecchia di Karl, dovette superare gli ostacoli posti a questa relazione da una parte della sua famiglia.

Nell'Università di Bonn il romanticismo dominava e lo stesso Karl ne fu influenzato. Invece di dedicarsi ai severi studi giuridici, egli si mise a studiare letteratura e a comporre poesie, non disdegnando di condurre una vita allegra, tanto da essere condannato a un giorno di carcere per ubriachezza e schiamazzi notturni nel giugno 1836 e nell'agosto successivo restare leggermente ferito nel corso di un duello alla sciabola con uno studente membro di un'associazione goliardica rivale.

In complesso l'anno trascorso a Bonn si risolse in un fallimento, per cui il padre, allarmato dagli eccessi del giovane e dai debiti non indifferenti che questi aveva accumulato, decise di iscriverlo alla molto più severa Università di Berlino. Una "casa di correzione" secondo la definizione di Ludwig Feuerbach, per il quale le altre università altro non erano che "taverne".

Se Berlino era in forte ritardo sulle dinamiche città industriali della Renania, restava di certo, con i suoi 300.000 abitanti, la più grande città tedesca, seconda soltanto a Vienna per importanza. L'ambiente ideale per un giovane pieno di vitalità e voglia di fare.

Giunto a Berlino, Marx si dedicò agli studi con passione, dedicandosi in particolare, oltre che al diritto, alla storia antica e moderna, all'arte, alla letteratura e naturalmente alla filosofia. Tra i filosofi lesse con avidità gli scritti di Kant, Fichte, Schelling, Spinoza, Hume, Leibniz, Aristotele e Bacone, mentre ostentatamente trascurò Hegel, il cui pensiero dichiarava di trovare "roccioso". Costretto a un periodo di riposo a causa di una malattia, Marx si dedicò allo studio approfondito della filosofia hegeliana. L'impressione che ne ricavò fu profondissima. Alla fine del 1837 Marx è ormai un hegeliano convinto, tanto da aderire al Doktorclub, un'associazione di studenti, giovani insegnanti e pubblicisti accomunati da un'identico interesse per le questioni letterarie e filosofiche e per la comune militanza nella sinistra hegeliana. In realtà le dispute accademiche celavano più profondi problemi politici. 

Nel clima repressivo del Regno di Prussia, dove un'occhiuta censura vigilava a impedire ogni manifestazione di libero pensiero, le aspirazioni politiche erano obbligate a camuffarsi in vesti di tendenze filosofiche astratte. I sostenitori del potere regio e dell'autorità della Chiesa, si atteggiavano a difensori ad oltranza del sistema hegeliano preso nel suo complesso, insistendo su di una interpretazione conservatrice e integralista del pensiero di Hegel, assunto alla lettera in tutte le sue articolazioni. I fautori del rinnovamento politico e culturale, che si definivano "giovani hegeliani" o "sinistra hegeliana", insistevano invece sempre di più sugli aspetti rivoluzionari del metodo hegeliano, sulla dialettica hegeliana, per la quale nulla ha stabilità, tutto è concepito in un divenire che è eterno superamento. I giovani hegeliani denunciavano soprattutto gli aspetti contradditori del pensiero hegeliano, la sua trasformazione da filosofia rivoluzionaria a teologia, a giustificazione dell'esistente ed in particolare del trono e dell'altare. In particolare essi tentavano di interpretare la dialettica come principio della trasformazione della realtà, in senso non solo spirituale, ma anche sociale e politico.

        Discussione al  Doktorclub

Non potendo per ovvi motivi di prudenza attaccare apertamente la monarchia, la critica dei giovani hegeliani si era rivolta contro la religione che del potere regio rappresentava il principale puntello ideologico. Nel 1835 David Friedrich Strauss aveva pubblicato la sua "Vita di Gesù", il primo attacco di un hegeliano ai fondamenti della religione ufficiale. La lotta diretta prima contro le deformazioni del cristianesimo da parte delle Chiese, per una conciliazione del messaggio cristiano con il moderno spirito critico, si trasformò ben presto in lotta aperta contro la stessa religione. Bruno Bauer, libero docente di teologia, radicalizzò la critica di Strauss attaccando esplicitamente i vangeli, considerati niente di più che una raccolta di miti. Fin dal principio Marx si trovò schierato con l'ala estrema. A questo proposito scrisse pochi anni dopo:

"La critica della religione è la condizione necessaria di ogni critica. Il fondamento della critica antireligiosa è il seguente: è l'uomo che fa la religione non è la religione che fa l'uomo. Ma l'uomo non è un essere astratto, estraneo al mondo reale. L'uomo è il mondo dell'uomo, è lo stato, la società. Questo stato, questa società, che sono un mondo assurdo, producono la religione, assurda concezione del mondo. La religione è la realizzazione fantastica dell'essere umano, giacchè l'essere umano non possiede una vera realtà. La lotta contro la religione è dunque indirettamente una lotta contro un mondo di cui essa rappresenta l'aroma spirituale".

L'atteggiamento apertamente repressivo nei confronti dei giovani hegeliani da parte delle autorità accademiche spinse il Doktorclub sempre più all'opposizione. Da una posizione di sostegno all'ipotesi di una monarchia liberal-costituzionale, il club passò all'estrema sinistra del repubblicanesimo rivoluzionario, intitolandosi "Gli amici del popolo".

Il giovane Karl si mise ben presto in luce non solo per le doti intellettuali, ma anche per lo straordinario impegno che metteva in tutto quello che faceva. Così lo descrive una poesiola ironica dell'epoca:

"Chi balza con impeto selvaggio?
È un nero caposcarico, torel di buona razza.
Va, corre, salta, balza a suo talento,
Animato da eroico furore! Come un gigante
Che voglia abbracciare l'immensa volta dei cieli
E tirarla giù.
Tende le braccia, le spinge in alto verso il cielo
Chiude furibondo il pugno! Sembra agitato
Come se mille demoni l'afferrassero per i capelli".




Nonostante la giovane età, Marx ha appena ventitre anni, le sue doti filosofiche sono ormai universalmente riconosciute nell'ambiente dei giovani critici berlinesi. Quale impressione il giovanissimo Marx esercitasse sui contemporanei si può riconoscere da una lettera di Moses Hess, allora principale esponente in Germania di un comunismo filosofeggiante, scritta ad un amico nel settembre 1841:

"Puoi prepararti a conoscere il più grande, forse l'unico autentico filosofo oggi vivente, il quale, dove apparirà in pubblico (tramite i suoi scritti o anche dalla cattedra), attirerà su di sé gli occhi di tutta la Germania. Sia per la sua tendenza sia per la sua cultura filosofica egli non solo supera Strauss, ma va anche al di là di Feuerbach (...). Il dottor Marx, così si chiama il mio idolo, è un uomo ancora molto giovane (ha circa 24 anni) che darà il colpo di grazia alla religione e alla politica medievale; egli unisce alla più profonda serietà filosofica uno spirito tra i più pungenti; immaginati Rousseau, Holbach, Lessing, Heine e Hegel riuniti assieme in una sola persona; dico riuniti, non gettati insieme alla rinfusa, e avrai il dottor Marx".

Entrato nel Doktorclub, Marx, tutto preso dal dibattito filosofico, non si curò quasi più dei suoi studi universitari. Anzi, essendosi messo in mostra come uno dei più accesi giovani hegeliani, si accorse di aver irrimediabilmente compromesso le sue possibilità di laurearsi a Berlino. Nell'aprile 1841 decise, pertanto, di laurearsi nella più provinciale università di Jena, conosciuta come una università facile e il giorno 15 si laureò con una tesi sulla "Differenza fra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro".

La scelta dell'argomento è significativa, così come altrettanto significativo è il taglio dell'argomentazione. Confrontando i due massimi filosofi materialisti dell'antichità, Marx contrappone al determinismo meccanicistico di Democrito l'etica della libertà di Epicuro, "il vero radicale illuminista dell'antichità". Marx corregge l'assunto di Hegel secondo cui la dottrina atomistica di Democrito sarebbe stata identica a quella di Epicuro. Egli dimostra invece che mentre Democrito concepiva solo una necessità strettamente meccanica, la filosofia epicurea conteneva in nuce elementi dialettici profondamente innovativi. In estrema sintesi, Marx tenta qui una conciliazione fra necessità e libertà, intravvedendone la soluzione in un primo abbozzo del concetto di prassi.


La "Rheinische Zeitung"

Finalmente fuori dall'Università, Marx pensa in un primo momento, stimolato dall'amico Bauer, libero docente di teologia a Bonn, di dedicarsi all'insegnamento accademico. Ma il brusco licenziamento dello stesso Bauer, accusato di "ateismo", costringe il giovane a modificare radicalmente i propri progetti. Egli rinsalda i rapporti con i giovani hegeliani ed in particolare con Arnold Ruge, già editore della rivista radicale "Annali di Halle" che aveva passato sei anni in carcere per cospirazione. Perseguitato dalla censura, Ruge si era trasferito a Dresda dove dal luglio 1841 pubblicava la sua rivista col nuovo titolo di "Annali tedeschi". Con Ruge, di sedici anni più anziano, Marx pensa di pubblicare una nuova rivista, gli "Aneddoti sulla nuova filosofia tedesca e sul giornalismo", approfittando del più tollerante clima politico della Svizzera dove nel frattempo Ruge si è trasferito.

Il progetto però va alle lunghe per mancanza di finanziatori e Marx, che nel frattempo ha inviato a Ruge un duro articolo di critica alla legge sulla censura, decide di dedicarsi a tempo pieno al giornalismo politico entrando nella redazione di una rivista liberale da poco apparsa a Colonia, la "Rheinische Zeitung".

Gli esponenti della borghesia industriale e commerciale più radicale della Renania avevano deciso di fondare un proprio organo politico per difendere i propri interessi economici contro la feudalità e strappare concessioni al governo nel senso di un deciso svecchiamento dell'ordinamento giuridico del vecchio regno di Prussia, vera e propria palla al piede per il dinamismo della nascente industria. La proprietà decise di affidare questo giornale a esponenti della sinistra hegeliana, fra cui Moses Hess, il "rabbino rosso", come familiarmente veniva chiamato per le sue origini ebraiche e per le idee comuniste.

Marx in quel momento viveva a Bonn. Per alcuni mesi fu solo un collaboratore esterno che inviava regolarmente i suoi articoli al giornale, poi, nel settembre 1842 si trasferì a Colonia per dedicarsi a tempo pieno al suo nuovo lavoro di redattore. In questa attività il non ancora venticinquenne Marx mise in luce una straordinaria maturità politica. Sotto la guida di Marx la Gazzetta renana cerca di realizzare l'unificazione di tutte le forze progressiste tedesche contro il regime reazionario di Federico Guglielmo IV, superando le sterili contrapposizioni e soprattutto abbandonando il terreno della mera critica filosofica per la lotta politica aperta. La Gazzetta, scrive Marx in un editoriale, deve "riportare sulla Germania gli sguardi che così numerosi sono fissi sulla Francia e far nascere un liberalismo tedesco anzichè francese".

Questo tentativo di unificare tutte le forze progressiste tedesche porta ben presto Marx a scontrarsi con i suoi vecchi amici berlinesi, Bruno Bauer compreso. Marx critica duramente il loro massimalismo verbale, il gusto della frase ad effetto destinata a far scandalo, il loro "romanticismo politico, la loro ricerca dello stravagante e la loro millanteria" che rischia di compromettere seriamente il "partito della libertà". Pur se in un'ottica ancora largamente liberale, Marx ragiona ormai in termini di strategia politica di lungo periodo. Non c'è più posto nel suo pensiero per sfoghi intellettuali, la battaglia politica viene prima di tutto. E lotta politica per Marx vuol dire partito, cioè strategia, cioè critica radicale dell'esistente, cioè analisi. Nei suoi articoli Marx, dando prova di un'assoluta concretezza storico-sociale, sottopone ad una critica implacabile tutte le istituzioni corporative e assolutistiche della Germania del suo tempo così come demolisce con un rigore totale non privo di ironia tutti i tentativi di accomodamento con esse degli esitanti liberali tedeschi.


Marx, che nel frattempo è stato nominato redattore capo, rifiuta un atteggiamento d'opposizione su basi esclusivamente dottrinarie, come sostenuto dai "Liberi". "La vera teoria - scrive - deve essere sviluppata e resa evidente all'interno di situazioni concrete". Come abbiamo visto, Marx si muove ancora in un'ottica totalmente liberale, respinge quindi seccamente le accuse di comunismo rivolte alla rivista dalla reazionaria "Gazzetta generale di Augusta", a causa di un paio di articoli di Moses Hess in cui si recensivano le teorie di Fourier. Tuttavia dal tono della risposta traspare un interesse nuovo verso le teorie comuniste ed in particolare l'opera di Proudhon:

"La Rheinische Zeitung, che non può concedere alle idee comuniste, nella loro forma odierna, neppure attualità teoretica, e quindi ancor meno può desiderare o anche solo ritener possibile la loro pratica realizzazione, sottoporrà queste idee a una critica approfondita. Se però l'Augsburger pretendesse e desiderasse qualcosa di più che frasi brillanti, comprenderebbe che scritti come quelli di Leroux, Considérant e soprattutto la penetrante opera di Proudhon, non possono essere criticati con trovate superficiali del momento, ma solo dopo uno studio lungo, assiduo e molto approfondito".

Per il governo prussiano le critiche della "Gazzetta renana" erano eccessive e la tendenza del giornale sovversiva e antimonarchica. Tanto bastava a decretare la morte della rivista, decisa dal consiglio dei ministri del 21 gennaio 1843 alla presenza dello stesso sovrano. Marx non drammatizzò l'accaduto. "Il governo - disse - mi ha ridato la libertà. In Germania non posso combinare più nulla. Qui si falsifica se stessi".

Marx abbandona il giornale profondamente cambiato rispetto a come vi era entrato un anno prima. Nel gennaio 1842 egli non era altro che un democratico radicale, ma la quotidiana battaglia politica lo ha costretto a scendere sul terreno della società concreta e a interessarsi della situazione socio-economica dei contadini della Mosella, in via di progressiva proletarizzazione poprio a causa dell'incalzante sviluppo capitalistico. Di conseguenza, egli che fino ad allora si era occupato quasi esclusivamente di filosofia e di diritto, ha dovuto occuparsi sempre di più di economia e di questioni sociali. 

Quando abbandona la "Gazzetta renana" Marx non è ancora comunista, ma ha già iniziato a considerare il comunismo come una teoria degna di "uno studio lungo, assiduo e molto approfondito". Le idee comuniste - scrive senza sapere di star predicendo la propria vita futura - non possono essere prese alla leggera. Una volta penetrate nell'animo e nell'intelletto "sono vincoli dai quali non ci si strappa senza lacerarsi il cuore, sono demoni che l'uomo può vincere soltanto sottomettendosi ad essi".