Il mio post sulla
risoluzione del Consiglio d'Europa ha scatenato reazioni e critiche
molto forti. Credevo alla mia età di non stupirmi più di niente e
invece, devo ammetterlo, queste reazioni mi hanno profondamente
stupito. Ancora una volta ho dovuto verificare come avesse ragione
Marx a sostenere che nella storia «il
morto afferra il vivo e lo fa prigioniero» , o grandi studiosi come
Jung ed Eliade sul potere del mito.
Contro la forza del
mito è inutile combattere o appellarsi alla ragione, sopratutto se
questo mito fa parte dell'immaginario profondo di persone che su di
esso hanno costruito la loro vita. Contro un "vero credente"
un laico non ha argomenti. E questo vale per la religione, come per
la politica.
La lettera, che segue,
indirizzata ad un amico e compagno carissimo che con molto garbo
criticava il mio intervento, riepiloga il mio punto di vista. Altro
non mi sentirei di aggiungere.
Caro ..... , le cose che
scrivo oggi sullo stalinismo le scrivevo trent'anni fa su Bandiera
Rossa, il giornale della Quarta Internazionale. Proprio per aver
militato fin da ragazzo nell'area del comunismo antistalinista ,
prendendomi insulti e anche botte dai militanti del PCI che ci
accusavano di essere fascisti o prezzolati dagli americani, resto a
70 anni fermamente convinto che il comunismo sia un grande ideale di
libertà e fraternità umana e che, compito dei comunisti, sia
riportarlo alla sua autentica natura libertaria.
Per questo nel 1991
aderii con entusiasmo al progetto di Rifondazione comunista, pensando
che finalmente si sarebbe fatta chiarezza sull'enorme opera di
mistificazione che lo stalinismo (anche nella sua versione italiana:
il togliattismo) aveva portato avanti per decenni, spacciando per
comunismo una dittatura che per ferocia e inumanità poteva essere
paragonata solo al nazismo. Inutile , li conosci, citarti le migliaia
di testimonianze (fra cui quelle dei comunisti italiani fuggiti in
URSS durante il fascismo e finiti nel Gulag) e di studi. Inutile
ricordare l'assassinio di Trotsky in Messico, di Nin in Spagna, di
Tresso e di migliaia di comunisti veri, compresa la quasi totalità
della vecchia guardia bolscevica in URSS.
I prodigiosi sviluppi
dell'economia, di cui tanti parlano ancora per giustificare il
regime, si fondavano sull'assoluta mancanza di diritti dei lavoratori
(si finiva nel Gulag anche per minime mancanze sul lavoro o perchè
la fabbrica non aveva raggiunto gli obiettivi dl piano) e su milioni
di lavoratori schiavi nell'Arcipelago Gulag.
La prima vittima del
regime staliniano fu il popolo sovietico. Il libro della Applebaum
appena uscito ne è una testimonianza eloquente. Lo stesso si può
dire dei popoli dei paesi dell'Est che subirono entrambi i
totalitarismi, quello nazista e quello staliniano. I lavoratori di
quei paesi,gli operai delle fabbriche, insorsero in Ungheria nel
1956, a Praga nel 1968, in Polonia nel 1970. Le uniche vere grandi
rivolte operaie del dopoguerra avvennero in paesi che avevano la
sfrontatezza di definirsi comunisti.
Sono fermamente convinto
che quei milioni di uomini e donne morti, imprigionati, privati della
loro dignità di essere umani e dunque liberi, vadano ricordati, come
le vittime della Shoah, con la speranza, forse utopica, che il
ricordo, la Memoria, impedisca il ripetersi di simili tragedie. Per
questo, al di là di singole affermazioni e semplificazioni (è un
documento politico frutto di mediazioni e compromessi, non un
trattato di storia), condivido la risoluzione.
Chi dice che la storia va
lasciata agli storici dimentica che gli storici hanno (e non da oggi)
già dato un giudizio definitivo sull'orrore immenso che fu lo
stalinismo.
Un abbraccio fraterno.
Giorgio