TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 12 ottobre 2017

11. Karl Korsch e la critica del leninismo (1930)


Decimo capitolo del nostro “Il «rinnegato» Korsch. Storia di un'eresia comunista". La critica del kautskysmo conduce Korsch ad una approfondita riflessione sul leninismo e sullo stalinismo. Le conclusioni sono drastiche: il marxismo sovietico è la teoria dello sviluppo del capitalismo di Stato russo, nuova forma concentrata e dispotica del dominio sull'uomo.

Giorgio Amico

La critica del leninismo (1930)



Ancora alla fine del 1929 nel suo scritto su la Comune rivoluzionaria Korsch aveva denunciato le “flagranti contraddizioni” esistenti fra la denominazione di «Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche» e la reale situazione politica e sociale di un paese dove, nonostante il continuo, ossessivo richiamo alla «grande rivoluzione d’Ottobre» e ai suoi ideali

“quella «dittatura» che oggi, dal vertice dell’apparato di un partito governativo estremamente esclusivo che solo nel nome ricorda il Partito «comunista» e «bolscevico» di una volta, viene esercitata sul proletariato e sull’intera Russia consiliare per tramite di milioni di burocrati non ha più niente a che fare con il pensiero consiliare rivoluzionario del 1917 e del 1918…”. 1

Nel tentativo di andare al fondo della questione, egli aveva, tuttavia, dovuto riconoscere che l’accusa di tradimento rivolta alla direzione stalinista da parte di molti oppositori di sinistra non spiegava nulla, ricavandone la lapidaria conclusione che “è il fatto stesso del tradimento che richiede una spiegazione”. 2

Da qui egli parte per una approfondita riflessione sulle radici stesse del leninismo, che in larga parte utilizza il materiale critico ricavato nel 1927 da una lettura attenta di Materialismo ed empiriocriticismo, allora appena pubblicato in Germania. Lo studio di questo e di altri scritti filosofici di Lenin lo convince del fatto che una critica reale del dogmatismo “marxista” non possa fermarsi a Kautsky e al marxismo della Seconda Internazionale, ma debba investire direttamente anche il pensiero del leader bolscevico. Nel 1930, sette anni dopo l’uscita della prima edizione, egli pubblica una seconda edizione di Marxismo e filosofia, facendola precedere da una lunga messa a punto su Lo stato attuale del problema «Marxismo e filosofia» (Anticritica), in cui si confronta per la prima volta in modo sistematico e senza più alcun timore reverenziale con il pensiero filosofico di Lenin.

Nell’Anticritica Korsch esprime apertamente quello che lo separa ormai non solo dall’ortodossia di Kautsky – con cui come abbiamo visto aveva poco prima regolato una volta per tutte i conti a livello teorico – ma anche dalla nuova ortodossia “marxista-leninista” della nuova “chiesa” bolscevica come ironicamente la definisce già dalle prime pagine dell’opera. Rispetto al 1923 il suo atteggiamento è notevolmente cambiato: se allora egli si era rammaricato delle critiche ricevute in ambito comunista dal suo libro, ritenendole ingiuste, ora non solo le accetta, ma quasi se ne compiace, come fossero una prova ulteriore della correttezza della sua critica al dogmatismo della vecchia e nuova ortodossia:

“I più autorevoli rappresentanti delle due principali correnti del «marxismo» ufficiale dei nostri giorni, con il loro istinto sicuro, hanno immediatamente fiutato in questo modesto scritto la sollevazione eretica contro certi dogmi che, nonostante tutti i contrasti apparenti, sono a tutt’oggi patrimonio comune delle due confessioni della vecchia chiesa marxista ortodossa e hanno ben presto proceduto a condannare davanti al concilio riunito, quale deviazione dalla dottrina tramandata, le idee espresse nello scritto”. 3

Passa quindi a ricostruire per sommi capi la polemica reazione dei dirigenti e teorici delle due Internazionali, quella socialdemocratica e quella comunista, contro le affermazioni contenute nel suo testo ritenute una revisione idealistica del marxismo. Per Korsch la condanna senza appello delle sue tesi sui rapporti tra marxismo e filosofia, dimostra che, al di là delle polemiche contingenti tra i due schieramenti in cui dopo l’agosto 1914 si è diviso il movimento socialista, sul piano della teoria la differenza fra socialdemocratici e leninisti non è poi così radicale come pubblicamente entrambi affermano. Entrambi sono sostenitori e propagandisti di un marxismo evirato della sua carica dialettica e dunque immediatamente sovversiva, ridotto a una tranquilla «scienza» della società epistemologicamente non dissimile dalle scienze della natura. Entrambi, infatti, credono che tale conoscenza scientifica sia un riflesso della realtà mediante il pensiero e che la natura e la società siano governate da leggi oggettive che l’uomo deve scoprire e dominare. Esiste dunque una verità oggettiva assoluta che può essere scoperta, come risolutamente afferma Lenin:

“Dal punto di vista del materialismo storico moderno cioè del marxismo, i limiti dell’approssimazione delle nostre conoscenze alla verità oggettiva assoluta sono storicamente relativi, ma l’esistenza stessa di questa verità non è contestabile, come non è contestabile che ci avviciniamo ad essa”. 4

Per Korsch è un passo indietro, una ricaduta nella metafisica o peggio ancora una “modificazione esclusivamente terminologica” dell’idealismo hegeliano per cui l’assoluto non viene più chiamato «Spirito» ma «Materia». 5

Fino a qui la critica korschiana considerata per decenni scandalosa, ma evidentemente non priva di fondamento se, anche uno studioso “ortodosso” come Luciano Gruppi si trova a dover riconoscere che in Materialismo ed empiriocriticismo, parlando di verità assoluta raggiungibile attraverso il riflesso, Lenin ipostatizza platonicamente il concetto di verità e di conseguenza ricade nella metafisica:

“Dopo aver evitato il pericolo di cadere in una concezione metafisica della materia, con l’affermazione che l’unica proprietà della materia è di esistere indipendentemente dal soggetto pensante, Lenin ricade poi nel materialismo metafisico ponendo, come mediazione tra oggetto e soggetto, il riflesso e considerando perciò la verità come totale adeguazione del soggetto, che conosce, all’oggetto, conquista di una verità che esiste di per sé”. 6



Marxismo e movimento operaio: un rapporto ambiguo

Ma se al marxismo è estraneo ogni assoluto, la trasformazione della teoria critica in “concezione del mondo” proletaria rispecchia una mutata realtà in cui l’obiettivo dei “marxisti” non è più la trasformazione rivoluzionaria del mondo, ma la gestione dell’esistente. Su questo terreno gli “apparati” ritrovano una loro sotterranea affinità che si traduce in un linguaggio comune alle burocrazie. Questa concordanza di fondo spiega perché nei fatti i rappresentanti ufficiali della Terza Internazionale continuino a considerare il “marxismo della Seconda Internazionale” come ortodosso almeno fino all’agosto 1914, quando apertamente i dirigenti socialisti si schierano dalla parte dei loro governi e votano i crediti di guerra. Il cedimento della socialdemocrazia di fronte alla guerra imperialista appare loro come una rottura fra una teoria ancora sana e una pratica opportunistica. In realtà, per Korsch è l’intera storia del marxismo dell’ultima parte del XIX secolo a dover essere ripresa in considerazione. Korsch nega che a questo proposito si possa parlare di una effettiva saldatura tra teoria marxista e classe operaia:

“Il movimento socialista, che nel corso dell’ultimo terzo del XIX secolo, incondizioni storiche mutate, si è risvegliato e rafforzato, in realtà non ha mai accolto – come invece si sostiene – il marxismo nel suo complesso. L’«adozione del marxismo» in questa nuova fase storica del movimento operaio moderno, che secondo l’ideologia dei marxisti ortodossi e dei loro avversari accomunati sullo stesso terreno ideologico dogmatico si sarebbe riferita – nella teoria e nella pratica – al marxismo nel suo complesso, in realtà anche sul terreno teorico si riferiva sempre solo a singole «teorie» economiche, politiche e sociali isolate dal contesto della concezione rivoluzionaria marxiana complessiva; questo fatto, oltre a trasformarle nel loro significato generale, di solito le alterava e le mutilava anche nel loro contenuto particolare”. 7

Si tratta di una tesi condivisa anche da altri marxisti critici come Arthur Rosemberg, per il quale la mancanza di una situazione rivoluzionaria nella Germania di fine secolo aveva reso praticamente impossibile per il movimento operaio adottare le teorie di Marx nella loro integralità rivoluzionaria. 8
Nel suo studio su I socialdemocratici nella Germania imperiale, Guenther Roth imputa a Rosenberg e Korsch di essere stati eccessivamente generici in questa loro analisi che pure sostanzialmente condivide. Egli si applica a fornire una più articolata descrizione del “ruolo del marxismo nella subcultura socialdemocratica” che in estrema sintesi così riassume:

“L’incapacità del movimento operaio di uscire dal suo isolamento da una parte, e il suo progresso quasi inesorabile in un settore ampiamente isolato dall’altra, fecero di un marxismo caratterizzato in senso deterministico una ideologia particolarmente adatta alla subcultura socialdemocratica. Il movimento operaio aveva un fine umanitario: una vita materialmente e spiritualmente più ricca per le classi inferiori. Il marxismo offriva l’immagine di un mondo futuro migliore. Prometteva la vittoria finale attraverso l’unione delle masse contro un sistema che sembrava inevitabilmente destinato a crollare a causa delle sue contraddizioni interne e della crescita del movimento operaio. Attribuiva un significato «scientifico» alle frustrazioni e ai risentimenti dei lavoratori verso la società nel suo insieme. La convinzione di possedere un'ideologia scientifica contribuì notevolmente a rafforzare la fiducia dei lavoratori. Data la effettiva stabilità della Germania imperiale durante più di quattro decenni di pace, il marxismo sostenne la convinzione che il futuro sarebbe stato del proletariato e incoraggiò notevolmente a perseverare nella lotta quotidiana contro il sistema dominante. In tal modo spesso non veniva sentita, psicologicamente, la superiorità degli avversari e la contraddizione tra teoria e pratica”. 9

E’ una realtà che Karl Korsch conosce bene avendola vissuta personalmente negli anni della sua giovinezza. Non stupisce dunque che l’approfondito studio di Roth, apparso agli inizi degli anni Sessanta, sviluppi per molte pagine quanto in poche righe lo studioso marxista tedesco aveva efficacemente sintetizzato nel 1930:

“(…) in questo periodo storico, per il movimento operaio che si richiamava ad esso sul piano formale, il «marxismo» sin dal principio non è stato una vera teoria, vale a dire «semplice espressione generale del movimento storico quale si sta effettivamente svolgendo» (Marx), bensì sempre soltanto un’ «ideologia», presa bell’e pronta «dall’esterno»”. 10

Il marxismo da teoria critica si trasforma così in “scienza” avulsa dal movimento storico concreto, ma valida sempre e comunque. Una concezione “scientifico-positivistica” del marxismo sostanzialmente recuperata dalla nuova ortodossia rappresentata dal comunismo ufficiale che la usa senza alcuno scrupolo per porre sotto “tutela” ogni manifestazione del pensiero fino a giungere ad una vera e propria “dittatura ideologica”. Per Korsch

“Questa tutela «filosofica» materialistica di tutte le scienze della natura e della società come pure dell’ulteriore sviluppo complessivo della coscienza culturale nella letteratura, nel teatro, nelle arte figurative, ecc., che dagli epigoni di Lenin è stata spinta fino alle più assurde conseguenze, ha finito col condurre alla formazione di quella singolare dittatura ideologica, oscillante tra progresso rivoluzionario e oscura reazione, che nella Russia sovietica dei nostri giorni, in nome del cosiddetto «marxismo-leninismo», viene esercitata su tutta la vita spirituale non solo della burocrazia di partito che detiene il potere, ma dell’intera classe operaia, e che recentemente si è tentato di estendere anche oltre le frontiere della Russia sovietica, a tutti i partiti comunisti dell’Occidente e del mondo intero”. 11

Il che significa non solo rinnegare ciò che il marxismo vuole rappresentare e cioè una critica radicale di ogni aspetto del mondo presente, ma anche perdere il senso profondo della battaglia per il socialismo. Per Korsch come per Marx

“nel suo fine e lungo tutta la sua strada il socialismo è una battaglia per la realizzazione della libertà”. 12

Nella sua introduzione alla raccolta degli scritti politici di Korsch, apparsa per i tipi della casa editrice Laterza alla fine del 1975, Gian Enrico Rusconi ha ritenuto opportuno mettere in guardia il lettore nei confronti di questa celebre affermazione korschiana.

“Il concetto di libertà – scrive Rusconi – che compare negli scritti di Korsch di questo periodo (1930) va inteso in modo corretto. Non si tratta della libertà in senso democratico, liberale: anche quando si parla di libertà d’espressione per l’individuo o il gruppo contro la dittatura di partito, la si intende univocamente come scelta per la radicalità rivoluzionaria. La «libertà» è la negazione di ogni vincolo antirivoluzionario, la negazione – da ultimo – dello Stato stesso”. 13

Ci permettiamo di dissentire da una simile lettura che ci pare schematica e tutto sommato banale. Certo, Korsch non intende il concetto di libertà in senso formale come semplice godimento di diritti. La libertà di cui parla Korsch è il principio fondante la vita stessa della classe operaia che proprio tramite la lotta recupera a pieno il valore profondo della propria esistenza. Se tramite la lotta gli operai emancipano se stessi, l’azione autonoma del proletariato che spezza le catene dello sfruttamento capitalistico e dell’alienazione umana è fattore di liberazione ed al tempo stesso esperienza diretta di libertà. Una libertà che va intesa non come mero obiettivo finale dell’azione rivoluzionaria, ma come elemento fondante, costitutivo del processo stesso di liberazione. Korsch pensa in positivo, per lui la libertà non è semplice “negazione di ogni vincolo” come banalmente scrive Rusconi, ma affermazione positiva della classe operaia che lottando per il comunismo si riappropria della propria umanità più profonda. Anche in questa occasione Korsch si rivela interprete fedele del pensiero di Marx.

“Quando gli operai comunisti – scrive nel 1844 da Parigi il giovane Marx – si riuniscono, essi hanno primamente come scopo la dottrina, la propaganda, ecc. Ma con ciò si appropriano insieme di un nuovo bisogno, del bisogno della società, e ciò che sembra un mezzo, è diventato scopo. Questo movimento pratico può essere osservato nei suoi risultati più luminosi, se si guarda ad una riunione di «ouvriers» socialisti francesi. Fumare, bere, mangiare, ecc. non sono più puri mezzi per stare uniti, mezzi di unione. A loro basta la società, l’unione, la conversazione che questa società ha a sua volta per iscopo; la fratellanza degli uomini non è presso di loro una frase, ma una verità, e la nobiltà dell’uomo s’irradia verso di noi da quei volti induriti dal lavoro”. 14



La critica di Lenin

Se la lotta per il socialismo è realizzazione del principio di libertà, la riduzione della teoria critica espressione del movimento reale a dogma non può che comportare lo svuotamento di tale lotta di ogni significato libertario. Il sogno si muta in incubo. L’emancipazione in una nuova, più terribile schiavitù. Secondo Korsch Lenin porta per intero la responsabilità di questo rovesciamento di senso. Pur partito da un’esigenza corretta di ristabilire la natura rivoluzionaria del marxismo come teoria critica, egli è presto ricaduto in una visione dogmatica che perde ogni dimensione dialettica nel momento in cui concepisce la conoscenza come mero rispecchiamento della realtà. Ne deriva uno spostamento dalla dialettica marxista ad un materialismo volgare incapace di cogliere la realtà come processo in atto di cui la stessa conoscenza rappresenta un elemento costitutivo.

“Col trasporre unilateralmente la dialettica nell’oggetto, nella natura e nella storia e col definire la conoscenza come semplice rispecchiamento e riproduzione passiva di questo essere oggettivo nella coscienza soggettiva, Lenin e i suoi distruggono effettivamente ogni rapporto dialettico tra l’essere e la coscienza e, come conseguenza necessaria, anche tra la teoria e la prassi”. 15

Una frattura che costituisce sul piano più direttamente politico la base della teoria della “coscienza portata dall’esterno” su cui poggia l’intera concezione leniniana del partito e che rispecchia il classico concetto giacobino di rivoluzione. Un concetto, su questo Korsch non ha dubbi, non proletario, ma diretta espressione delle rivoluzioni della borghesia. Sviluppando un concetto che verrà più tardi ripreso e ampliato da Anton Pannekoek nella sua confutazione di Materialismo ed empiriocriticismo, per Korsch il leninismo affonda le sue radici materiali nelle particolari condizioni di arretratezza della realtà sociale ed economica russa. Una situazione che ha posto particolari compiti “pratico-politici” alla rivoluzione stessa, costretta almeno nella sua prima fase a farsi carico di incombenze “giacobine”. Considerato da questa angolazione, il leninismo non può essere un’esperienza teorica adeguata alle “esigenze pratiche della lotta di classe del proletariato internazionale nella sua attuale fase di sviluppo”. 16 Lo stesso carattere teorico della filosofia materialistica di Lenin ne risente. Come abbiamo già avuto modo di osservare, il suo è un materialismo volgare, lontanissimo dal materialismo dialettico di Marx ed Engels che

“riporta tutta la discussione tra il materialismo e l’idealismo a una fase storica precedente, già superata dalla filosofia idealistica tedesca da Kant a Hegel”. 17

Passato attraverso la dura esperienza della dissidenza e della lotta di frazione nel partito tedesco e nell’Internazionale, Korsch perviene qui ad un totale rovesciamento delle posizioni che avevano caratterizzato il primo periodo della sua militanza comunista. Il marxismo russo, “questo marxismo russo” come sottolinea significativamente, gli appare ora ancora più ortodosso, ideologico e dogmatico della tanto criticata ortodossia marxista kautskiana. Il suo è un giudizio profondamente disincantato, spietato nelle conclusioni a cui giunge: rispetto a Kautsky Lenin è

“in contraddizione ancor più stridente con il reale movimento storico di cui pretendeva essere l’espressione ideologica”. 18

Con la sua Anticritica Korsch ritiene dunque di aver risposto all’interrogativo sollevato nel suo scritto di un anno prima sulla Comune rivoluzionaria. Il “tradimento” degli ideali dell’Ottobre ha finalmente una spiegazione: il dispotismo staliniano rimanda direttamente all’ambiguità del marxismo di Lenin.

“Lo stesso carattere ideologico e la stessa conseguente contraddizione tra teoria «ortodossa» adottata e reale carattere storico del movimento [che] affliggono il marxismo russo (…) trovano la loro espressione più evidente nella teoria marxista ortodossa e nella prassi per nulla ortodossa del rivoluzionario Lenin e, come grottesca caricatura, nelle stridenti contraddizioni tra teoria e prassi nel «marxismo sovietico» dei nostri giorni”. 19

Se la teoria non é espressione e al contempo parte costitutiva stessa del movimento reale, ma diviene dottrina “scientifica”, patrimonio di un partito che la fa calare sugli operai dall’esterno della quotidiana lotta di classe, la separazione fra teoria e prassi non può che diventare totale. Le parole perdono a questo punto ogni significato e si trasformano nel loro esatto contrario. L’estinzione dello Stato diventa rafforzamento dello Stato ad un livello mai visto prima nella storia. La dittatura del proletariato diventa dittatura sul proletariato e allo stesso tempo dittatura dei vertici del partito sul partito. La credenza positivistica nell’esistenza di una “verità obiettiva”, espressa da leggi di natura, raggiungibile attraversa la “scienza” diventa fede cieca nell’infallibilità di un partito che in ogni momento ritiene di possedere tale verità e di esprimere di conseguenza il senso stesso della storia. Un senso che esso incarna e che rende morale tutto ciò che fa. 20 Una storia, che, come lo stesso Korsch annoterà in uno scritto successivo, “non è più fatta, ma è invece sofferta e accettata passivamente dagli uomini”. 21


Il mutamento di funzione del marxismo

Nei primi anni Trenta Korsch porta dunque alle sue estreme conclusioni la sua critica del leninismo. Sviluppando ulteriormente le tesi esposte nell’Anticritica, egli giunge nel 1932 alla conclusione che il marxismo russo nella sua totalità, non rappresenti che una sovrastruttura ideologica, un “mascheramento” della spinta alla modernizzazione capitalistica del paese. Per Korsch

“Se si prescinde da tutti i travestimenti ideologici sotto i quali le diverse generazioni e le diverse correnti del marxismo russo in lotta tra di loro hanno portato a coscienza e combattuto il conflitto scoppiato nello sviluppo storico reale del loro paese, rimane il nudo dato di fatto che il marxismo russo in tutte le sue fasi di sviluppo e in tutte le sue correnti, dal principio in poi, non è stato nient’altro che la forma ideologica per la lotta materiale per la riuscita dello sviluppo capitalistico nella Russia zarista feudale. La società borghese già pienamente sviluppata all’Ovest aveva bisogno per la sua affermazione storica all’Est di una nuova veste ideologica (…). E l’ideologia marxista ricevuta dall’Occidente potè rendere questo servizio alla rivoluzione borghese in Russia poiché essa – al contrario dell’ideologia russa locale del populismo rivoluzionario – a partire dalle sue peculiari condizioni storiche di nascita, presupponeva la civilizzazione capitalistica come fase di passaggio storicamente necessaria in tutti i casi per la realizzazione della società socialista”. 22

Stalin rappresenta con la sua teoria della costruzione del socialismo in un solo paese solamente l’ultimo stadio di questo processo. Lo stalinismo, deformazione caricaturale e grottesca del marxismo, rappresenta ormai una vera e propria «religione di Stato» che schiaccia sotto il suo peso il proletariato e giustifica ideologicamente la costruzione di uno «Stato capitalista nella sua tendenza di sviluppo effettivo». Ciò non significa tuttavia che, come affermano i trotskisti, la degenerazione inizi con Stalin:

“Non fu certo solo l’epigono leninista Stalin, ma il marxista ortodosso Lenin, che per primo, nel momento cruciale della storia dello sviluppo rivoluzionario, quando con il passaggio alla NEP limitò in modo praticamente decisivo agli obiettivi borghesi la tendenza fino ad allora incerta della rivoluzione russa, preparò contemporaneamente l’indispensabile integrazione ideologica per il compimento di tale limitazione. E fu il marxista ortodosso Lenin colui che alla svolta degli anni 1920-21 enunciò con piena consapevolezza, in contrasto con tutte le sue precedenti posizioni, il nuovo mito marxista del carattere in sé socialista dello Stato Sovietico e della possibilità, con ciò garantita in linea di principio, della realizzazione della società socialista nella Russia sovietica”. 23

Quello che e avvenuto in Russia segna per Korsch un «mutamento storico di funzione», per cui il marxismo da «espressione teorica di un movimento rivoluzionario proletario socialista» si è trasformato nella «ideologia “socialista” di un movimento di costruzione borghese capitalistico», 24 a questo mutamento di funzione hanno contribuito non solo Lenin e Stalin, ma in qualche misura anche gli stessi Marx ed Engels.

“Anche Marx ed Engels infatti erano pronti sotto determinate condizioni a trasformare la loro teoria critico-materialistica «marxista» a favore di un movimento rivoluzionario in Oriente con opportune modifiche nel mero travestimento ideologico di un movimento rivoluzionario presuntivamente socialista, ma nella sua sostanza reale limitato in senso borghese”. 25

È una critica ingiusta. Prigioniero di una visione della rivoluzione come moto puramente proletario e immediatamente comunista, Korsch non concepisce le aperture di Marx ed Engels ai populisti e il loro giudizio sostanzialmente positivo su ciò che resta dell’originaria comunità contadina russa. Non comprende, anche se lo cita, il senso profondo della chiusura della prefazione all’edizione del 1882 del Manifesto del partito comunista in cui Marx ed Engels sostengono che

“se la rivoluzione russa sarà il segnale di una rivoluzione proletaria in Occidente, così che entrambe si completino reciprocamente, allora l’attuale proprietà comune russa della terra potrà servire come punto di partenza di un’evoluzione comunista”. 26

Quello che a Korsch importa è il fatto che queste ed altre “concessioni teoriche” fatte da Marx ed Engels ai populisti sono ora riprese dai sostenitori della teoria della costruzione del socialismo in un solo paese per presentare come marxismo ortodosso ciò che in realtà rappresenta un «abuso del marxismo». 27

Non è questa la sede per approfondire questa questione già per altro ampiamente dibattuta. 28 Al di là della fondatezza o meno della critica a Marx ed Engels resta il fatto che a partire dall’analisi della questione russa Korsch coglie lucidamente i segni di una nuova, profonda crisi del marxismo. Per cui

“non soltanto in Russia, ma in altre forme anche in Occidente il marxismo nel suo più recente sviluppo si è sempre più trasformato da teoria e prassi rivoluzionaria in pura ideologia che viene riconosciuta solo a parole dal movimento pratico, ma rinnegata nei fatti”. 29

Per Korsch sarebbe una posizione superficiale e falsa vedere l’essenza della crisi sempplicemente nella falsificazione ad opera degli epigoni socialdemocratici e bolscevichi dell’originaria teoria di Marx ed Engels.

“L’attuale crisi del marxismo significa piuttosto nella sua ultima ragione anche una crisi della teoria di Marx ed Engels stessi. La separazione ideologica e dottrinaria della «dottrina pura» dal movimento storico reale, compreso lo sviluppo della teoria, è essa stessa una forma della crisi in atto”. 30

L’unica uscita possibile da questa crisi sta in una piena riconquista del carattere rivoluzionario autonomo della classe operaia internazionale in una lotta a fondo contro il capitalismo e le sue mascherature ideologiche socialdemocratiche e staliniane che sappia darsi veste teorica nuova in diretta continuità storica con il marxismo:

“Il marxismo come fenomeno storico che è sorto nei suoi tratti fondamentali innanzitutto nella lotta rivoluzionaria della prima metà del XIX secolo, e si è mantenuto e trasformato nella seconda metà del secolo in ideologia rivoluzionaria di un movimento operaio a sua volta però non più rivoluzionario nella sua reale essenza, questo marxismo è oggi un fatto del passato. Nondimeno, in un senso storico più profondo, anche la teoria della rivoluzione proletaria – da elaborare nel prossimo futuro – sarà una prosecuzione storica del marxismo. Per il futuro della lotta di classe proletaria la teoria rivoluzionaria con la quale Marx ed Engels nel primo periodo dello sviluppo rivoluzionario della lotta di classe proletaria hanno fornito la prima grandiosa sintesi delle idee proletare, rimane la forma classica della coscienza rivoluzionaria moderna della classe operaia in lotta per la sua liberazione”. 31



1 K. KORSCH, La Comune rivoluzionaria, cit., p. 251.
2 Ivi, p. 252.
3 K. KORSCH, Lo stato attuale del problema «Marxismo e filosofia» (Anticritica), in Marxismo e filosofia, cit., p. 8.
4 LENIN, Materialismo ed empiriocriticismo, Sapere Edizioni, Milano 1970, p. 109.
5 K. KORSCH, Lo stato attuale…, cit., p. 28.
6 L. GRUPPI, Il pensiero di Lenin, Editori Riuniti, Roma 1970, pp. 122-123. Una affermazione quasi banale nella sua linearità, sufficiente tuttavia per suscitare le ire dei guardiani del Mausoleo di Lenin, come Sebastiano Timpanaro che seccamente rimprovera a Gruppi di “concedere di gran lunga troppo agli antileninisti” (S. TIMPANARO, Korsch e la filosofia di Lenin, in Sul Materialismo, Unicopli, Milano 1997).
7 K. KORSCH, Lo stato attuale…, cit., p. 16.
8 A. ROSENBERG, Storia del bolscevismo, Leonardo, Roma 1945, p. 24.
9 G. ROTH, I socialdemocratici nella Germania imperiale, cit., p. 161.
10 K. KORSCH, Lo stato attuale…, cit., p. 19.
11 Ivi, pp. 31-32.
12 Ivi, p. 36.
13 G.E. RUSCONI, Autonomia operaia e controrivoluzione, cit., p. XIX.
14 K. MARX, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, Torino 1968, p. 137.
15 K. KORSCH, Lo stato attuale…, cit., p. 29.
16 Ivi, p. 27.
17 Ivi, p. 28.
18 Ivi, p. 33
19 Ivi, p. 34.
20 Del tutto correttamente il “leninista” Trotsky assimilerà i bolscevichi ai gesuiti. Cfr. L. TROTSKY, La nostra morale e la loro, in Letteratura, arte, libertà, Schwarz, Milano 1958, pp. 139-140.
21 K. KORSCH, Note sulla storia, in Scritti politici, 2, cit., p. 343.
22 K. KORSCH, Per la storia dell’ideologia marxista in Russia, in Scritti politici, 2, cit., pp. 381-382.
23 Ivi, p. 386.
24 Ivi, p. 383.
25 Ibidem.
26 K. MARX- F. ENGELS, Prefazione all’edizione russa del 1882, in Manifesto del Partito Comunista, Edizioni Lotta comunista, Milano 1998, pp. 106-107.
27 K. KORSCH, Per la storia…, cit., p. 383.
28 Cfr. a questo proposito A. WALICHI, marxisti e populisti: il dibattito sul capitalismo, Jaca Book, Milano 1973.
29 K. KORSCH, Per la storia…, cit., pp. 386-387.
30 K. KORSCH, Crisi del marxismo, in Dialettica e scienza nel marxismo, Laterza, Bai 1974, p. 134.

31 Ivi, pp. 139-140.