Partito da iniziali
posizioni di liberalismo democratico, Marx approdò presto ad una
visione comunista della storia e della politica. Fondamentale fu il
suo soggiorno a Parigi e il contatto con le organizzazioni degli
operai francesi. Lì Marx scoprì un mondo che non conosceva e che lo
conquistò per tutta la vita.
Giorgio Amico
Karl Marx, dal
liberalismo al comunismo (1843-1847)
Il fallimento della
"Gazzetta Renana" convince Marx dell'impossibilità di
svolgere un'azione politica di un qualche significato in Germania,
così come del fatto che la sinistra hegeliana abbia ormai del tutto
esaurita la sua funzione di coscienza critica della società tedesca.
Riflettendo sulla situazione tedesca e sulla rapida parabola dei
giovani hegeliani, Marx concluderà che il pensiero critico è stato
sconfitto perché si è isolato dalle forze vive della società.
Incapace di divenire teoria della rivoluzione, la filosofia critica
non è stata in grado di passare dal mondo astratto delle idee al
terreno concreto delle lotte sociali. Per realizzarsi la filosofia
deve incarnarsi nel proletariato, l'arma della critica trasformarsi
nella critica delle armi.
"L'arma della
critica - scrive Marx - non può rimpiazzare la critica delle armi,
la forza materiale deve essere abbattuta per mezzo della forza
materiale, ma la teoria diventa, essa pure, una forza materiale,
quand'essa si impadronisce delle masse".
Occorre, dunque, entrare
in contatto con il proletariato, confrontarsi con le teorie che il
movimento operaio sta faticosamente elaborando. E questo significa in
primo luogo abbandonare la Germania per la Francia dove le teorie
socialiste avevano largamente preso campo nel proletariato.
Marx a Parigi
Marx accolse pertanto con
favore la proposta di Ruge di partecipare alla redazione di una nuova
serie di quaderni mensili, gli "Annali franco-tedeschi",
rivolti agli intellettuali rivoluzionari dei due paesi. Scopo della
rivista era realizzare una "alleanza intellettuale" tra il
meglio del movimento democratico di Francia e Germania, riunificando
la teoria critica degli intellettuali tedeschi con la pratica
politica avanzata degli operai francesi.
Una lettera a Ruge del
settembre 1843, successivamente pubblicata proprio negli "Annali"
chiarisce l'importanza che il giovane Marx ormai attribuisce alla
lotta politica di contro alle fumose speculazioni ideologiche: "Come
la religione è l'indice delle battaglie teoretiche degli uomini, lo
stato politico lo è delle loro battaglie pratiche. Lo stato politico
esprime quindi all'interno della sua forma, sub specie rei publicae,
tutte le lotte, le esigenze, le verità sociali. (...). Il critico
dunque non solo può, ma deve interessarsi dei problemi politici
(...). Il nostro motto sarà quindi: riforma della coscienza, non
mediante dogmi, bensì mediante l'analisi della coscienza mistica
oscura a se stessa, sia che si presenti in modo religioso, sia in
modo politico. Si vedrà allora come da tempi il mondo possiede il
sogno di una cosa, di cui non ha che da possedere la coscienza, per
possederla realmente. Sarà chiaro come non si tratti di tirare una
linea retta tra passato e futuro, ma di realizzare le idee del
passato. Si vedrà infine come l'umanità non incominci un lavoro
nuovo, ma venga consapevolmente a capo del suo antico lavoro.
Possiamo dunque sintetizzare in una parola la tendenza della nostra
rivista: autochiarificazione (filosofia critica) del nostro tempo in
relazione alle sue lotte e ai suoi desideri. Questo è un lavoro per
il mondo e per noi. Esso può derivare solo da un unione di forze".
L'unione di "coloro
che pensano" e di "coloro che soffrono", cioè degli
intellettuali rivoluzionari e dei lavoratori, come significativamente
aveva scritto sempre a Ruge nel mese di maggio: "Da parte
nostra, dobbiamo portare completamente alla luce del giorno il
vecchio mondo e creare positivamente il mondo nuovo. Quanto più a
lungo gli eventi lasceranno all'umanità che pensa tempo per
riflettere e all'umanità che soffre tempo per unirsi, tanto più
perfetto verrà al mondo il frutto che il presente porta in grembo".
A convincere Marx fu
anche la promessa di Ruge di garantirgli uno stipendio fisso come
redattore della rivista su cui avrebbero scritto i nomi più illustri
del socialismo francese. E per il giovane Karl questo significava
soprattutto la possibilità di sposarsi con la sua Jenny.
"Firmato il
contratto - scrive a Ruge - mi recherò a Kreuznach, dove mi sposerò.
Posso assicurarvi, senza alcuna romanticheria, che sono perdutamente
eppure molto seriamente innamorato. Sono fidanzato da più di sette
anni, e la mia fidanzata si è quasi rovinata la salute sostenendo
per me le più dure lotte sia contro la sua famiglia, bigotta e
aristocratica, (...) sia contro la mia famiglia, nella quale si sono
insinuati dei pretonzoli. (...). La mia fidanzata ed io abbiamo così,
per anni, sostenuto parecchie lotte inutili ed estenuanti, più di
tanti altri che hanno tre volte la nostra età e che parlano
continuamente della loro "esperienza della vita",
espressione favorita nella nostra buona società".
Come si legge nei
registri dell'epoca, il 13 giugno 1843 ebbe luogo il matrimonio del
"signor Karl Marx, dottore in filosofia, domiciliato a Colonia,
con la signorina Johanna Bertha Julia Jenny von Westphalen, senza
professione, domiciliata a Kreuznach". Quattro mesi più tardi
la coppia si trasferisce a Parigi dove era stata fissata la redazione
degli "Annali" e dove già si trovava Ruge.
Gli "Annali
franco-tedeschi"
Nonostante le grandi
speranze di Marx e Ruge, il progetto stentò a partire. Non un solo
intellettuale francese accettò di scrivere sulla rivista, così come
sul versante tedesco Feuerbach e altri noti intellettuali rifiutarono
con varie motivazioni di collaborare all'iniziativa. Il primo numero
dei "Deutsch-französische Jahrbücher" poté uscire solo
alla fine di febbraio del 1844. Era destinato a restare l'unico.
Il numero conteneva due
articoli di Marx. Uno, "La questione ebraica", rappresenta
la risposta a due opere di Bruno Bauer, mentre l'altro, intitolato
"Per la critica della filosofia del diritto di Hegel",
vuole essere l'inizio del definitivo superamento della filosofia
hegeliana.
Anni più tardi nella
prefazione a "Per la critica dell'economia politica" sarà
Marx stesso a chiarire il senso profondo del suo distacco da Hegel:
"Il primo lavoro intrapreso per sciogliere i dubbi che mi
assillavano fu una revisione critica della filosofia del diritto di
Hegel (...). La mia ricerca arrivò alla conclusione che tanto i
rapporti giuridici quanto le forme dello stato non possono essere
compresi né per se stessi, né per la cosiddetta evoluzione in
generale dello spirito umano, ma hanno le loro radici, piuttosto, nei
rapporti materiali dell'esistenza il cui complesso viene abbracciato
da Hegel, seguendo l'esempio degli inglesi e dei francesi del secolo
XVIII, sotto il termine di "società civile"; e che
l'anatomia della società civile è da cercare nell'economia
politica".
Marx è pienamente
consapevole che tutto ciò comporta il passaggio a un ordine di idee
totalmente diverso, a un radicale rovesciamento del modo stesso di
pensare. Nella "Introduzione alla critica della filosofia del
diritto di Hegel" egli con grande efficacia chiarisce come: "La
critica del cielo si trasforma in tal modo nella critica della terra,
la critica della religione nella critica del diritto, la critica
della teologia nella critica della politica".
Lo sviluppo di questa
radicale critica al pensiero di Hegel non avviene nel vuoto. Marx ha
appena letto le "Tesi provvisorie per la riforma della
filosofia" di Ludwig Feuerbach ed è rimasto profondamente
colpito dalla chiarezza con cui l'autore aveva espresso il suo punto
di vista materialistico soprattutto riguardo all'idealismo hegeliano,
considerato l'ultimo mascheramento della teologia. Feuerbach era
stato categorico: il fondamento della filosofia era da ricercarsi
nella natura. La filosofia doveva congiungersi con le scienze
naturali e queste con la filosofia. Tutto il resto era teologia,
ossia vuota apparenza.
Marx è affascinato da
queste tesi, la sua conversione al materialismo è totale. Tuttavia
critica Feuerbach per l'eccessiva insistenza sul tema della natura.
Occorre nella critica a Hegel andare oltre, applicare la concezione
materialistica alla politica e alla storia.
"Gli aforismi di
Feuerbach - scrive - non mi convincono solo nel punto in cui fa
troppo riferimento alla natura e troppo poco alla politica. Ma questa
è la sola alleanza con la quale l'odierna filosofia può diventare
una verità".
Il saggio sulla
"Questione ebraica" contiene una dura critica a Bruno Bauer
che aveva sostenuto in modo idealistico l'impossibilità
dell'emancipazione politica degli ebrei nella società tedesca. Marx,
rifacendosi a "L'essenza del cristianesimo" di Feuerbach,
ribadisce che la religione è il rispecchiamento della condizione
umana alienata. Anche in questo campo, tuttavia, egli va oltre per
affrontare il più complessivo tema dei rapporti sociali.
Emancipazione politica ed emancipazione umana non coincidono e cita
il caso degli Stati Uniti dove le libertà politiche sono garantite a
tutti, ma vengono negate nella realtà concreta di ogni giorno.
"Il limite
dell'emancipazione politica - conclude - appare immediatamente nel
fatto che lo Stato può liberarsi da un limite senza che l'uomo ne
sia realmente libero, che lo Stato può definirsi un libero Stato
senza che l'uomo sia un uomo libero".
Attraverso la critica
materialistica della religione, superato l'imbelle naturalismo
feuerbachiano, Marx approda al socialismo. L'emancipazione politica,
e cioè il liberalismo borghese, rappresenta il trionfo della
proprietà privata, del denaro, della merce. L'uomo, politicamente
liberato, appare ancora più alienato, ridotto a cosa, mero oggetto
di scambio. Il principio fondante la società borghese è l'egoismo,
la lotta di tutti contro tutti. La vera emancipazione dell'uomo è
l'emancipazione sociale.
Non estranea a questa
maturazione era stata la lettura del saggio di Friedrich Engels, che
Marx allora conosceva appena, pubblicato negli "Annali" con
il titolo di "Lineamenti di una critica dell'economia politica",
in cui si dimostrava con grande ricchezza di argomentazioni che la
società borghese non poteva evitare un avvenire scandito da una
serie costante di crisi commerciali e caratterizzato dal progressivo
impoverimento delle masse. Unica soluzione era "un totale
ribaltamento dei rapporti sociali" attraverso il superamento
della proprietà privata. Il giovane intellettuale rivoluzionario,
già conquistato al comunismo dalle teorie di Moses Hess, sviluppava
una tesi decisiva per la maturazione politica di Marx: la tendenza
storica verso l'emancipazione, la "cosa" sognata di cui
Marx scriveva a Ruge, non poteva fondarsi su una necessità solo
filosofica, tantomeno in una fumosa idea di "natura", ma
doveva affondare le sue radici in potenti leggi economiche che
andavano attentamente studiate nel loro dinamico interagire con la
società.
Nella critica della
filosofia del diritto Marx vede ormai la possibilità della
rivoluzione in Germania: "Nella formazione di una classe con
catene radicali, di una classe della società civile che non è una
classe della società civile, di un ceto che è la dissoluzione di
tutti i ceti, di una sfera che possiede un carattere universale
grazie alle sue sofferenze universali e che non rivendica nessun
diritto particolare perché non si commette su di essa nessuna
ingiustizia particolare, ma l'ingiustizia per eccellenza, che non può
più rivendicare un titolo storico ma ormai soltanto il titolo umano,
che non sta in una contraddizione unilaterale con le conseguenze, ma
in una contraddizione universale con le premesse dello Stato tedesco,
una sfera infine che non può emanciparsi senza emanciparsi da tutte
le altre sfere della società e senza emancipare con ciò tutte le
altre sfere; che, in una parola, è la perdita totale dell'uomo, e
che insomma può riconquistare se stessa soltanto con la piena
riconquista dell'uomo. Questa dissoluzione della società è il
proletariato".
Come si vede, Marx pensa
ancora in termini filosofici, ma la prospettiva è del tutto nuova e
apre la via del comunismo.
I "Manoscritti
economico-filosofici del 1844"
La pubblicazione degli
"Annali franco-tedeschi" suscitò le proteste del governo
prussiano che intervenne ufficialmente su quello francese perché
impedisse la diffusione della rivista. Spaventato, l'editore Frobel
si ritirò dal progetto e lo stesso Ruge iniziò a mostrarsi scettico
sulle reali possibilità dell'iniziativa e molto restio ad
arrischiare del denaro per garantire la vita della rivista. Anzi, di
fronte alla scarsa diffusione degli "Annali", poco venduti
a Parigi e sequestrati dalla polizia in Germania, egli, nonostante le
grandi promesse fatte, non esitò a pagare lo stipendio che spettava
a Marx come caporedattore con copie della rivista. Nonostante le
difficoltà anche materiali in cui si venne a trovare per il
precipitare della situazione, Marx si dedicò a uno studio
sistematico della rivoluzione francese e degli scritti dei socialisti
francesi ed in particolare di Proudhon. Sfruttando le conoscenze di
Moses Hess, egli entrò in stretto contatto con i capi delle più
importanti società operaie segrete, senza però aderire a nessuna di
queste.
Il frutto di queste
frequentazioni e di questa gigantesca mole di studi verrà da Marx
sintetizzato in un'opera, più quaderno di appunti che compiuta
elaborazione teorica, destinata a restare sconosciuta fino al 1932,
quando nella forma frammentaria rimasta verrà pubblicata sotto il
titolo di "Manoscritti economico-filosofici del 1844".
Opera di difficile
lettura per il suo carattere frammentario, ma anche per l'oscurità
del linguaggio usato - va tenuto presente che Marx scrive per sé e
non per la pubblicazione - i "Manoscritti" comprendono
estratti di opere di economia politica, lunghe annotazioni personali
a margine di quanto letto, riassunti delle principali dottrine
economiche, conclusioni tratte da questi studi e una definitiva presa
di posizione nei confronti di Hegel da parte di un Marx ormai
compiutamente comunista.
Anche nella sua attuale
frammentarietà l'opera colpisce per la quantità enorme dei
riferimenti e per la capacità dell'autore di padroneggiare una
materia tanto vasta. In poco più di un anno Marx divora decine di
opere, di cui espone spesso con grande acutezza le linee essenziali,
di cui sa con occhio attento cogliere le contraddizioni. Ma ciò che
colpisce maggiormente è l'immagine di Marx che balza fuori da queste
pagine. Egli si accosta allo studio, ed in particolare all'economia
politica, con l'atteggiamento proprio del militante che cerca nelle
teoria solidi strumenti per l'azione politica e agisce con la visione
prospettica dello scienziato.
La lettura delle
principali opere degli economisti borghesi, per i quali l'operaio è
considerato "solo come animale da lavoro, come una bestia
ridotta ai più elementari bisogni di vita", porta Marx ad
applicare la teoria hegeliana e feuerbachiana dell'alienazione ai
fatti economici, fino a scoprire nello sfruttamento capitalistico la
causa prima della disumanizzazione dell'uomo che ancora
idealisticamente Feuerbach aveva considerato solo in rapporto alla
genesi delle idee religiose.
Il capitalismo è il
mondo delle merci e del denaro che diventa il metro di paragone di
tutte le cose. Tale è la perdita di realtà del lavoro come
principale fattore di realizzazione dell'uomo che attraverso
l'attività lavorativa riproduce di continuo le condizioni stesse
della sua vita che "la realizzazione del lavoro appare a tal
punto una perdita di realtà, che il lavoratore perde la sua realtà
fino a morire di fame". Quanto più la classe operaia produce
tanto meno essa partecipa del consumo della ricchezza prodotta,
quanto più crea valore, tanto più essa diventa priva di valore,
quanto più i prodotti diventano il centro della società tanto più
l'operaio è spinto ai margini della vita sociale. "Con la
valutazione del mondo delle cose, cresce in misura direttamente
proporzionale la svalutazione del mondo dell'uomo".
La soluzione per Marx sta
nella "positiva abolizione della proprietà privata", nella
"reale appropriazione dell'essenza umana" da parte
dell'uomo: nel comunismo. Il comunismo rappresenta il definitivo
scioglimento di tutte le contraddizioni: esso è "l'enigma della
storia risolto". La società comunista è "la compiuta,
essenziale unità dell'uomo con la natura", in cui "l'individuo
è l 'essere sociale".
La conversione di Marx al
comunismo porta a una brusca rottura con Ruge. L'occasione viene
offerta dalla pubblicazione sul "Vorwärts", il giornale
degli emigrati tedeschi a Parigi, di un articolo, "Il re di
Prussia e la riforma sociale", in cui Ruge, che si firmava "un
prussiano", valutava politicamente insignificante l'insurrezione
dei tessitori della Slesia avvenuta nel giugno 1844 perché del tutto
priva di prospettiva. In un articolo di risposta, "Le
osservazioni critiche a margine", pubblicato nello stesso numero
della rivista, Marx rovescia radicalmente il giudizio negativo di
Ruge. L'insurrezione del proletariato slesiano rappresenta il sintomo
del fatto che anche nell'arretrata Germania stanno venendo a
maturazione le condizioni della rivoluzione comunista. Il
proletariato tedesco ha dimostrato di aver acquisito una prima,
embrionale coscienza di classe, che lo rende a pieno titolo soggetto
rivoluzionario. Ruge, che si attarda dietro ai suoi sogni di
rivoluzione delle idee, è solo un intellettuale liberale incapace di
vedere l'inarrestabile crescere nella società del movimento reale in
grado di mutare l'ordine di cose esistente. La collaborazione con lui
non ha più senso. Si tratta di conquistare i proletari al comunismo,
di portare a piena maturazione la coscienza del proletariato di
essere l'unica classe veramente rivoluzionaria. Il tempo dei
dibattiti, delle polemiche intellettuali è finito. Inizia il tempo
delle lotte di partito.
Un partito rappresentato
in embrione da quei circoli operai tedeschi di Parigi in cui, come
scrive Ruge non senza una nota di sarcasmo, "Marx si è buttato
a capo fitto". Per Ruge, chiuso nelle sue sicurezze
intellettuali, "questo meschino affaccendarsi" è
incomprensibile. Per Marx si tratta, invece, della scoperta di un
mondo nuovo, fatto di solidarietà e di fatica. Una scoperta che lo
allontana definitivamente da una visione astratta ed estetizzante
dell'uomo, portandolo a scoprire nel contatto quotidiano l'essenza
autentica e profonda del proletariato. Una scoperta sconvolgente che
lo porta ad annotare nei "Manoscritti" come il comunismo
non sia affatto una vaga utopia di filosofi sognatori, ma un bisogno
concreto reso ogni giorno di più manifesto dalla pratica politica
degli operai d'avanguardia: "Quando gli operai comunisti si
riuniscono, essi hanno primamente come scopo la dottrina, la
propaganda, ecc. Ma con ciò si appropriano insieme di un nuovo
bisogno, del bisogno della società, e ciò che sembra un mezzo, è
diventato scopo. Questo movimento pratico può essere osservato nei
suoi risultati più luminosi, se si guarda ad una riunione di
"ouvriers" socialisti francesi. Fumare, bere, mangiare,
ecc. non sono più puri mezzi per stare uniti, mezzi di unione. A
loro basta la società, l'unione, la conversazione che questa società
ha a sua volta per iscopo; la fratellanza degli uomini non è presso
di loro una frase, ma una verità, e la nobiltà dell'uomo si irradia
verso di noi da quei volti induriti dal lavoro".
Dal film Il giovane Marx
L'incontro con Engels
e la genesi del materialismo storico
A luglio giunge
dall'Inghilterra Friedrich Engels che, sulla via del ritorno a casa,
vuole fermarsi qualche giorno a Parigi per confrontarsi di persona
con Marx con cui ha collaborato alla redazione degli "Annali".
I due si erano già fugacemente incontrati a Colonia ai tempi della
"Rheinische Zeitung", ma l'impressione reciproca era stata
negativa. Allora Engels proveniva da Berlino, dove partecipava alle
iniziative del circolo dei "Liberi" e per Marx, in piena
rotta con Bauer, ciò rappresentava un pessimo biglietto da visita.
La situazione è ora radicalmente cambiata: anche Engels ha rotto i
ponti con Bauer e l'hegelismo di sinistra per approdare ad una
visione scientifica del comunismo fondata sullo studio puntiglioso
degli economisti classici e sull'osservazione sistematica della
borghese Inghilterra, dove più acute sono le contraddizioni proprie
del modo di produzione capitalistico. I due rivoluzionari passano
insieme dieci giorni a discutere di tutto, scoprendo di avere un
"accordo perfetto in tutti i campi della teoria".
Questo incontro
rappresenta per Marx e Engels la svolta decisiva del loro cammino
intellettuale e politico, destinata a segnare l'inizio di un'amicizia
e di una comunanza di lavoro, fatta di studio e di lotte, che durerà
per tutta la loro vita, in un rapporto così intenso da rendere
impossibile oggi definire con chiarezza dove termini l'impronta
dell'uno e dove inizi il contributo dell'altro alla fondazione della
comune teoria materialistica della storia. Quasi mezzo secolo dopo,
nel 1885, Engels ricostruirà così la genesi del materialismo
storico: "A Manchester mi ero brutalmente accorto che i fatti
economici, ai quali la storia aveva fino ad allora attribuito una
importanza nulla o minima, costituiscono, almeno nel mondo moderno,
una forza storica decisiva, da essi traevano origine gli attuali
antagonismi di classe. Compresi che questi antagonismi, nel paese in
cui la grande industria li ha portati al loro pieno sviluppo, sono le
basi sulle quali si fondano i partiti, sono l'origine delle lotte
politiche, sono le ragioni di tutta la storia politica. Marx non
soltanto era arrivato alla stessa opinione, ma aveva perfino, nei
"Deutsch-französische Jahrbücher", generalizzato questa
concezione e sviluppata la tesi che in generale non lo stato
condiziona e regola la società civile, ma la società civile
condiziona e regola lo stato; e che bisogna quindi spiegare la
politica e la storia per mezzo dei rapporti economici e non
viceversa".
Al momento di ripartire
per la Germania, Engels si accorda con Marx per regolare
definitivamente i conti con Bruno Bauer e i giovani hegeliani. I due
amici decidono di redigere un opuscolo di critica aperta e
sistematica delle posizioni filosofiche e politiche di Bauer. Engels
scrive di getto il suo contributo di poco più di quindici pagine.
Marx, molto più sistematico, si dedica a fondo all'analisi del
"pensiero critico" fino a far raggiungere all'opera le
dimensioni di un grosso volume di circa trecento pagine che viene
pubblicato nel febbraio 1845 col titolo "La sacra famiglia,
ossia critica della critica critica".
L'opera passò quasi
inosservata, anche perché le teorie di Bauer non erano più da tempo
al centro dell'attenzione degli intellettuali tedeschi. Tanto che lo
stesso Engels si mostrò stupito del tempo dedicato da Marx alla
confutazione di tesi che non meritavano che un "sovrano
disprezzo". In realtà, come si è visto, a causa
dell'insurrezione dei tessitori slesiani Marx guardava con rinnovato
ottimismo alla Germania. Diventava pertanto importante stabilire
quali correnti politiche avrebbero potuto nell'ipotesi, che gli
appariva sempre più realistica, di una rivoluzione in Germania
influenzare l'opinione pubblica tedesca. Occorreva sgombrare il campo
da tutte quelle forze che potevano essere di ostacolo al maturare del
processo rivoluzionario a partire dai fratelli Bauer, per giungere
poi a Stirner, allo stesso Feuerbach ed infine a Proudhon. "La
sacra famiglia" va dunque inquadrata in una ben definita
prospettiva politica, in totale sintonia con le opere successive, da
"L'ideologia tedesca" a "La miseria della filosofia".
"L'ideologia
tedesca"
Intanto proseguiva
l'azione della Prussia sul governo francese. L'11 gennaio 1845 il
ministero dell'Interno ordinò l'espulsione dalla Francia di Marx,
Ruge e altri esponenti dell'opposizione tedesca. Mentre Ruge e gli
altri capitolarono, rinunziando a svolgere attività politica, Marx
abbandonò la Francia per Bruxelles dove si stabilì con la moglie e
la figlia di un anno. Lì due mesi dopo fu raggiunto da Engels e i
due amici iniziarono a dar corso ai progetti stesi nell'estate
precedente a Parigi.
Marx aveva intenzione di
scrivere un'opera in due volumi, "Critica dell'economia
politica", per la quale aveva già firmato un contratto con un
editore tedesco e che sarebbe dovuta uscire nell'estate., ma che non
vedrà la luce che nel 1859. Secondo il suo stile iniziò lo studio
di una infinità di libri di cui redasse accurati riassunti, ricchi
di annotazioni e di spunti di riflessione. Poi nell'estate del 1845
si recò con Engels, che aveva appena pubblicato "Le condizioni
della classe operaia in Inghilterra", a Manchester per studiare
gli economisti inglesi di cui non era riuscito a procurarsi le opere
a Bruxelles.
Di ritorno
dall'Inghilterra, dal settembre 1845 all'agosto 1846, Marx e Engels
decisero di "mettere in chiaro, con un lavoro comune", il
contrasto tra il loro nuovo modo di vedere e la "concezione
ideologica della filosofia tedesca", di fare i conti con la loro
anteriore coscienza filosofica. Frutto di questo impegno fu
"L'ideologia tedesca": due grossi volumi, più della metà
dei quali era dedicata alla confutazione dell'individualismo
anarchico di Max Stirner e delle teorie del cosiddetto "vero
socialismo", un ibrido di hegelismo mal compreso e di utopie
socialiste allora in gran voga tra gli intellettuali tedeschi. Per
Marx si tratta di un compito tanto urgente da fargli interrompere il
suo lavoro sulla critica dell'economia politica. Egli pensa che la
Germania sia alla vigilia di uno scoppio rivoluzionario: nell'estate
del 1844 un'ondata di scioperi aveva percorso i principali centri
industriali tedeschi, ovunque si erano costituite associazioni per il
benessere delle classi lavoratrici, mentre avevano fatto la loro
apparizione i primi giornali socialisti. Marx ritiene che questo
movimento vada orientato, che si debba combattere a fondo tanto il
diffondersi nella classe operaia di teorie filantropiche spacciate
per socialiste quanto l'equivoco rappresentato dal presunto carattere
rivoluzionario dell'individualismo stirneriano.
Ne "L'ideologia
tedesca" la concezione materialistica, di cui come si è visto i
primi accenni erano già presenti nei "Manoscritti
economico-filosofici", viene sviluppata finalmente in modo
organico ed esaustivo. Marx e Engels intendono definire i lineamenti
di una "scienza reale e positiva" della società e della
storia, iniziando dalle condizioni materiali di vita degli individui
reali. Il punto di partenza non può che essere la produzione, cioè
il modo concreto in cui gli uomini entrano in rapporto per soddisfare
i loro bisogni essenziali. Per cui "ciò che gli individui sono,
coincide con la loro produzione, sia per ciò che producono, sia per
come producono". Marx definisce qui in forma compiuta i concetti
fondamentali di "forze produttive" e di "rapporti di
produzione", che stanno alla base dell'intera storia dell'uomo.
E poiché i rapporti di produzione sono la forma storica, concreta,
via assunta dalla divisione sociale del lavoro, essi determinano
anche il nascere e il mutuo interagire delle classi sociali. Per cui
in una gigantesca sintesi Marx può definire l'intera storia
dell'umanità come storia delle lotte di classe.
Ciò a maggior ragione
vale anche per la genesi e lo sviluppo del pensiero umano. "Le
idee della classe dominante - scrivono Marx e Engels - sono in ogni
epoca le idee dominanti, ossia la classe che è la potenza materiale
dominante è al tempo stesso la sua potenza spirituale dominante".
Chi non esce dal mondo delle idee si preclude la possibilità di
formarsi una reale idea del mondo: "la filosofia sta allo studio
del mondo reale come l'onanismo sta all'atto sessuale". Marx ed
Engels portano qui alle estreme conseguenze la critica di Feuerbach a
Hegel: come per Feuerbach la religione era un riflesso delle
aspirazioni dell'uomo, così ora l'ideologia è un riflesso della
vita sociale dell'uomo che si compie indipendentemente dalla volontà
dei singoli e in modo inconsapevole. L'ideologia è dunque la "falsa
coscienza" di un'umanità alienata, così come la religione ne
era stata la rappresentazione deformata.
L'opera non riuscì a
trovare un editore e verrà pubblicata in forma integrale solo nel
1932 a cura dell'Istituto Marx-Engels di Mosca, ma i due autori
avevano lo stesso raggiunto il loro scopo: l'organica definizione
delle linee portanti della concezione materialistica della storia.
Con "L'ideologia tedesca" il marxismo ha ormai forma
compiuta e il manoscritto può essere volentieri abbandonato alla
"critica roditrice dei topi".
Alla fine del 1846 Marx e
Engels sono dunque ormai definitivamente approdati ad una matura
visione del comunismo come scienza dei rapporti sociali e della
rivoluzione, lasciandosi alle spalle ogni residua tentazione
filosofica. Nelle sue "Tesi su Feuerbach", composte nella
primavera del 1845, Marx scrive: "Il difetto principale di ogni
materialismo fino ad oggi, compreso quello di Feuerbach, è che
l'oggetto, il reale, il sensibile è concepito solo sotto forma di
oggetto o di intuizione; ma non come attività sensibile umana, come
attività pratica... I filosofi non hanno fatto finora che
interpretare il mondo in modi diversi; ciò che importa è
trasformarlo".
Il comunismo non è più
una dottrina, una visione più illuminata del mondo, né tantomeno si
fonda su principi filosofici, siano essi l'hegelismo di sinistra o
l'umanismo di Feuerbach. Il comunismo è la scienza della
trasformazione rivoluzionaria della società e si fonda sulla lotta
delle classi. Con "L'ideologia tedesca" il comunismo
diventa scienza. La battaglia vinta sul piano teorico deve ora essere
ingaggiata sul piano politico.
"Appena raggiunto
l'accordo con noi stessi - ricorda Engels - ci mettemmo al lavoro".
Il primo compito e il più urgente era di sconfiggere nell'azione
politica di ogni giorno il comunismo primitivo che ancora affascinava
l'avanguardia politica del proletariato. Ciò significava soprattutto
confrontarsi con le teorie di Proudhon. Ed è appunto quello che Marx
fece tra il dicembre 1846 e il giugno 1847.
"La polemica con Proudhon e "La miseria della filosofia"
Nel luglio 1847 appare
"La miseria della filosofia", che già nel titolo
ironicamente rovescia quel "Sistema delle contraddizioni
economiche o Filosofia della miseria" da poco apparso in cui
Proudhon tentava di dare fondamento scientifico alla sua visione del
socialismo.
La critica di Marx è
feroce e non salva nulla, sia sul piano economico che su quello
filosofico, delle confuse teorie proudhoniane. La premessa è
fulminante: "Il signor Proudhon ha la sventura di essere
misconosciuto in Europa in un modo singolare. In Francia egli ha il
diritto di essere un cattivo economista perché passa per un buon
filosofo tedesco. In Germania ha il diritto di essere un cattivo
filosofo, perché passa per uno dei migliori economisti francesi.
Noi, nella nostra duplice qualità di tedeschi e di economisti,
abbiamo voluto protestare contro questo duplice errore".
Lo scritto tratta in
apparenza quasi esclusivamente concetti economici: valore d'uso e
valore di scambio, denaro, profitto, rendita, divisione del lavoro,
concorrenza e monopolio, ecc. In realtà gli intenti sono ben più
ambiziosi. In una lettera all'amico russo Paul Annenkov, Marx
chiarisce come al fondo della sua critica a Proudhon stia la volontà
di smascherare una visione idealistica della storia spacciata per
materialismo: "Che cos'è la società, in qualunque forma
esista? Il prodotto delle attività reciproche degli uomini. L'uomo è
forse libero di scegliere questa o quella forma sociale? In nessun
modo. Dato un punto determinato nell'evoluzione delle forze
produttive degli uomini, si avrà una forma corrispondente del
commercio e del consumo. Dato un punto determinato nell'evoluzione
della produzione, del commercio e del consumo, si avrà una forma
corrispondente di costituzione sociale, una certa organizzazione
della famiglia, dei mestieri o delle classi, in una parola, una
società civile corrispondente. Data una tale società civile, si
avrà una situazione politica corrispondente, che non sarà che
l'espressione ufficiale di questa società civile.
Occorre anche aggiungere
che gli uomini non dirigono a loro piacimento le forze produttive -
fondamento di tutta la loro storia - giacché ogni forza produttiva è
una forza acquisita, prodotto di un'attività anteriore. Così le
forze produttive sono il risultato dell'energia pratica degli uomini,
ma questa energia pratica è essa stessa determinata dalle
circostanze in cui si trovano gli uomini, a causa delle forze
produttive già acquisite, a causa della forma sociale esistente
prima di loro, forma sociale che essi non creano, ma che è il
prodotto della generazione precedente. (…)
Conseguenza necessaria:
la storia sociale degli uomini non è altro che la storia del loro
sviluppo individuale, ne abbiano essi o no coscienza. Le loro
relazioni materiali formano la base di tutte le loro relazioni.
Queste relazioni materiali non sono che le forme in cui si attua
necessariamente la loro attività materiale e individuale... Le forme
economiche secondo cui gli uomini producono, consumano, fanno scambi,
sono transitorie e storiche. Grazie alle forze produttive di recente
acquisite, gli uomini trasformano il loro modo di produzione, e con
il loro modo di produzione trasformano tutte le loro relazioni
economiche, che non erano che le relazioni necessariamente
corrispondenti a un modo di produzione determinato... Il signor
Proudhon ha capito benissimo che gli uomini fabbricano i tessuti, la
tela, le stoffe di seta. Ciò che il signor Proudhon non ha capito, è
che gli uomini producono pure. a seconda delle loro capacità, le
loro relazioni sociali, allo stesso modo che producono la tela e il
lino. Proudhon ha capito ancor meno che gli uomini che producono le
loro relazioni sociali corrispondenti alla loro produzione materiale,
producono pure le idee, le categorie, vale a dire le espressioni
ideali e astratte di queste stesse relazioni sociali. Quindi, le
categorie sono altrettanto poco eterne quanto le relazioni di cui
sono l'espressione. Esse sono prodotti storici e transitori. Per il
signor Proudhon, viceversa, le astrazioni, le categorie, sono le
cause primordiali. A suo avviso, sono esse, e non gli uomini, che
fanno la storia... Poiché, secondo lui, le categorie sono le forze
determinanti, non c'è alcun bisogno di trasformare la vita pratica
per trasformare le categorie. Al contrario: bisogna modificare le
categorie, il che modificherà di conseguenza la vita reale".
Detto in altri termini:
per cambiare il mondo non bastano le idee, occorre la rivoluzione. La
filosofia ha ormai esaurito il suo compito. Il proletariato, unica
classe rivoluzionaria, armato della concezione materialistica della
storia, ne è l'erede.
II. 1996