TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 19 novembre 2021

Razzismo e schiavitù

 


Un sistema come quello schiavistico non poteva non creare a livello di massa una ideologia che in qualche modo ne fornisse una giustificazione e allo stesso tempo servisse alle classi dominanti per consolidare il loro potere. Questa ideologia fu la convinzione diffusa della inferiorità naturale del nero e della sua pericolosità sociale. Una convinzione destinata a sopravvivere alla fine dello stesso sistema economico che l'aveva creata.


Giorgio Amico

Razzismo e schiavitù


Fin dalle prime società organizzate, pensiamo agli antichi Egizi o ai Greci, la schiavitù è sempre stata accettata come un aspetto naturale e normale dell'esistenza umana, però quasi mai, nella storia tale istituzione fu fatta poggiare su basi razziali. In genere si diventava schiavi in quanto prigionieri di guerra, o frutto di razzie, addirittura per debiti. Il colore della pelle c'entrava comunque poco.

La schiavitù che prese forma nel Nuovo mondo fu invece fin dall'inizio fondata su fattori etnici. A partire dal XVII secolo la quasi totalità degli schiavi delle Americhe erano africani, e ciò comportò che la schiavitù diventasse di fatto una condizione basata sulla razza. La presa del razzismo fu di conseguenza più forte in quelle nazioni (Inghilterra, Francia, Olanda ) che più direttamente parteciparono alla trasformazione del mondo moderno e alla nascita della società capitalistica. Il razzismo moderno, inteso come ideologia di massa e non come presunta teoria scientifica, è la risultante di un insieme di profondi mutamenti della società e di conseguenza anche della psicologia delle masse. Con il nascere del capitalismo e il tramonto progressivo dell'agricoltura e dell'artigianato a favore dello sviluppo dell'industria muta radicalmente il modo di lavorare e quindi di vivere. Nonostante si pensi il contrario, nel mondo moderno si lavora di più, con ritmi più intensi, senza i lunghi periodi di riposo assicurati dalle numerosissime festività religiose tipiche del mondo medievale. Questo nuovo e totalizzante modo di lavorare determina la formazione di un nuovo tipo di lavoratore: uomini e donne totalmente privi di controllo sui processi produttivi e dunque sulla loro stessa vita, in termini marxisti totalmente alienati, professionalmente e socialmente insoddisfatti. Il sistema capitalistico richiede per il suo stesso funzionamento la costante repressione di impulsi naturali e la subordinazione alle logiche della produzione. Come ben descritto nelle opere di Foucault nei secoli di transizione, XVI e XVII , si modifica progressivamente la psicologia umana. Il singolo impara fin dai primi anni a reprimere i propri istinti più naturali, a sublimarli in altro modo. E ciò rende il bambino moderno diversissimo da quello molto più libero da condizionamenti delle società precedenti.

Nei suoi lavori Rawick si rifà alla situazione creatasi in Inghilterra nei secoli XVI e XVII, in cui le classi superiori erano alle prese con la crisi della società contadina tradizionale, una economia non di mercato in cui l'agricoltore era abituato a lavorare solo quel tanto che gli era sufficiente per vivere o per i bisogni della collettività tipo la manutenzione delle strade, e ostile a considerare il lavoro solo in termini monetari. Da qui la protesta dei ceti dominanti contro i "senza padrone" che avevano avuto una volta un posto nell'ordinamento sociale e che ora invece girovagavano elemosinando, rubando, commettendo violenze. Un popolo di ex contadini e di artigiani impoveriti destinati a diventare un enorme serbatoio di manodopera non specializzata, disposta a lavorare per salari di sussistenza. Questo mutamento profondo che di fatto disumanizzava sempre più l'uomo, allontanandolo dai suoi simili e costringendolo via via a pensare solo in termini di guadagno, ebbe effetti profondi anche sul modo di pensare delle masse. In questo contesto l'incontro con l'altro, rappresentato dall'africano, ebbe effetti dirompenti e di lunga durata.

Le reazioni estreme degli europei all'incontro con gli africani possono essere davvero comprese se si considera come gli abitanti dell'Africa Occidentale di quel periodo fossero, sotto numerosi aspetti, molto simili a ciò che gli europei erano stati fino a non molto tempo prima, portatori di una visione della vita ormai considerata in Europa tipica di periodi primitivi e barbari. Nasce con lo sfruttamento delle Americhe e dell'Africa, di cui la schiavitù rappresenta uno dei principali aspetti, il concetto della missione civilizzatrice dell'Occidente che Kipling definirà a fine Ottocento “il fardello dell'uomo bianco”. Ma se il bianco è portatore di civiltà, il nero non può che essere barbaro e dunque inferiore. Il razzismo diventa così un modo di pensare e soprattutto una sorta di giustificazione del fenomeno, questo si barbaro, della tratta. I mercanti di schiavi, a cui addirittura vengono eretti monumenti per il benessere procurato alla comunità con il loro commercio, si sentono espressione di una società che non solo trova nulla di negativo in ciò che fanno, ma che, proprio in base alla concezione del nero come un essere subumano, considera la schiavitù un fattore oggettivo di civilizzazione.

Le economie africane erano in larga parte economie agricole di sussistenza con rapporti di lavoro consuetudinari. Il lavoro era profondamente intriso di sacralità, scandito da pratiche cerimoniali che lo rendevano indistinguibile dalla religione. Come per il contadino medievale, lavorare la terra seguendo il ciclo delle stagioni era partecipare alla vita del cosmo e dunque compiere un atto che avvicinava al divino. Per i bianchi questo modo di pensare era ormai incomprensibile. Lo scarso interesse per il denaro veniva visto come un segno di infantilismo, di qui l'idea del nero come un eterno bambino, necessitante anche in età adulta di una autorità capace di disciplinarne le tendenze distruttive. In realtà, l'africano era tutto meno che un anarchico, la comunità tribale era strettamente coesa quasi una sorta di famiglia allargata dove gli anziani svolgevano un ruolo centrale. Altro punto era l'atteggiamento dell'africano nei confronti della natura e delle forze, anche immateriali, che essa sprigiona. Centrali erano i miti e i riti relativi alla fertilità. Ne derivava un atteggiamento verso la sessualità, soprattutto femminile, relativamente poco repressivo. Un atteggiamento scandaloso per gli inglesi che lo consideravano come segno di una promiscuità animalesca e della totale mancanza di senso morale. Anche questo contribuiva a rafforzare l'idea di una superiorità etnica del bianco rispetto al nero, anche se, va detto, a livello inconscio questa visione del nero sessualmente libero scatenava fantasie e desideri che dovevano essere repressi e il razzismo si prestava bene anche a questa funzione.

Le tensioni psicologiche create dal guardare ai neri da un lato come come bestie da lavoro o da riproduzione e dall'altro dal dover ammettere che erano comunque esseri umani, erano troppo grandi per una società fondata sulle piantagioni. L'unica soluzione stava nella rimozione del problema, accettando come un dato oggettivo, addirittura frutto della volontà divina, l'inferiorità degli uomini di colore. Ciò rendeva impossibile anche l'idea che neri e bianchi potessero vivere insieme su un piano di parità. In una realtà come gli Stati del Sud dove la presenza dei neri era molto forte, tutto questo si traduceva nell'idea che la sottomissione dei neri fosse fondamentale per l'esistenza stessa della società e della civiltà. Solo il mantenimento di “corretti rapporti” fra le “razze” potevano garantire l'ordine sociale. Ideologia di una classe dominante fatta di grandi proprietari di piantagioni, questa concezione era condivisa dalle classi subalterne in base ad una logica perversa per cui anche l'ultimo dei “poveri”, se di pelle bianca era solo per questo superiore a un nero. Il razzismo dunque come un pilastro della società sudista, funzionante come un collante sociale: nell'atteggiamento da tenere verso i neri non esistevano differenze di classe, l'interesse del grande proprietario e quello del proletario erano gli stessi. Da qui la difesa strenua dell'istituto della schiavitù.

Siamo di fronte ad una specificità tipica degli Stati del Sud. Nelle Indie Occidentali, dove gli atteggiamenti razzisti non erano certo inferiori, i bianchi poterono comunque accettare pacificamente l'abolizione della schiavitù poiché essi, di fatto, non avrebbero dovuto vivere in mezzo ad un popolazione di neri liberi. Nelle isole caraibiche i bianchi erano pochi, assai diffusa era la figura del proprietario assenteista che trascorreva la sua vita a Londra e mai avrebbe pensato di stabilirsi nei Caraibi. Negli Stati Uniti l'abolizione della schiavitù avrebbe richiesto invece l'accettazione della coesistenza. di neri e bianchi nello stesso territorio, condizione inaccettabile per la maggioranza dei bianchi . Inoltre i piantatori del Sud non volevano rinunciare allo stile di vita. aristocratico e raffinato che li contrapponeva ai gretti industriali del Nord. Certo, I piantatori avrebbero potuto impiegare gli schiavi nell'industria nascente, cosa che un piccolo numero di essi fece, ma la maggior parte non si mosse in quella direzione, poiché vedeva nell'industria una minaccia allo stile di vita tipico del Sud.

Razzismo e lotta di classe

Dopo la guerra civile e la fine schiavitù l'inferiorità civile dei neri, codificata per legge e imposta con le armi dal Ku Klux Klan, diventerà negli Stati del Sud lo strumento per tenere sotto controllo una popolazione di colore il cui tasso di natalità era più alto di quello dei bianchi e che dunque tendenzialmente rischiava di divenire maggioranza. La libertà formale non mutò in meglio la situazione dei neri, passati da schiavi a salariati. In molti casi addirittura la peggiorò.

D'altronde, gli stessi Stati Uniti erano nati nel segno della contraddizione. Figli di una Costituzione avanzatissima i cui estensori erano però in larghissima parte proprietari di schiavi. Gli Stati Uniti nascono nel segno sia della libertà in forme sconosciute in Europa se non nel breve periodo giacobino in Francia, sia della permanente esclusione dal contratto sociale dei neri e dei nativi americani. La cosa non fu senza conseguenze anche per quanto atteneva i rapporti fra le classi. Il movimento operaio nascerà “bianco” e, come per i “poveri bianchi” del Sud, anche l'ultimo degli immigrati appena sbarcato sul suolo americano si sentirà, proprio perché bianco, comunque superiore alla popolazione nera che pure abitava quel paese da secoli. La divisione fra bianchi e neri diventerà l'arma principale di divisione dei proletari ed uno dei motivi per cui il socialismo non attecchirà mai, neppure nei momenti in cui più acceso era lo scontro sociale, negli strati profondi della classe operaia.


1977