Ottavo capitolo del
nostro “Il «rinnegato» Korsch. Storia di un'eresia comunista".
Ormai fuori dal Partito comunista, Korsch fonda una una rivista
politica come embrione di una nuova organizzazione rivoluzionaria
del proletariato tedesco. Grandi ambizioni e grande impegno, ma gli
esiti saranno deludenti.
Giorgio Amico
L’esperienza di
Kommunistische Politik (1926-1928)
Fedele all’impegno
assunto nella sua giovinezza di essere sempre e comunque dalla parte
del proletariato, Korsch, ormai fuori dalle fila del partito
comunista, rivolge con rinnovato interesse la sua attenzione alle
manifestazioni di autonomia operaia che ancora si manifestano in
Germania, riprendendo spunti già contenuti in nuce negli scritti del
periodo consiliare. Parallelamente si dedica ad assicurare più
solide basi teoriche al gruppo di Kommunistische Politik e al
tentativo di costruire un raggruppamento di forze rivoluzionarie a
livello internazionale. È un periodo di forte impegno militante, ma
anche di studio intenso. Nella sua nuova veste di leader di un gruppo
politico autonomo, Korsch si vede costretto ad approfondire questioni
mai affrontate prima, ma che stanno diventando centrali nel dibattito
del movimento comunista e su cui occorre dunque prendere posizione.
Stimolato dall’emergere della questione cinese, inizia pertanto a
studiare la realtà dei paesi coloniali e dei movimenti di
liberazione nazionale. Un tema a cui si dedicherà, pur senza
produrre alcun testo organico, fino agli ultimi giorni della sua
vita.
“Dopo essere stato
espulso dal KPD – testimonia Hedda – pubblicò per due anni la
rivista Kommunistische Politik, pagandola con il proprio stipendio di
deputato al Reichstag, mentre noi due vivevamo con il suo salario di
Jena e con il mio reddito di insegnante. La rivista aveva il formato
di un giornale ed era quasi autosufficiente. In tutto il periodo che
va fino al 1933, Korsch sviluppò la sua comprensione di alcuni
argomenti chiave e continuò a dare conferenze sul marxismo. Studiò
geopolitica, storia mondiale e matematica. Lavorò molto a fondo sul
pensiero matematico moderno (…). Affrontò anche profondamente i
problemi di quello che oggi verrebbe definito Terzo Mondo. Studiò lo
sviluppo dei vari paesi coloniali perché riteneva che la liberazione
delle colonie era forse imminente e avrebbe potuto cambiare
cmpletamente la politica mondiale”. 1
Nel corso dell’estate
del 1926 si susseguono senza sosta le espulsioni degli esponenti
della “Sinistra decisa”. A luglio vengono cacciati dal partito
consistenti gruppi di militanti in Assia, nel Meclemburgo e in
Turingia. Ad agosto è la volta di Schlagewerth, Loquingen, Loussau e
altri dirigenti che vanno a costituire solidi gruppi locali composti
prevalentemente di operai. L’estromissione pressochè totale della
frazione di sinistra dal Partito comunista tedesco costringe Korsch e
gli altri esponenti della “Sinistra decisa” ad organizzare una
conferenza nazionale che affronti i problemi, numerosi e complessi,
connessi alla trasformazione in organizzazione politica autonoma di
quella che fino a quel momento era stata una componente interna
della KPD. Occorre darsi una nuova struttura organizzativa,
risolvere il problema, fondamentale per ogni forza politica, dei
quadri a tempo pieno, reperire risorse finanziarie, aprire sedi. Ma
prima di tutto è necessario fornire la nuova organizzazione di una
linea politica complessiva a livello politico e sindacale. Va poi
sciolto definitivamente il nodo delle alleanze, cosa certamente non
facile considerato lo stato frammentato e fortemente conflittuale
dell’estrema sinistra tedesca dell’epoca, divisa in almeno una
decina di gruppi impegnati in una continua e feroce polemica con la
KPD e fra di loro.
In questi frangenti la
speranza di Korsch di costruire un’unica, solida, organizzazione
politica capace di raggruppare attorno a sé l’intera
ultrasinistra, si rivela fin da subito illusoria. La seconda
conferenza nazionale della “Sinistra decisa”, che si tiene il 28
settembre 1926, è teatro di una nuova scissione. Nel momento in cui
devono elaborare una loro linea autonoma, i dirigenti di Entschiedene
Linke, non più tenuti assieme dalla necessità vitale di fare fronte
comune contro la politica repressiva della direzione della KPD, si
ritrovano divisi pressochè su tutto. Come sempre in queste
situazioni, a complicare le cose riemergono vecchie polemiche e
rivalità personali mai sopite. Dopo una giornata di accese polemiche
che arrivano in alcuni momenti quasi a degenerare in scontro fisico
fra i sostenitori delle varie fazioni, il convegno si chiude con una
nuova scissione.
“Alla suddetta
conferenza – scrive Weber – si verificarono scontri violenti tra
Schwarz, Lossau, Körbs da un lato e Korsch, Loquingen, Schlagewerth,
Rolf e Johansen dall’altro. Il primo gruppo, grazie ad un’esigua
maggioranza, riuscì a conquistare la direzione nazionale (secondo i
sostenitori di Korsch si trattò di una maggioranza “messa insieme
con l’inganno”), ma contemporaneamente la conferenza confermò la
linea politica del gruppo Korsch. Questi continuò a fare uscire
“Kommunistische Politik”, mentre il gruppo Schwarz pubblicò una
rivista dal titolo “Entschiedene Linke”. Korsch fu definito
spregiativamente “il nuovo Lenin”. Le divergenze di opinione
riguardavano soprattutto la questione sindacale, dato che i seguaci
di Schwarz sostenevano l’Allgemeine Arbeiter Union e chiedevano la
«distruzione dei sindacati»”. 2
Alla conferenza Korsch
presenta un documento, sul quale ottiene la maggioranza, dal titolo
significativo di Zimmerwald e la sinistra di Zimmerwald! in cui si
afferma esplicitamente che i marxisti hanno ormai definitivamte
abbandonato qualsiasi speranza di una riconquista del Comintern ad
una politica autenticamente comunista rivoluzionaria. Occorre dunque
ricominciare “da principio”, ma senza nutrire alcuna illusione
sulla possibilità di “un’immediata nuova fondazione” del
partito comunista. Proprio in questo consiste la differenza prima con
la KAPD, poi con Katz e ora con Schwarz. L’unica prospettiva
possibile nelle difficili condizioni date resta sul piano
organizzativo semplicemente quella della “formazione di preparativi
per una nuova e futura fondazione del partito comunista” allo
stesso modo in cui la conferenza di Zimmerwald del 1915 era stata un
preparativo della fondazione dell’internazionale comunista,
avvenuta poi concretamente solo nel 1919. 3
Nonostante la spaccatura
verificatasi alla conferenza, Korsch prosegue nel suo tentativo di
costruire un’organizzazione politica autenticamente comunista con
l’obiettivo dichiarato della “restaurazione del marxismo nella
teoria e nella prassi del movimento della classe operaia sul piano
nazionale e internazionale”. 4 Ancora agli inizi del 1927 egli
sembra mantenere una certa fiducia nelle possibilità di riuscita
dell’impresa:
“la I conferenza
nazionale – si legge in un documento del gruppo, anonimo, ma quasi
sicuramente redatto da Korsch – tenutasi il venerdì santo 1926, ha
prodotto assieme alla discussione e accettazione della nostra
Piattaforma della sinistra, la base programmatica provvisoria per il
distacco dei veri comunisti (marxisti) dal partito comunista , che
sta imputridendo. La II conferenza nazionale, settembre 1926, ha
confermato la linea tattica Zimmerwald e la sinistra di Zimmerwald! E
ha avuto come effetto il distacco completo del nostro gruppo
comunista-marxista dal gruppo di Schwarz che oggi è in parte in
decomposizione e in parte svoltato nella KAP. La III conferenza
nazionale convocata dalla nuova direzione nazionale , allora
provvisoria, del gruppo «Kommunistische Politik» per la Pasqua
1927, ha creato dopo un’approfondita discussione di quattro giorni
su tutte le questioni economiche, politiche, tattiche e
organizzative, una base solida per il futuro lavoro del nostro
gruppo”. 5
Alla conferenza Korsch,
uno dei quattro membri della direzione nazionale, tiene la relazione
più importante, interamente dedicata ai compiti che stanno di fronte
alla nuova organizzazione. Il concetto di fondo può essere
sintetizzato nella necessità “di riconoscere e di esprimere con
chiarezza, sulla base delle esperienze raccolte sul piano nazionale e
internazionale, che al momento attuale anche una nuova Zimmerwald non
è raggiungibile”. 6
La conseguenza è che il
gruppo di Kommunistische Politik non può operare come un partito,
scimmiottando in piccolo il modo di operare della vecchia KPD. Il
gruppo deve, invece, cercare il più possibile di inserirsi nei
movimenti reali, a partire da quello dei disoccupati, per adempiere a
quei compiti di chiarificazione teorica di cui nessuno si fa più
carico:
“Se partendo da questa
precisa cognizione [l’impossibilità della ricostruzione immediata
del partito ndr] cerchiamo delle forme organizzative nelle quali sia
possibile creare – anche in questo periodo intermedio, durante il
quale il vecchio partito comunista non esiste più e non si è ancora
potuto costituire quello nuovo – un grado più alto di coscienza,
di coesione e continuità al nostro lavoro, si offre come soluzione
una distinzione dei diversi campi di attività, nei quali l’attività
di un partito comunista rivoluzionario può venir suddivisa. In
alcuni campi importanti il nostro gruppo può e deve – nonostante
in questo momento non sia un partito e non possa adempiere a tutti i
compiti di un partito comunista – prendere fermamente in mano quei
lavori che oggi non vngono compiuti da alcun partito della classe
operaia e cercare di portarli a termine con tutta l’audacia e
l’impegno di tutte le proprie forze. Esistono, invece, altri campi
dell’attività del partito dove nelle attuali circostanze la
maggiore quantità di azione pratica del nostro gruppo e di tutti i
suoi membri può venire realizzata molto meglio, se noi non
insistiamo nel voler apparire dovunque e a ogni costo secondo
direttive uniformi, centrali, in quanto organizzazione autonoma, ma
orientarci il massimo possibile secondo le condizioni locali. Questo
“decentramento”, che per una determinata parte della nostra
attività eseguiamo coscientemente e volontariamente, non offre
evidentemente ad alcun membro, ad alcun gruppo locale, ad alcun
distretto del nostro gruppo «Kommunistische Politik» una lettura in
bianco per un modo di procedere debole, senza principi. Per tutti noi
valgono in maniera assoluta i principi rigidamente marxisti,
comunisti, confermati all’unanimità dall’attuale conferenza
nazionale. Ma noi rimaniamo marxisti, pensando nello stesso tempo
alle parole di Marx, secondo il quale «ogni passo di movimento reale
è più importante di una dozzina di programmi»”. 7
Ci scusiamo con i lettori
per la lunghezza di questa citazione, ma era necessario riportare il
brano nella sua interezza, tanto esso esprime alla perfezione sia ciò
che Korsch pensa e si propone in quel momento, quanto le
contraddizioni reali che il gruppo sta vivendo e che lo porteranno
nello spazio di un anno alla dissoluzione. In particolare, quel voler
a tutti i costi operare da partito, senza voler essere “il partito”
rappresenta lo scoglio su cui andrà a naufragare l’esperienza di
Kommunistische Politik, lasciando aperto un interrogativo, teorico e
politico, con cui proprio a partire da questa esperienza grandi
individualità del movimento operaio come Pannekoek, Mattick,
Castoriadis si sono in seguito confrontati senza riuscire a trovare
una soluzione soddisfacente. 8
La questione sindacale
e l’autonomia operaia
Se dunque dopo la rottura
col movimento comunista ufficiale Korsch ritorna a confrontarsi con
la tematica delle lotte operaie, il punto di partenza da cui egli
muove è radicalmente mutato rispetto al passato. Non agire più da
partito significa in questo caso valorizzare maggiormente la
spontanea carica rivoluzionaria che la lotta operaia, ogni lotta
operaia, comunque contiene. Assistiamo dunque ad un radicale
spostamento dell’interesse di Korsch dall’azione disciplinata e
programmata di partito alla ricchezza dei comportamenti antagonisti
messi in campo dai proletari. Centrale nella sua prospettiva non è
più la politica dei gruppi dirigenti delle varie organizzazioni,
grandi e piccole, del movimento operaio, ma la lotta in sé come
processo che permette al proletariato, di prendere coscienza e cioè
di costituirsi come classe, di trasformarsi da classe in sé in
classe per sé. Solo alla luce di questo processo di progressiva
acquisizione di significato, si giustifica per Korsch l’importanza
che la lotta sindacale ha sempre rivestito per i comunisti. Coerente
con l’originaria impostazione marxiana, egli ritiene che
“il vero scopo delle
lotte economiche che guidano e sempre devono guidare i lavoratori
alla difesa e al miglioramento delle loro condizioni di lavoro e di
vita all’interno dell’ordine esistente della società
capitalistica consiste fin dall’inizio e ancor oggi non nei
«successi» più o meno «positivi», che con ciò potrebbero e
possono essere raggiunti a vantaggio dei lavoratori all’interno
dell’esistente sistema sociale capitalistico e del suo Stato, ma
piuttosto nella costituzione del proletariato come classe, che si
compie tra vittorie e sconfitte, mediante queste lotte e nel corso di
esse”. 9
Questa concezione,
rigorosamente marxista, permette di superare una volta per tutte la
diatriba “sindacato si, sindacato no” che dal 1920 divide il
movimento rivoluzionario tedesco e che ancora nel settembre 1926
aveva causato la spaccatura di Entschiedene Linke. Korsch è convinto
che le varie tendenze comuniste si siano divise su una valutazione
“organizzativa” e non “politica” del problema. Si è cioè
verificata un’inversione idealistica della questione: invece di
partire dal significato delle lotte per arrivare a definire il
rapporto con le varie organizzazioni sindacali, si è proceduto da
una valutazione astratta, di principio, di quale fosse il tipo di
organizzazione sindacale ideale per la lotta, indipendentemente dalle
situazioni concrete. Alla luce di una coerente impostazione
materialistica della questione, appare immediatamente l’assoluta
inconsistenza delle posizioni di chi ritiene che il semplice rifiuto
del lavoro nei sindacati connoti di per sé gli autentici
rivoluzionari, ma anche il formalismo di chi pensa basti militare
disciplinatamente all’interno della componente comunista nei
sindacati ufficiali o costituire “sindacatini rossi” per potersi
dichiarare marxista. Per Korsch la posizione dei marxisti autentici è
dunque un’altra e si fonda sulla consapevolezza che ciò che conta
è la lotta. Perchè ogni lotta operaia è in sé una lotta politica,
perché la lotta del proletariato contro la borghesia inizia con la
sua stessa esistenza. Ne deriva che
“dal punto di vista
dello scopo rivoluzionario vero e proprio e di classe di tutte le
lotte condotte dai lavoratori all’interno della società
capitalistica e del suo Stato, è altrettanto importante, e talvolta
più importante della legalistica lotta dei sindacati condotta
secondo regole sperimentate tradizionalmente, la lotta dei proletari
non organizzati nelle sue molteplici forme, a partire dall’immediata
influenza personale dei compagni di fabbrica, fino alla formazione
dei diversi tipi di comitati e direttivi temporanei o stabili”. 10
Per Korsch non ha dunque
alcun senso contrapporre lotta sindacale e lotta politica, attività
dei sindacati e azione spontanea delle masse, agitazioni di fabbrica
e lotte dei disoccupati. Né esiste una scala di priorità tra le
diverse forme di lotta. Quello che veramente conta è l’azione
autonoma delle masse, il dispiegarsi di quel movimento reale che per
Marx riveste più importanza di ogni per quanto perfetto documento di
partito. Partito dall’ingenua fiducia dei socialisti fabiani nella
positività delle masse, passato dopo la disillusione dei primi anni
Venti attraverso l’esperienza “bolscevica” del partito
centralizzato e disciplinato, Korsch approda ora ad una totale
valorizzazione dell’autonomia operaia come base stessa del
comunismo, superando definitivamente la contraddizione esistente tra
la visione della rivoluzione come totalità che sostanzia Marxismo e
filosofia e la militanza in un partito inteso leninisticamente come
corpo esterno alla classe. Liberatosi sul piano della prassi concreta
da ogni visione feticistica dell’organizzazione, egli può
riprendere senza più impedimenti o autocensure il vecchio discorso
consiliare, 11 accentuandone semmai ulteriormente la già forte
carica sovversiva.
“Di grandissima
importanza per l’attuale lotta di classe del proletariato è
soprattutto la lotta di classe dei disoccupati, da favorire con tutti
i mezzi da parte di tutti i veri comunisti, e l’«ancoraggio» di
questa lotta non solo in qualche comitato «sindacale» dei
disoccupati, ma nella solida unione organizzata di tutti i
disoccupati, di questa parte del proletariato senza dubbio oggi la
più sfruttata, per saldare i loro consigli dei disoccupati,
liberamente eletti, tanto fra di loro quanto con i consigli aziendali
e i fiduciari in una unità di classe rivoluzionaria, incrollabile”.
12
A partire da queste
considerazioni, Korsch sviluppa in un lungo scritto Sul diritto di
contrattazione, apparso come opuscolo agli inizi del 1928, una
penetrante analisi sul ruolo assunto dai sindacati nella “fase ora
iniziata di avanzato e tardo capitalismo”. 13 Testimone dello
svuotamento di significato dei consigli operai operato nel quadro
della Kollektive Demokratie dai sindacati per recuperare a pieno il
loro vecchio monopolio della rappresentanza messo in discussione dal
movimento consiliare, Korsch non si era mai dimostrato
particolarmente tenero nei confronti delle grandi organizzazioni
sindacali. Al punto da attirarsi dure critiche per aver osato
definire “il grande inganno” la tanto celebrata democrazia
sociale weimariana. In particolare egli aveva denunciato la
“sindacalizzazione” strisciante dei consigli operai, trasformati
da organi diretti dell’azione proletaria a rappresentanti dei
sindacati nelle fabbriche strumenti di contrattazione aziendale e
garanti del rispetto degli accordi nazionali, spacciata per controllo
operaio nel quadro di un “capitalismo organizzato”, cioè in
qualche modo governato dai partiti della sinistra. 14
Sulla base di queste
premesse Korsch si dedica ora ad un’analisi minuziosa dello
sviluppo del movimento sindacale in Germania, in Italia e in Russia
come premessa di un attacco a fondo al tentativo liberticida dei
sindacati maggioritari tedeschi, cattolici e socialdemocratici, di
rappresentare per legge, grazie ad un accordo con lo Stato, la
totalità dei lavoratori, escludendo dall’esercizio dei diritti di
rappresentanza e contrattazione le più piccole organizzazioni
sindacali alternative. Per cui
“ si è fatta sempre
più chiara la tendenza ad ampliare e trasformare la libertà di
coalizione (art. 159 della Costituzione) e il riconoscimento del
diritto di coalizione (art. 165, I) – ottenuti nel periodo bellico
e postbellico con la lotta economica e politica dell’intera classe
operaia – in una posizione speciale di diritto pubblico di un
determinato cerchio ristretto di organizzazioni sindacali, in un
formale monopolio di coalizione e quindi in un obbligo indiretto di
coalizione a vantaggio di queste organizzazioni privilegiate”. 15
Quello che Korsch
denuncia è la vera e propria mutazione genetica dei sindacati che da
organismi di lotta, espressione elementare e diretta degli interessi
proletari, si stanno trasformando in veri e propri apparati dello
Stato in nome della “pace sociale” e della “comunità di
lavoro” (oggi si parlerebbe di “politica di concertazione”),
nell’illusione di garantirsi legalmente tramite questa operazione
tutta interna alle istituzioni un peso contrattuale nella singola
fabbrica come nell’insieme della società che solo la lotta operaia
può invece realmente assicurare. Corollario di questa politica è
l’abbandono dello sciopero come forma principale di lotta:
“Questo mutato
carattere storico dei sindacati si rivela (…) nel modo più
evidente e radicale nella posizione completamente mutata della prassi
sindacale, e ormai anche della teoria, verso l’arma dello sciopero
prima universalmente riconosciuta come primo e più importante mezzo
della lotta economica della classe operaia … [e ora respinto] tra
gli ultimi anzi ultimissimi strumenti di lotta sindacale”. 16
In grado, grazie alla sua
superiore padronanza della dialettica marxista, di andare al di là
della semplice critica antiburocratica dei gruppi dirigenti
sindacali tipica dell’ultrasinistra tedesca dell’epoca per
intravvedere il progressivo dispiegarsi, indipendentemente dalle
forme politiche concrete assunte dallo Stato nelle varie realtà -
l’Italia fascista, la Russia sovietica, la Germania democratica -
di un processo di statizzazione delle organizzazioni sindacali tipico
del tardo capitalismo, Korsch delinea con largo anticipo le
coordinate di una critica all’ideologia della società industriale
avanzata destinata per decenni a restare insuperata. 17
Korsch e la sinistra
comunista italiana
Abbiamo visto nel
capitolo precedente come grazie all’opera del fuoriuscito
Pappalardi già nel 1923 la sinistra comunista italiana e Amadeo
Bordiga stringano stabili rapporti con Karl Korsch e l’estrema
sinistra tedesca. Questi rapporti si intensificano dopo l’espulsione
di Korsch dal Partito comunista tedesco e il suo tentativo di
costituire assieme ai “Centralisti democratici” di Sapronov e
agli internazionalisti italiani un comitato internazionale delle
opposizioni comuniste destinato ad avere vita breve. Per tutto il
1926 Pappalardi continua a tenere informato Bordiga sulle attività
di Korsch che gli richiede copia della Piattaforma della sinistra e
di altri documenti del gruppo, oltre che i numeri usciti di
Kommunistische Politik. Bordiga, che mantiene sui tedeschi le
perplessità già manifestate l’anno precedente, non valuta
positivamente la loro uscita dal partito, convinto com’è che ogni
sforzo debba essere fatto per restare nell’ambito dl Comintern. In
una lettera a Pappalardi si legge:
“Quanto ai tedeschi,
sono più liberi di noi essendo stati tutti espulsi, ma di ciò io
non mi rallegro. Forse era meglio evitassero di rompere su un terreno
non interno di partito, come il parlamento. Cercherò di mandarvi in
un altro scritto il mio parere sulle loro piattaforme, che certo si
avvicinano molto a noi”. 18
Il 27 agosto a scrivere è
Korsch che con una lettera, inviata da Berlino al gruppo
dell’opposizione italiana all’estero, ribadisce in modo caloroso
l’idea di un asse privilegiato da costruire con Bordiga e gli
italiani in vista di una più complessiva battaglia internazionale
contro un Comintern giudicato ormai irrecuperabile:
“Cari compagni!
La formula che abbiamo
trovato per la nostra linea politica e tattica nel movimento attuale
è: Zimmerwald e la sinistra di Zimmerwald. Con questo vogliamo dire,
che nel periodo di liquidazione della Terza Internazionale bisogna
riprendere la tattica del Lenin nel periodo di liquidazione della
Seconda Internazionale. Egli andò a Zimmerwald assieme con degli
elementi centristi per combattere i nazionalisti della destra. Ma
nello stesso tempo preparò e incominciò la lotta contro i centristi
per mezzo del programma e dell’organizzazione della sinistra di
Zimmerwald. E lo stesso bisogna fare oggi, secondo l’opinione
nostra, specialmente sulla base internazionale. Come veri alleati
della sinistra noi riguardiamo soltanto il compagno Bordiga e voi,
cari compagni”. 19
La lettera si conclude
con un appello alla partecipazione ad una conferenza internazionale
delle sinistre da tenersi al più presto presso la frontiera
meridionale della Germania in modo da permettere la partecipazione di
Bordiga. Poche settimane più tardi Kommunistische Politik lancia la
parola d’ordine di lottare per “una nuova Zimmerwald e per
una nuova sinistra di Zimmerwald!”.
Il 28 ottobre Bordiga
risponde a Korsch e, mantenendo fede all’impegno preso con
Pappalardi, chiarisce definitivamente la sua opinione in merito alle
posizioni espresse nei suoi documenti dalla sinistra comunista
tedesca. Già della prime battute esprime il suo più netto
disaccordo in merito all’analisi che Korsch fa della situazione
russa:
“il vostro ‘modo di
esprimervi’ sulla Russia mi pare che non vada bene. Non si può
dire che «la rivoluzione russa è una rivoluzione borghese». La
rivoluzione del ’17 è stata una rivoluzione proletaria, benchè
sia un errore generalizzarne le lezioni ‘tattiche’. Ora si pone
il problema di che cosa avvenga della dittatura proletaria in un
paese se non segue la rivoluzione negli altri paesi. Vi può essere
una controrivoluzione, vi può essere un intervento esterno, vi può
essere un corso degenerativo di cui si tratta di scoprire e definire
i sintomi ed i riflessi dentro il partito comunista. Non si può dire
semplicemente che la Russia è un paese in cui si espande il
capitalismo. La cosa è molto più complessa: si tratta di nuove
forme della lotta di classe che non hanno precedenti storici”. 20
Bordiga è critico anche
nei confronti del tentativo di Korsch di riunificare i vari gruppi
della estrema sinistra tedesca e internazionale. Si tratta di una
tattica “troppo elastica” e ancora “troppo bolscevica”
fondata sulla politica del “blocco di opposizioni”. Una
scorciatoia che a suo parere non può portare lontano, considerato
che la crisi del movimento comunista internazionale impone semmai
un’opera di rigorosa delimitazione politica:
“In genere - scrive -
io penso che in primo piano oggi più che l’organizzazione e la
manovra, si deva mettere un lavoro pregiudiziale di elaborazione di
una ideologia politica di sinistra internazionale, basata sulle
esperienze eloquenti traversate dal Comintern”. 21
Soprattutto, occorre in
ogni modo evitare di farsi espellere, così come sarebbe
controproducente fomentare scissioni di piccoli gruppi nelle fila
dell’Internazionale, infatti.
“la situazione
oggettiva ed esterna è ancora tale che non solo in Russia essere
cacciati fuori dai quadri del Comintern significa aver possibilità
di modificare il corso della lotta della classe operaia ancora minori
di quelle che si hanno nell’interno dei partiti”. 22
Per Bordiga l’opposizione
russa va sostenuta nella sua battaglia contro la politica staliniana
della costruzione del socialismo in un solo paese, così come va
decisamente respinta ogni forma di subalternità dell’Internazionale
Comunista al gruppo dirigente sovietico. Bisogna però con
altrettanta forza ribadire il carattere proletario del partito e
dello Stato russi che vanno comunque difesi. Fermamente avverso ad
ogni proclamazione artificiale di nuovi partiti o Internazionali,
nonostante la gravità della situazione Bordiga è fiducioso nel
futuro. Egli crede fermamente che presto “nuovi avvenimenti
esterni” verranno a spezzare l’isolamento degli
internazionalisti. In attesa di questi eventi occorre mantenere la
calma, non “raccogliere le provocazioni”, evitare nel modo più
assoluto ogni atto affrettato. 23
Le cose, come si sa, non
andranno in questo modo e nonostante la sua prudenza nel 1930 anche
Bordiga verrà espulso dal partito, ma nel 1926 tanto gli basta per
respingere garbatamente al mittente la proposta di una “nuova
Zimmerwald”. Un atteggiamento cauto, poco gradito ai compagni
all’estero che vorrebbero maggiore decisione nell’azione. Nel
luglio 1927 Pappalardi, insofferente dell’attendismo della
frazione, rompe con Bordiga e la sinistra comunista italiana proprio
sul problema della natura sociale dello Stato russo e sulla necessità
di costituire un’organizzazione politica autonoma dal partito e
dall’ Internazionale. Mentre Bordiga continua a considerare l’URSS
uno stato proletario, 24 Pappalardi condivide le posizioni di Korsch
per il quale la dittatura proletaria, realmente esistente nella
Russia sovietica degli anni del cosiddetto “comunismo di guerra”,
ha iniziato a declinare nel 1921 con l’inizio della Nuova Politica
Economica (NEP):
“A partire da quel
momento nell’intera struttura economica e politica del nuovo
sistema sociale russo (…) si fa sempre più acuta quella enorme
contraddizione tra teoria e prassi, ideologia e realtà che ha la
sua ragione di fondo nel fatto che – nonostante l’abbandono
“serio e di lunga prospettiva” della prosecuzione immediata e
dell’estensione internazionale della rivoluzione e nonostante la
effettiva reintroduzione di rapporti di produzione capitalistici –
si è mantenuta la finzione di una continuità della dittatura di
classe proletaria nel sistema sociale russo.La classe operaia russa
soffre di conseguenza sotto l’esistenza effettiva del modo di
produzione capitalistico e sotto la finzione della sua non-esistenza
che serve come pretesto per togliere agli operai russi persino quelle
modeste possibilità di autonoma tutela dei loro interessi di classe
che gli operai dei vecchi paesi capitalistici hanno strappato a viva
forza in una secolare lotta di classe alla borghesia dominante e al
suo Stato borghese”. 25
Come si vede il giudizio
è drastico e inaugura quel filone di studi sul paese della “grande
menzogna” destinato a grande fortuna nei decenni successivi. 26
Dopo la rottura con Bordiga Pappalardi, che ora vive in Francia, dà
vita al foglio Réveil communiste e si lega strettamente al gruppo
di Kommunistische Politik a cui invia corrispondenze sulla situazione
italiana, tanto da essere associata a questo nella critica sferzante
di una KAPD tanto estremista quanto settaria:
“È chiaro che i gruppi
d’opposizione francesi [il riferimento è a Le Reveil communiste]
hanno adottato la stessa linea di Karl Korsch in Germania, per quanto
si debba dire che essi sono ancora più a destra”. 27
Korsch, ovviamente,
registra con favore il fatto che sotto la direzione di Pappalardi,
un’importante minoranza si sia distaccata dal gruppo bordighista
italiano all’estero per costituire quri “gruppi di avanguardia
comunista” che possono rappresentare assieme ai russi di Sapronov
un importante tassello della nuova Internazionale. È un entusiasmo
destinato a durare poco: favorevole “all’unità della sinistra
sul terreno intermazionale” Réveil communiste è però contrario
alla proclamazione immediata di una nuova Internazionale comunista.
Si distingue dunque nettamente da Korsch di cui ospita diversi
contributi pur criticandone l’«eclettismo pericoloso» e il
tentativo di rimettere in causa non tanto la natura sociale dello
Stato russo, su cui non c’è disaccordo, quanto lo stesso carattere
proletario della rivoluzione d’ottobre.
Il progetto di una nuova
Zimmerwald deve essere abbandonato. Alla fine del 1928 rotti i
rapporti con Pappalardi e perso ogni contatto con il gruppo russo
spazzato via dalla repressione staliniana, Korsch si trova solo a
combattere la sua battaglia a livello internazionale mentre anche in
Germania Kommunistische Politik si avvita in una crisi di prospettive
che la porterà in pochi mesi a sciogliersi.
Korsch e l’
Opposizione russa
Per quanto fermamente
convinto della necessità di una nuova organizzazione internazionale
dei comunisti, Korsch non mostrò mai un particolare interesse a
collegarsi con l’Opposizione di sinistra che su ispirazione di
Trotsky inizia a formarsi a partire dal 1927 a livello del partito
russo e del Comintern. 28 E’ un fatto singolare, considerata
l’insistenza con cui pressochè nello stesso periodo egli cerca di
stringere stabili rapporti organizzativi con l’opposizione
italiana, con i russi di Sapronov, con i consiliaristi olandesi. Il
che la dice lunga sulla reale considerazione che Korsch aveva di
Trotsky come possibile punto di riferimento per una battaglia
internazionale contro lo stalinismo.
Analizzato attentamente
l’atteggiamento riluttante di Korsch ha radici profonde che
risalgono almeno al 1926, quando, in realtà, un tentativo di
alleanza c’era stato, ma era terminato presto con la totale
rottura di ogni rapporto tra russi e tedeschi. Cosicchè quando a
partire dalla fine dicembre 1927 Lev Trotsky, che ha ormai compreso
dopo la totale disfatta della cosiddetta “Opposizione Unificata”
al XV Congresso del Partito comunista russo 29 che non esistono più
prospettive di successo in Russia, inizia a sviluppare una
sistematica azione d’opposizione all’estero, le risposte saranno
minime. Il fatto è, come sottolinea acutamente Michel Prat nella sua
relazione al Convegno di Follonica del 1980, confermando
indirettamente la caratterizzazione korschiana di un Trotsky
nazionalista russo, che
“fino alla sua completa
disfatta, Trotsky aveva portato avanti la sua battaglia in difesa del
‘carattere internazionale della rivoluzione proletaria’ contro i
sostenitori del ‘socialismo in un solo paese’ essenzialmente
all’interno del PC russo”. 30
Una battaglia senza
esclusione di colpi, condotta in modo spregiudicato, utilizzando la
sinistra comunista tedesca esclusivamente come massa di manovra i cui
primi segnali si eano visti già nell’aprile del 1926 quando
Zinov’ev aveva platealmente sconfessato i suoi sostenitori
tedeschi, il gruppo Fischer-Maslow-Urbahns e la cosiddetta
“opposizione di Wedding”, che avevano apertamente solidarizzato
con l’opposizione di Leningrado e richiesto l’apertura nel
Comintern di un dibattito approfondito sulla questione russa. Come
afferma Prat, in realtà, si trattava di una manovra mirante a
proteggere la preparazione clandestina, allora in svolgimento, della
«Opposizione Unificata», ossia del «blocco» raggruppante la
«Nuova Opposizione» del 1925 di Zinov’ev e Kamenev e l’
«Opposizione di sinistra» del 1923 di Trotsky, più qualche
elemento dei gruppi della vecchia «Opposizione operaia» di
Sljapnikov e Medvedev e del gruppo del «Centralismo Democratico» di
Sapronov e V. Smirnov.
In queste condizioni,
l’emergere allo scoperto nel partito russo dell’Opposizione
Unificata e l’inizio di una nuova, durissima, lotta di frazione si
va ad intrecciare strettamente con lo scontro da tempo in atto nella
KPD tra la direzione Thälmann e la sinistra. Dopo l’annuncio alla
fine di luglio della cacciata di Zinov’ev dall’Ufficio Politico
del PCbR, la sinistra tedesca si schiera compattamente a fianco
della sinistra russa. Su impulso di Ruth Fischer e Arkadij Maslow, il
gruppo Urbahns, l’Opposizione di Wedding e il gruppo Korsch
redigono e fanno circolare una dichiarazione di solidarietà con i
compagni russi che raccoglie oltre 700 firme di militanti della KPD.
Nel documento, da allora denominato Manifesto dei Settecento, si
denuncia la teoria staliniana del socialismo in un solo paese e il
rischio di scissione che grava sul partito russo. Per evitare questa
eventualità, si richiede di nuovo l’apertura nel Comintern e nella
KPD di una approfondita e dettagliata discussione della questione
russa, la pubblicazione dei documenti dell’opposizione, il ritiro
di ogni misura disciplinare. 31
Il Manifesto dei
Settecento sembra l’avvio di quella battaglia decisiva per il
controllo del Comintern che l’intervento di Bordiga al VI Esecutivo
allargato aveva in modo criptico prefigurato. Ma le speranza di
Korsch e degli altri esponenti della sinistra tedesca non durano
neppure il tempo necessario a far asciugare l’inchiostro sulle
pagine del Manifesto. Il 16 ottobre, praticamente alla vigilia del XV
Congresso del partito, i rappresentanti dell’Opposizione Unificata
si arrendono a Stalin praticamente senza combattere e con una
umiliante dichiarazione si sottomettono alle condizioni poste dalla
maggioranza stalinista, sperando in questo modo di mantenere uno
spazio politico minimo nel partito. Con questo atto di sottomissione
Zinov’ev e Trotsky accettano di rispettare la disciplina di
partito, rinunciando per il futuro ad ogni tentativo frazionistico e,
cosa più grave di tutte, respingono categoricamente ogni connessione
con tutti quei gruppi che all’estero “conducono contro il
Comintern, il PC dell’Unione Sovietica o l’Unione Sovietica
stessa una agitazione di qualsivoglia genere”. 32
L’opposizione tedesca
viene dunque cinicamente sacrificata sull’altare degli interessi
dell’opposizione russa. Ancora una volta i russi mostrano di
considerare i membri degli altri partiti comunisti come pedine da
muovere sullo scacchiere della lotta di frazione nel PC sovietico.
Nelle sue memorie Trotsky rivendica questa scelta, presentata come
una ritirata strategica:
“Il 16 ottobre
dichiarammo che ritenevamo giuste le nostre idee e ci riservavamo il
diritto di combattere per esse nll’ambito del partito, evitando
però quelle azioni che potessero provocare una scissione. La
dichiarazione del 16 ottobre era destinata alle masse. Era
l’espressione della nostra volontà di rimanere nel partito e di
servirlo. Benchè gli staliniani rompessero l’accordo già il
giorno dopo, tuttavia avevamo guadagnato tempo. L’inverno 1926-27
fu una tregua che ci consentì di approfondire vari problemi”. 33
Come riconosce lo spresso
Prat, a differenza del “politicante e manovriero” Zinov’ev, il
comportamento di Trotsky “poggia, in fin dei conti, su [di una]
analisi realistica della gerarchia esistente di fatto tra il PC russo
e il Comintern”. 34 Ma ciò non attenua minimanente la gravità
dell’accaduto e soprattutto non giustifica in alcun modo il tono
particolarmente insultante che egli e Zinov’ev utilizzano contro i
loro alleati tedeschi ed in particolare Karl Korsch tacciato
sprezzantemente per le sue valutazioni sull’URSS di “aver rotto
con il comunismo”. 35
La dichiarazione del 16
ottobre ha un effetto devastante sulla sinistra comunista
internazionale. In Germania la sinistra si trova totalmente
spiazzata, costretta dopo la sconfessione dei russi, a sottomettersi
ad un analogo diktat di Thälmann o ad uscire dal partito. Per chi,
come Korsch, è già fuori dal partito la situazione è ancora più
difficile. Con un articolo durissimo su Kommunistische Politik egli
denuncia la «capitolazione vergognosa dei capi della ‘opposizione
di sinistra’» 36 Inutilmente Bordiga, sulla base delle sue
posizioni attendiste, lo invita alla prudenza e ad accettare
l’inaccettabile:
“Bisogna lasciare
compiere – scrive nella sua lettera del 28 ottobre – l’esperienza
della disciplina artificiosa e meccanica col seguirla nei suoi
assurdi di procedura fino a che sarà possibile, senza mai rinunciare
alle posizioni di critica ideologica e politica e senza mai
solidarizzare con l’indirizzo prevalente. I gruppi ideologici
aventi una posizione di sinistra tradizionale e completa non potevano
solidarizzare incondizionatamente con l’opposizione russa ma non
possono condannare la sua recente sottomissione, con la quale essa
non ha fatto una conciliazione ma ha solo subito delle condizioni di
cui la sola alternativa era la scissione”. 37
Per Korsch il problema
fondamentale resta quello di una direzione dell’Internazionale
comunista che ponga realmente tutti i partiti, e a maggior ragione un
partito del peso della KPD, secondo solo al PCR, su di un piano di
effettiva eguaglianza. E ciò non per una difesa di principio delle
regole della democrazia, ma perché il predominio sovietico blocca
sul nascere ogni possibile manifestazione di autonomia operaia. Per
lui Trotsky ragiona secondo i parametri nazionali russi, prigioniero
“di una logica dell’azione nel quadro del monopolio russo del
potere”, che conduce inevitabilmente a “sottovalutare le
potenzialità di una opposizione di sinistra internazionale”, 38
ma anche della stessa classe operaia sovietica, “goffo gigante,
inconsapevole nella «rossa» Russia ancor meno che in altri paesi
della propria forza reale”. 39 Per Korsch, insomma, Trotsky stesso
è parte integrante del problema, non ne può di conseguenza
rappresentare la soluzione.
Quanto a Trotsky, come
sottolinea Heinz Abosch, “tutto un mondo lo separava dalle idee di
Korsch, di Rühle, di Gorter; la linea di demarcazione tra il
comunismo dell’Ovest e quello dell’Est rimase intatta”. 40
Trotsky non è disposto ad accettare una discussione sul leninismo,
di cui pretende di essere il più fedele interprete. Tantomeno può
accettare la rimessa in discussione della natura socialista
dell’Unione Sovietica. Può essere criticato soltanto Stalin,
mentre una storia edulcorata del bolscevismo nel periodo 1917-1922 e
l’articolo di fede sulla Russia “Stato operaio degenerato”
diventano i miti fondanti della futura Quarta Internazionale. 41 Ciò
non può che rendere impossibile ogni seria discussione con le
sinistre non ortodosse ed in particolare con chi come Korsch
intendeva eliminare la “pecca del giacobinismo, della teoria
borghese della rivoluzione” che egli ritrovava tanto in Marx ,
quanto il Lenin , per dare libera espressione all’azione spontanea
delle masse. 42
Anche nel periodo
dell’esilio e della lotta allo stalinismo non ci saranno rapporti
fra i due. Trotsky cita per l’ultima volta Korsch il 1 ottobre
1933, includendolo con Gorter, Loriot, Souvarine tra chi “fa delle
scoperte astronomiche invece che esaminare il processo storico
reale”, tra coloro cioè che giudicano che l’URSS non sia uno
Stato operaio. Questi “innovatori”, dichiara sprezzantemente,
“non hanno prodotto assolutamente nulla, perché essi riflettevano
solamente la delusione soggettiva di circoli e individui, e non le
esigenze oggettive del processo storico”. 43 Poi fino alla sua
morte il nome di Korsch non rispunterà più fra le sue carte.
1 H.
KORSCH, cit., p. 13.
2
H.WEBER, cit., p. 163. L’Algemeine Arbeiter Union (Unione Generale
dei Lavoratori) nata nel 1920 aveva per principio essenziale la lotta
contro i sindacati ed i consigli di impresa legali. Ciascuna delle
organizzazioni membre dell’Unione aveva diritto alla massima
indipendenza e alla più grande libertà nella scelta della tattica.
Fortemente influenzata dalle idee di Otto Rühle per il quale “Il
lavoratore è proletario nel senso marxista del termine, soltanto
nella produzione, nel suo ruolo di lavoratore salariato [mentre nella
società] egli vive, abita, pensa e agisce come un piccolo borghese”,
l’AAU privilegiava pressochè esclusivamente il lavoro di fabbrica.
Cfr. E. RUTIGLIANO, Linkskommunismus e rivoluzione in Occidente,
cit., p. 34 e sgg.
3 Una
sintesi di questo documento è rintracciabile in allegato a D.
MONTALDI, Korsch e i comunisti italiani.
4 I
risultati della III conferenza dei comunisti di sinistra (gruppo
“Kommunistische Politik”). Ora in appendice a D. MONTALDI,
Korsch e i comunisti italiani, cit., p. 61.
5
Ivi, p. 60.
6
Ivi, p. 62.
7
Ivi, pp. 62-63.
8 Su
Castoriadis e il gruppo di “Socialisme ou Barbarie” cfr.
l’antologia a cura di M. BACCIANINI e A. TARTARINI, Socialisme ou
Barbarie, Guanda, Parma 1969. Per l’evoluzione successiva di
Castoriadis cfr. C. CASTORIADIS, L’istituzione immaginaria della
società, Bollati Boringhieri, Torino 1995. Con l’avvertenza che
l’edizione italiana, amputata rispetto all’originario testo
francese di tutta la prima parte, non è proprio di facilissima
lettura.
9 K.
KORSCH, La ripresa del marxismo nella cosiddetta «questione del
sindacato». In Scritti politici, 1, cit., p. 196.
10
Ivi, pp, 198.
11
“La più esplicita e teoricamente fondata alternativa alla società
‘compromissoria’ di Weimar” secondo la felice definizione di
Angelo Bolaffi (A. BOLAFFI, Dalla “kollektive Demokratie” al
“doppio Stato” nell’analisi di Ernst Fraenkel, in E. COLLOTTI
(a cura di), L’Internazionale Operaia e Socialista tra le due
guerre, Feltrinelli, Milano 1985, p. 1071)
12 K.
KORSCH, La ripresa del marxismo…, cit., p. 199.Per un’analisi
della centralità del movimento dei disoccupati nella crisi tedesca
rimandiamo al nostro L’esercito di riserva nell’analisi marxista
e gli effetti politici della disoccupazione nella Germania degli anni
Trenta, Genova 1986.
13 K.
KORSCH, Sul diritto di contrattazione nelle unioni sindacali
rivoluzionarie. In Scritti politici, 1, cit., pp. 193-241.
14
Una tematica ripresa pressochè negli stessi termini (e con le
stesse illusioni) dal PCI negli anni del “compromesso storico”
sia in versione moderata (Berlinguer, Lama) che estremistica
(Ingrao). Così come più o meno negli stessi termini (“nuovi
diciannovisti”) viene ripresa nei confronti della dissidenza
rappresentata da Autonomia Operaia l’accusa di “romanticismo
reazionario” formulata nei confronti della critica di Korsch da E.
Fraenkel.
15 K.
KORSCH, Sul diritto di contrattazione…, cit., p. 215.
16
Ivi, p. 238.
17
Per una riconsiderazione della questione operaia in epoca
post-industriale cfr. A. BIHR, Dall’«assalto al cielo» all’
«alternativa», BFS edizioni, Pisa 1995 e M. REVELLI, Oltre il
Novecento, Einaudi, Torino 2001.
18 D.
MONTALDI, Korsch e i comunisti italiani, cit., p. 26.
19
Ivi, p. 27.
20 A.
BORDIGA, Lettera a Korsch, in D. MONTALDI, cit., p. 47.
21
Ivi, p. 48.
22
Ibidem.
23
Bordiga “è convinto – scrive nel 1924 Gramsci a Togliatti e
Terracini – e lotta con molta abilità e con molta elasticità per
ottenere il suo scopo, per non compromettere le sue tesi, per
dilazionare una sanzione del Comintern che gli impedisca di
continuare fino alla saldatura col periodo storico in cui la
rivoluzione nell’Europa occidentale e centrale abbia tolto alla
Russia il carattere di egemonia che oggi essa ha”. (P. TOGLIATTI,
La formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel
1923-1924, Editori Riuniti, Roma 1984, p. 197)
24
Solo nei primi anni Cinquanta Bordiga inizierà a considerare l’URSS
un paese a capitalismo di Stato. Fino ad allora egli parla
genericamente di un non meglio definito “industrialismo di Stato”.
Cfr. a questo proposito O. DAMEN, Amadeo Bordiga. Validità e limiti
d’una esperienza nella storia della “sinistra italiana”, EPI,
Milano 1977. Su Bordiga e l’URSS si può anche vedere L. Grilli,
Amadeo Bordiga: capitalismo sovietico e comunismo, La Pietra, Milano
1982.
25 K.
KORSCH, Sul diritto di contrattazione…, cit., p. 207.
26 Su
questo dibattutissimo argomento vedere B. BONGIOVANNI (a cura di),
l’antistalinismo di sinistra e la natura sociale dell’URSS,
Feltrinelli, Milano 1975; A. BORDIGA, Struttura economica e sociale
della Russia d’oggi, Editoriale Contra, Milano 1966; J. BURNHAM, La
rivoluzione dei tecnici, Mondadori, Milano 1946; A. CILIGA, Nel paese
della grande menzogna, Casini, Firenze 1951; P. CHAULIEAU
(Castoriadis), I rapporti di produzione in Russia, Samonà e Savelli,
Roma 1971; T. CLIFF, Capitalismo di Stato in Russia, Prospettiva
Edizioni, Roma 1999; E. MANDEL-F. CHARLIER, L’URSS è uno Stato
capitalista?, Samonà e Savelli, Roma 1971; E. MORIN, La natura
dell’URSS, Armando, Roma 1989; B. RIZZI, La burocratizzazione del
mondo, Edizioni Colibrì, Milano 2002.
27 P.
BOURRINET, Alle origini del comunismo dei consigli, cit., p. 443.
28
Sui rapporti tra Korsch, la sinistra tedesca e l’opposizione di
sinistra trotskista cfrr. M. PRAT, Crise du
PC russe et crise du Komintern: Trockij et la question d’une
opposition de gauche internationale (1926-1927). In
Pensiero e azione politica di Lev Trockij (Atti del Convegno
internazionale di Follonica dell’ottobre 1980), Olschki, Firenze
1982, pp. 347-358; e P. BROUÉ, Gauche allemande et opposition russe
(1926-1928), in Cahiers Léon Trotsky, n.22, juin 1981.
29 Per
una dettagliata ricostruzione dello scontro fra Opposizione Uficata e
maggioranza staliniana al XV Congresso del PC russo cfr. A. DI
BIAGIO, L’ultima battaglia dell’opposizione (1926-1927), in Studi
di storia sovietica, Editori Riuniti, Roma 1978, pp. 87-223.
30 M.
PRAT, cit., p. 348.
31
Ivi, p. 352.
32
Ivi, p. 353.
33 L.
TROTSKY, La mia vita, cit., pp. 443-44.
34 M.
PRAT, cit., p. 357.
35
Ivi, p. 353.
36
Ivi, p. 354.
37 D.
MONTALDI, Korsch e i comunisti italiani, cit., p. 50.
38 P.
BROUÉ, Gauche allemande et Opposition russe de 1926 à 1928, Cahiers
Léon Trotsky, juin 1985.
39 K.
KORSCH, La questione Trotsky, in Scritti politici, 1, cit., p. 187.
40 H.
ABOSCH, Trockij e il bolscevismo, Feltrinelli, Milano 1977, p. 103.
41 Da
qui la miseria teorica del trotskismo relativamente all’analisi
della realtà sovietica, i silenzi su Kronstadt, l’esaltazione
acritica dei primi quattro congressi dell’Internazionale Comunista,
l’ostinata difesa del carattere comunque “operaio” dello Stato
russo. Un esempio su tutti: Lutte ouvrière, un’organizzazione per
intenderci che raccoglie oltre il 5% dei voti alle elezioni
presidenziali francesi, definisce ancora oggi la Russia di Putin “uno
stato operaio degenerato” anche se “in uno stato di
decomposizione avanzatissimo”, ma dove “la controrivoluzione
sociale non è ancora completata”. Ragion per cui per comprendere
la realtà della Russia ex-sovietica “è ancora l’analisi di
Trotsky ad essere la più feconda”. (Cfr. 50 ans après la mort de
staline, 15 ans après la pérestroïka, 11 ans après la disparition
de l’URSS, OÙ VA LA RUSSIE ?, Exposé du Cercle Léon Trotsky du
25 avril 2003, Pantin 2003, p. 56-57)
42
Ivi, p. 102.
43 L.
TROTSKY, La Quatrième internationale et l’URSS. La nature de
classe de l’Etat soviétique, in ŒUVRES, 2, EDI, Paris 1978, p.
264.