Siamo stati a
Paraloup, culla della Resistenza. E abbiamo imparato qualcosa.
Giorgio Amico
Camminare sui sentieri
dei partigiani a Paraloup.
Ci arriviamo con la
nebbia. Il bosco, imperlinato dalla pioggia , appare e scompare in
una massa bianca e impalpabile. Tutto attorno a noi è silenzio, solo
il rumore di cento torrentelli accompagna il nostro cammino.
Stiamo salendo a
Paraloup, culla del movimento partigiano e non solo nel Cuneese. Qui
subito dopo l'8 settembre 1943 si attestò la prima banda. «Strano
gruppo di improbabili guerrieri – la definisce Marco revelli - che
avrebbe senza dubbio fatto arricciare il naso a più d’uno dei
numerosi ufficiali di Stato maggiore che rifiutavano la
collaborazione con i “ribelli”, perché non la consideravano una
cosa seria». (Marco Revelli, Resistenze, quelli di Paraloup,
Edizioni Gruppo Abele).
E invece
cosa seria era, anzi serissima. Tanto che da quel piccolo gruppo di
combattenti, dodici in tutto, guidati da Duccio Galimberti, prese
vita e forza il movimento partigiano. Tanto seria che con tutta la loro
forza e crudele ferocia fascisti e tedeschi non riuscirono più a
sradicare quei combattenti, sempre più numerosi e motivati, da
quelle montagne fra Valle Stura e Valle Grana.
Paraloup,
piccolo borgo di alta quota di pastori e contadini, diventa un
simbolo di forza e tenacia. Il suo nome risuona come un grido di
battaglia.“Italia
libera” si chiama il movimento che lo anima. Sono giellisti,
intellettuali, borghesi, contadini, operai. Fra loro figure storiche
della Resistenza come Duccio Galimberti che finirà fucilato dai
tedeschi, e tanti giovani destinati poi a lasciare un segno
nell'Italia del dopoguerra: Dante Livio Bianco (anche grande
alpinista), Nuto Revelli, Giorgio Bocca.
E'
proprio Nuto Revelli, che a Paraloup arrivò nel febbraio del 1944,
dopo la tragica esperienza della Russia, a rendere storia viva la
guerra di Paraloup: «Fra le povere baite tutto è vivo, in
movimento: partigiani che puliscono le armi, che spaccano la legna,
che tornano dalle corvées con i muli. Strano esercito.
Uomini senza gradi, senza divise, sbrindellati: gente che parla tutti
i dialetti, dal piemontese al siciliano. Molti i colori: maglioni e
giubbotti rossi, gialli, con il grigioverde di sfondo, proprio come
apparivano i campi di sci prima della guerra». (Nuto Revelli, La
guerra dei poveri, Einaudi)
Con
gli anni del “miracolo” Paraloup, come tutta la montagna, si
spopola. I giovani scendono a valle. Da montanari si fanno classe
operaia, ma non perdono combattività e fierezza. Saranno gli operai
della Michelin dell'autunno caldo. Ma la borgata resta deserta e
lentamente va in rovina, muta testimonianza di una storia che troppi
in alto hanno voluto dimenticare in fretta.
Dove
resta la memoria è in basso, fra la gente più semplice, fra quegli
uomini e quelle donne che furono carne e sangue della lotta contro i
fascisti. Italia libera li voleva cittadini di un paese finalmente
democratico e giusto, il dopoguerra li ha resi di nuovo gli ultimi,
gli invisibili, i dimenticati.
E
allora Nuto Revelli ritorna a Paraloup, risale la montagna e la Langa, cerca quegli uomini e quelle donne, ormai invecchiati,
raccoglie le loro storie. Uno dopo l'altro escono libri che
ricostruiscono la memoria viva di quei luoghi e della sua gente. Il
mondo dei vinti e poi L'anello debole sono pietre a edificare un
monumento a chi il potere trascura e dimentica, a chi la storia l'ha
fatta davvero ogni giorno della sua vita con il fucile, come negli
anni infuocati della Resistenza, e con la zappa nella vita di ogni
giorno. Una vita difficile, tirata con i denti, ma che non ha tolto
dignità a chi voleva prima di tutto essere e restare uomo libero.
Nonostante la miseria, nonostante lo spettacolo indecente di una Italia che si riscopre ricca e senz'anima.
Ricostruita
la memoria, ora tocca ricostruire le case. Grazie alla Fondazione
Nuto Revelli, animata dal figlio Marco, lentamente Paraloup viene
ricostruito, casa dopo casa. L'obiettivo diventa dimostrare che si
può tornare a vivere in montagna, che la battaglia non è persa. E
così pietra su pietra Paraloup rinasce e oggi ospita un rifugio,
accoglientissimo grazie all'impegno di un gruppo di giovani donne,
oltre che mostre, incontri, proiezioni, reading e conferenze,
organizzati dalla Fondazione Revelli.
A
Paraloup si respira libertà, tra quelle case di pietra e legno il
sogno di Duccio Galimberti e Nuto Revelli continua a vivere.
Scendiamo e a casa ci accolgono i telegiornali con l'ultima puntata
della telenovela Di Maio-Salvini, ma stranamente non ci arrabbiamo. Sarà
l'aria di Paraloup che ci ha dato speranza. Passerà anche questa,
ora si deve resistere.