Stalin (1925)
Qualche anno fa, uscì
per la la Colibrì di Milano, Il "rinnegato" Korsch. Storia
di un'eresia comunista, prima (e ci risulta ancora unica) biografia
italiana del filosofo e esponente del comunismo dei consigli tedesco.
Il libro andò subito esaurito e non è stato più ristampato. In
attesa di una possibile riedizione aggiornata del libro, ne
riproponiamo il contenuto. Oggi presentiamo il sesto capitolo
relativo all'attività di Korsch come esponente della minoranza di
sinistra nel partito tedesco e nell'internazionale.
Giorgio Amico
All'opposizione nel
partito e nell'internazionale (1925-1926)
Agli inizi del 1925 la
stabilizzazione della situazione economica e politica in Germania
costringe la direzione della KPD ad attenuare il suo atteggiamento
radicale e a adottare una tattica più realistica. In primo piano
viene posta la parola d’ordine: “Andare verso le masse”. Questa
svolta moderata che riprende di fatto molte delle critiche dell’ala
destra del partito, si fonda sulla constatazione che in Germania
“per il momento non esiste una situazione rivoluzionaria
immediata”. 1
Il partito deve muoversi
concretamente verso l’obiettivo della “conquista della
maggioranza” della classe operaia il che in sostanza si traduce in
una riproposizione della vecchia tattica del “fronte unito dal
basso” con gli operai socialdemocratici. Abbandonata ogni velleità
di costruzione di nuovi sindacati “rossi”, i comunisti devono
orientano la loro azione in direzione di un lavoro in profondità
nelle organizzazioni sindacali controllate dalla SPD. In ooccasione
delle elezioni presidenziali Il presidente del comitato Esecutivo
dell’Internazionale Comunista (CEIC), Zinov’ev, ribadisce che la
KPD non può restare indifferente nello scontro tra reazione
monarchica e democrazia. Si deve dunque appoggiare
incondizionatamente il candidato socialdemocratico anche medianti
accordi diretti con il vertice della SPD.
La svolta,
sostanzialmente corretta sul piano dell’analisi, ma politicamente
improvvisata e imposta con la brutalità burocratica che ormai
contraddistingue i partiti comunisti bolscevizzati, non trova il
consenso dell’estrema sinistra che, guidata da Werner Scholem,
Arthur Rosemberg e Ivan Katz, prende le distanze della direzione
accusata di aver ceduto alla destra e di aver svenduto il patrimonio
di intransigenza della sinistra comunista. Nel caso poi specifico
delle elezioni presidenziali per bocca di Arthur Rosemberg la
sinistra denuncia come i due blocchi contrapposti siano entrambi
espressione della grande borghesia: non si può dunque sostenere un
gruppo contro l’altro senza tradire il carattere rivoluzionario del
partito.
Korsch, redattore capo
dell’organo teorico del partito e deputato al Reichstag, è tra i
più accesi fautori di questa politica di “ultrasinistra” che si
pone su di un piano di ininterrotta continuità con la vecchia teoria
dell’offensiva. Egli non crede che la Germania sia entrata in una
fase di stabilizzazione, tantomeno che l’economia mondiale abbia
superato la fase recessiva postbellica. La conclusione politica è
netta: la situazione è aperta a ogni sviluppo, la rivoluzione è
ancora all’ordine del giorno.
L’ultrasinistra,
frammentata in almeno una diecina di gruppi su molti temi in aspra
polemica fra loro, si ritrova compatta, oltre che nella critica della
“svolta a destra”, nell’imputare alla direzione la repressione
di ogni forma dissenso e una pratica della bolscevizzazione fondata
sull’idea “che l’esercito prussiano prima della guerra fosse
all’incirca l’ideale incarnato di un partito bolscevico”. 2
Anche su questo punto
Korsch è tra i critici più decisi. In questa polemica a partire
dalla primavera del 1925 egli recupera molte delle sue precedenti
posizioni consiliari. Se a fronte del fallimento del movimento dei
consigli, egli aveva pensato di trovare la soluzione del dilemma
rivoluzionario in un leninismo idealizzato e del tutto astorico,
questa certezza pare ormai lasciare spazio ad una ripresa della
speranza nell’azione autonoma della classe operaia. La stessa
bolscevizzazione del Partito comunista tedesco fino ad allora
sostenuta a spada tratta incomincia ad apparire a Korsch per quello
che realmente è: la subordinazione dei partiti comunisti
dell’Occidente al partito sovietico. In questo percorso di
progressivo distacco dai dogmi imperanti nell’Internazionale e nel
partito alla cui diffusione egli stesso, come caporedattore della
rivista teorica della KPD, aveva non poco contribuito, Korsch giunge
inevitabilmente a porsi il problema dell’Unione Sovietica. Pur non
avvicinandosi a Trotsky, considerato una delle diverse possibili
incarnazioni del dispotismo burocratico, la rottura con lo stalinismo
è netta. La teoria del socialismo in un paese solo viene ora letta
come la giustificazione nazionalistica della rinuncia alla
rivoluzione mondiale, conseguenza diretta della costruzione di uno
stato senza una base proletaria, diretto da un partito burocratizzato
e economicamente connotato da un “capitalismo di stato”.
Gli sviluppi della NEP e
la coesistenza dell’URSS con il capitalismo internazionale appaiono
a Korsch e all’ultrasinistra i segni evidenti della sconfitta della
rivoluzione d’Ottobre e del ripiegamento della Russia su stessa a
spese del proletariato mondiale. Si assiste, dunque, ad un completo
rovesciamento delle posizioni precedenti, dove anche i termini usati
nella polemica mutano di significato. Attaccati come
“antibolscevichi”, gli esponenti dell’estrema sinistra prendono
questo insulto come un onore, almeno fino a che essere bolscevico
significa identificarsi con l’URSS e di conseguenza rinunciare
“agli interessi del proletariato internazionale a favore dello
Stato russo, cioè di quella maggioranza contadina capitalistica”.
3
Partito da questi
presupposti, in un processo sempre più accelerato di rottura con il
suo stesso vissuto personale Korsch giunge nel 1926 a sostenere che
come la Seconda anche la Terza Internazionale ha ormai del tutto
abbandonato “ il problema del fine ultimo comunista” e che la
rivoluzione russa, isolata, ogni giorno di più più mette in chiaro
il suo autentico carattere “radicale-borghese”. Da ciò egli trae
due conclusioni: la prima che nell’URSS è ormai in via di
consolidamento “un termidoro già avanzato, non più evitabile,
dilagante”; la seconda, che obiettivo prioritario diventa allora
dar vita a una nuova Sinistra internazionale in grado di opporsi agli
effetti catastrofici della “liquidazione della Terza
Internazionale, ormai iniziata”. 4
Da questo momento, venuti
meno i presupposti che fino ad allora avevano giustificato la fedeltà
all’URSS, dovere di ogni vero rivoluzionario è smascherare
l’inganno sovietico ed adoperarsi per garantire un’adeguata
direzione politica al movimento di classe proletario.
Karl Korsch: teorico o
militante rivoluzionario?
Per Miloš Hájek la
partecipazione di Korsch all’opposizione di ultrasinistra nella KPD
“rappresentò un breve e scarsamente importante capitolo della sua
vita, senza un legame diretto con il suo lavoro teorico”. 5 Hájek,
che considera l’estrema sinistra come un insieme di tendenze
politicamente e teoricamente sterili, “giuntura tra anarchismo e
sindacalismo rivoluzionario dei tempi della II Internazionale da una
parte e la nuova sinistra dall’altra, […] espressione della
continuità di una tendenza settario-utopistica forte nella critica,
ma incapace di offrire una concreta alternativa politica”, 6 deve
in qualche modo risolvere il problema rappresentato dalla presenza in
questo contesto, secondo lui teoricamente così arido, di figure del
calibro di Pannekoek, Gorter, Korsch. La soluzione è una totale
svalutazione del loro impegno militante. Dissentiamo totalmente da
questa analisi che ci pare rispondere ad un teorema politico più che
alla realtà dei fatti. 7
Non esiste un Korsch
“filosofo” avulso dal Korsch “militante politico”. Come
crediamo di aver dimostrato nei capitoli precedenti, Korsch vive
intensamente la sua militanza, non solo come base indispensabile per
una riflessione e sistemazione concettuale a posteriori, ma come
fondamento etico della sua più complessiva ricerca umana. Da qui la
contradditorietà del personaggio e la vischiosità delle scelte e di
un percorso che non si lascia contenere in facili e unilaterali
schemi. Korsch non è uomo da etichette, come Walter Benjamin egli si
colloca “al di fuori di tutte le correnti e al crocevia di tutte le
strade”. 8
Ma il fatto che, come
vedremo, a differenza di altri eretici del marxismo (Trotsky,
Bordiga, Gramsci) egli non possa essere recuperato da nessuna scuola
o chiesa marxista per quanto scimatica essa sia, non significa in
alcun modo che la sua militanza politica sia stata una parentesi del
tutto effimera. Al contrario, proprio dall’estrema radicalità del
suo impegno politico egli ricava le motivazioni morali e gli
strumenti concettuali per una critica talmente rigorosa e coerente
dei fondamenti stessi del marxismo da essere del tutto inutilizzabile
da chi è alla ricerca di sempre nuovi “ismi”. 9
E’ Korsch stesso,
d’altronde, proprio nella introduzione alla seconda edizione di
Marxismo e filosofia a fare nel 1930 il punto della situazione
recuperando l’intero suo percorso di quegli anni in un quadro
d’assieme che non tollera scissioni fra battaglia teorica e lotta
politica nel partito e nell’internazionale:
“…nel periodo in cui
dopo la morte di Lenin la lotta dei diadochi per la successione si
era fatta ancora più aspra che nel periodo precedente la sua
scomparsa […] aveva avuto inizio, sotto la parola d’ordine della
‘propaganda del leninismo’ , anche la battaglia per la
‘bolscevizzazione’ di tutti i partiti non russi aderenti
all?Internazionale comunista, condotta da quello che allora era il
gruppo dirigente del partito russo. In quest’ideologia ‘bolscevica’
svolgeva un ruolo centrale anche un’ideologia strettamente
filosofica che si spacciava per restaurazione della filosofia
marxista vera e non adulterata e su questa base tentava di dare
battaglia a tutte le altre tendenze filosofiche esistenti all’interno
del movimento operaio moderno. Questa filosofia marxista leninista
che proprio allora stava penetrando in Occidente, si scontrò negli
scritti di Lukács, nei miei e in quelli di altri comunisti d’Europa
occidentale, con una tendenza filosofica opposta all’interno
stesso dell’Internazionale comunista […] E se anche questa
discussione filosofica, per ragioni storiche precise […], si è
risolta soltanto in un’eco lontana delle discussioni politiche e
tattiche condotte alcuni anni prima con ben maggiore energia, e se
già poco più tardi è stata nuovamente respinta in secondo piano
dalle lotte politiche di frazione riesplose nel partito russo a
partire dal 1925 e combattute con violenza sempre crescente in tutti
i partiti comunisti, ciò nondimeno nell’ambito dello sviluppo
complessivo essa assumeva un significato transitorio non irrilevante,
in quanto si trattava di un primo tentativo di spezzare quella
‘reciproca impenetrabilità’ che secondo le parole di un critico
russo eccezionalmente bene informato sulla situazione teorica
esistente nei due campi, era fino allora esistita fra l’ideologia
complessiva del comunismo russo e di quello occidentale”.10
Il X congresso della
KPD e la liquidazione della direzione Fischer-Maslow
La lotta di frazione
interna alla KPD si inasprisce man mano che ci si avvicina alla data
di svolgimento del X congresso, fissata per il luglio 1925. In vista
di questa scadenza Ruth Fischer scrive un articolo in cui fa risalire
al congresso di Francoforte le divergenze con l’estrema sinistra e
ribadisce che il X congresso sarà il “congresso della
bolscevizzazione”, ragion per cui il partito deve porsi sul
terreno di un leninismo integrale senza più concessioni alle “scuole
teoriche” di un presunto marxismo occidentale, anche se queste si
mascherano da “leniniste”. 11 Nonostante la durezza degli
attacchi anche personali portati ai rappresentanti dell’opposizione,
12 il X congresso si apre con la lettura di un messaggio di Zinov’ev
in cui la direzione della KPD viene criticata per la troppa
tolleranza mostrata nei confronti degli oppositori ed in particolare
di Rosenberg, Scholem, Korsch. “I Rosemberg e gli Scholem – si
legge nel messaggio – che hanno falsificato il comunismo, i Korsch
e i Rolf che col comunismo non hanno nulla a che fare, non possono
essere i maestri del partito”. 13
Intervenendo nel
dibattito congressuale, il delegato del Comintern, Manuil’skij,
rincara la dose degli attacchi all’opposizione, dietro la cui
“fraseologia di estrema sinistra” si nasconde “soltanto una
natura piccolo-borghese”. Seduta dopo seduta lo scontro cresce di
intensità fino ad investire direttamente la stessa politica dell’
Internazionale comunista in Germania: parlando a nome dell’estrema
sinistra, Arthur Rosemberg dichiara in risposta agli attacchi di
Manuil’skij che è l’Internazionale ad aver abbandonato la
corretta politica comunista sia sulla tattica del fronte unito che
sulla dottrina dello stato. 14
Come previsto, il
congresso si chiude con una schiacciante vittoria della direzione,
celebrata dalla stampa comunista come il primo passo verso la
creazione di un “partito di tipo nuovo” finalmente depurato dalle
tare estremistiche tipiche del comunismo tedesco. Tornato a Mosca,
Manuil’skij chiede non solo la cacciata degli estremisti, ma anche
di Ruth Fischer, accusata di doppiezza e di tramare contro il
Comintern. Il risultato sarà una lunga “Lettera aperta” in cui
il Comintern accusa il gruppo Fischer-Maslow, che pure aveva seguito
fedelmente le indicazioni del CEIC, di aver dato prova nella recente
campagna presidenziale di deviazioni parlamentaristiche, ma
soprattutto di non aver adeguatamente combattute nel partito le
tendenze nominalmente di ultrasinistra ma “in realtà
anticomuniste”, con l’auspicio finale che alla direzione del
partito “vengano elette nuove forze dirigenti operaie”. 15
Seguendo
disciplinatamente queste indicazioni il CC della KPD si sposta sulla
nuova linea dettata dal Comintern. La direzione, uscita dal congresso
viene rimaneggiata: Ruth Fischer deve abbandonare la segreteria
sostituita dallo spregiudicato dirigente operaio August Thälmann già
vicino alla sinistra radicale di Amburgo. La nuova direzione che,
controllando i funzionari a tempo pieno, 16 ha saldamente in mano
il controllo dell’organizzazione, estromette dall’Ufficio
Politico i rappresentanti della sinistra e inizia l’epurazione del
partito. Ancora una volta la rottura è avvenuta seguendo la linea di
faglia della lotta di frazione interna al Partito comunista
“bolscevico” russo. Come sempre sono i dirigenti sovietici,
Stalin, Zinov’ev, Bucharin a guidare da dietro le quinte i
cambiamenti negli assetti e nella composizione del gruppo dirigente
tedesco. Sin da subito appare chiaro che, nonostante entrambe le
componenti della ex-maggioranza si richiamino più o meno negli
stessi termini alla campagna per la bolscevizzazione, il nuovo
leader, Ernst Thälmann, è su posizioni nettamente filo-staliniane,
mentre i vecchi dirigenti Ruth Fischer e Arkadij Maslow, che nel
frattempo hanno costituito una nuova opposizione di sinistra, si
identificano con Zinov’ev e la cosiddetta “Opposizione di
Leningrado” ormai in piena rotta di collisione con la nuova
direzione Stalin-Bucharin del partito russo. 17
Come abbiamo visto Korsch
non crede nella stabilizzazione della situazione economica e politica
tedesca, tanto meno ritiene che si debba trovare un accordo con la
SPD per salvare la fragile democrazia weimariana dal pericolo della
reazione “monarchica”. Mentre il partito vira a destra, egli (e
con lui l’ala ultrasinistra) rimane fermo sulle posizioni che fino
a pochi mesi prima erano state patrimonio comune dell’intera KPD:
Lo Stato democratico, sempre più puro apparato repressivo del
proletariato, è il migliore involucro del fascismo, così come
fascista è la socialdemocrazia e l’insieme delle forze
democratiche borghesi. Ma se la realtà è questa, cosa pensare
allora della politica del Comintern che praticamente impone ai
comunisti tedeschi di accordarsi con la direzione socialdemocratica ?
E ancora: come valutare la politica estera dello Stato russo che
intensifica i rapporti di collaborazione sul piano diplomatico,
economico e militare con il governo tedesco? 18
Per Korsch non ci sono
dubbi: lo Stato sovietico antepone gli interessi “nazionali”
russi a quelli della rivoluzione proletaria e utilizza in modo
spregiudicato il movimento comunista internazionale per la difesa di
questi interessi. Una posizione delicatissima, difficile da sostenere
per chiunque in un partito come la KPD in pieno processo di
stalinizzazione, figurarsi per un personaggio così poco capace di
mediazione come Karl Korsch. Durante un’accesissima discussione nel
corso di una conferenza di partito a Francoforte, il 6 settembre
1925, sottoposto a un duro attacco da parte dei sostenitori della
maggioranza, perde il controllo e nella foga della polemica definisce
“imperialismo rosso” la politica estera russa. Nonostante le
smentite successive, egli diventa grazie a questa infelicissima
espressione il simbolo vivente dell’antisovietismo.
Amadeo Bordiga
Korsch, Bordiga e il
VI Esecutivo allargato del Comintern
Ormai apertamente
all’opposizione nel partito, Korsch si lega strettamente all’ala
più radicale dell’ultrasinistra, il gruppo guidato da Ivan Katz,
particolarmente radicato fra gli operai della Bassa Sassonia. Nel
gennaio del 1926 Katz e i suoi principali sostenitori vengono espulsi
dopo che ad Hannover la lotta fra le frazioni si è trasformata in
scontro armato. Korsch e gli altri deputati dell’ultrasinistra al
Reichstag rifiutano di condannare Katz, ritenendo che la
responsabilità principale per i fatti di Hannover spetti alla
provocatoria condotta della direzione nei confronti delle minoranze
interne a cui di fatto a partire dalla I Conferenza nazionale della
KPD nel novembre 1925 è stata negata ogni agibilità politica. Di
fronte all’epurazione in corso nel partito, l’estrema sinistra
tenta di serrare le fila. Si costituisce così il gruppo delle
“sinistre intransigenti”che il 24 gennaio 1926 tiene la sua prima
conferenza. In questa occasione Korsch attacca duramente la politica
dell’Unione Sovietica ed auspica una collaborazione incondizionata
con Katz, provocando l’abbandono della riunione da parte di Scholem
e Rosenberg che considerano questo atteggiamento troppo estremistico.
Ad una nuova conferenza
nazionale dell’estrema sinistra nel marzo è la volta di Hans
Weber, rappresentante della cosiddetta “Opposizione di Wedding” a
rompere con Korsch per l’eccessivo radicalismo delle sue posizioni
sulla politica dello “stato russo” e dell’Internazionale
comunista. 19 Nonostante queste lacerazioni la frazione di Korsch
raccoglie in pochi mesi alcune migliaia di aderenti, e non solo
intellettuali come scrive Weber 20 ma anche molti operai e, pur
restando nel partito, inizia ad organizzarsi su linee autonome
attorno al quindicinale Kommunistische Politik. Diskussionblatt der
Linken (Politica Comunista. Foglio di discussione delle Sinistre) con
il nome di “sinistra decisa all’interno del Partito comunista
tedesco”.
Dopo questi episodi
Korsch è ormai la bestia nera della direzione staliniana del partito
tedesco e dell’Internazionale, il bersaglio di tutti gli attacchi,
tanto da essere il protagonista in negativo dei lavori della
“commissione tedesca” del VI Esecutivo allargato del Comintern il
mese successivo. A dimostrazione eloquente di quali fossero ormai i
rapporti di forza negli organismi dirigenti internazionali e quale
importanza venisse attribuita alla situazione del partito comunista
in Germania, i due discorsi più importanti in seno alla commissione
tedesca vengono tenuti da Bucharin e Stalin. Entrambi attaccano con
estrema violenza le tesi dell’estrema sinistra ed in particolare le
posizioni di Korsch secondo cui il Comintern seguiva ormai una
politica esclusivamente determinata dagli interessi nazionali russi.
Per Bucharin simili idee non hanno nulla in comune con il comunismo e
non rappresentano niente altro che “un’allucinazione”
piccolo-borghese.
Nel suo intervento
Bucharin definisce “assolutamente falsi e tendenziosi” i timori
espressi da Korsch e da altri esponenti dell’estrema sinistra in
merito ad una presunta svolta a destra del partito russo e definisce
le posizioni dei dissidenti come tipiche di “un’ideologia per
metà socialdemocratica e per metà borghese”. Quanto a Stalin,
egli si scaglia contro Korsch dapprima senza nominarlo, ma prendendo
a bersaglio delle sue rozze invettive la categoria degli
intellettuali. “Se gli intellettuali – grida, rivolgendosi al
segretario tedesco Thälmann - vogliono servire realmente la classe
operaia, metteteli al servizio del partito. Ma se invece vogliono
comandare e dominare, costi quel che costi, mandateli pure al
diavolo! Il fatto che nel Comitato centrale attuale gli operai siano
in prevalenza torna soltanto a onore della KPD”. 21 Infine,
entrando nel merito dei fatti di Hannover, Stalin dichiara che nel
partito tedesco sta infuriando una lotta implacabile tra la “banda
Katz” e il comitato centrale e non è possibile restare neutrali.
Ciascuno deve scegliere da che parte stare: dalla parte del “meschino
filosofo Korsch oppure dalla parte del CC”. 22 Il discorso di
Stalin provoca un’animata discussione nella commissione tedesca. a
difendere Korsch e l’opposizione di sinistra della KPD è
soprattutto il rappresentante del Partito comunista d’Italia,
Amadeo Bordiga, anche lui fra gli esponenti comunisti accusati di
deviazionismo. 23
“Io credo – afferma
con grande dignità Bordiga tra le interruzioni dei delegati – che
la caccia al sedicente frazionismo continuerà e darà i risultati
che ha dato finora. Lo vediamo anche nel modo in cui si cerca di
risolvere la questione tedesca e diverse altre questioni. Devo dire
che questo metodo dell’umiliazione personale è un metodo
deplorevole, anche quando viene impiegato nei confronti di elementi
politici che meritano di essere aspramente combattuti. Non credo che
esso sia un sistema rivoluzionario. Penso che la maggioranza che oggi
dà prova della sua ortodossia, divertendosi alle spalle dei
peccatori perseguitati, sia composta con molte probabilità di ex
oppositori umiliati. Sappiamo che questi metodi sono stati applicati,
e forse lo saranno ancora, a compagni che non solo hanno una
tradizione rivoluzionaria, ma rimangono elementi preziosi per le
nostre lotte future. Questa mania della autodemolizione deve cessare
se vogliamo davvero porre la nostra candidatura alla direzione della
lotta rivoluzionaria del proletariato. Lo spettacolo che ci dà
questa seduta plenaria mi apre fosche prospettive circa i cambiamenti
destinati ad avvenire nell’Internazionale. Voterò quindi contro il
progetto di risoluzione che è stato presentato. 24
Korsch e Bordiga si
conoscono dai tempi del V Congresso dell’Internazionale Comunista.
Allora nel corso del suo viaggio a Mosca Bordiga si era fermato per
qualche tempo a Berlino dove viveva un piccolo gruppo di militanti
comunisti italiani, diretto da Michelangelo Pappalardi che del
rivoluzionario napoletano si considerava un fedele seguace e un buon
amico. Non è certo se i due si siano conosciuti personalmente allora
o qualche settimana più tardi a Mosca. Sicuramente in
quell’occasione Bordiga ha modo di prendere diretta visione dei
materiali prodotti dalla sinistra comunista tedesca e di incontrare
di persona molti dei suoi esponenti. 25
Grazie alle informazioni
di Pappalardi, che svolge un intenso lavoro politico nelle
organizzazioni di base della KPD, egli possiede una buona conoscenza
del dibattito in corso nel partito tedesco e dell’articolazione
delle posizioni e delle tendenze. Tramite Pappalardi e gli altri
compagni italiani a Berlino egli cerca in qualche modo di influire
sul rapido degenerare dello scontro interno alla KPD, considerando
del tutto inesistenti le condizioni di una scissione. In una lettera
datata 25 ottobre 1925 egli raccomanda a Pappalardi di adoperarsi per
evitare “la rottura come l’imbottigliamento” e aggiunge a
proposito della difficile situazione creatasi nel PCd’I:
“ Ti dico chiaramente
che la scissione la eviteremo anche con ingoiamenti di rospi: ma ciò
non è necessario gridarlo sui tetti. Il nostro metodo farà la sua
strada, come non si può ancora dirlo, ma malgrado tutto. Non sarà
una strada agevole, questo è certo. Ma per ora non si può dire di
più”. 26
E’ un chiaro invito
alla prudenza. Bordiga teme che la situazione possa scappare di mano
ai compagni tedeschi e che questi si trovino senza volerlo ad essere
messi al bando dal partito. Come i fatti dimostreranno presto, non si
tratta di timori infondati o dovuti ad una eccessiva prudenza.
Inoltre egli non condivide i toni sempre più aspri della critica di
Korsch alla politica sovietica. Per Bordiga, che pure è estremamente
critico nei confronti del Partito russo e lo dimostrerà scontrandosi
duramente con Stalin proprio sulla “questione russa” nel corso
del VI Esecutivo allargato, nonostante la sua deriva a destra il
Comintern resta nondimeno il partito mondiale della rivoluzione. Egli
non crede esistano le condizioni minime sufficienti a giustificare la
formazione di una frazione internazionale di sinistra e pertanto
lascia cadere la proposta, che già nel 1925 Korsch gli avanza con
uno scambio epistolare di cui non è rimasta traccia, di portare
avanti una battaglia comune nell’Internazionale, ritenendo
improponibile “un orientamento parallelo di estrema sinistra nei
vari partiti. 27 Si può così tranquillamente sostenere che,
nonostante la presa di posizione al VI Esecutivo allargato, su di un
piano più squisitamente strategico dopo il V congresso Bordiga,
sulla base di un giudizio assai severo pubblicamente esplicitato, non
nutra più alcuna speranza nella sinistra comunista tedesca. 28
1 Cfr. a questo
proposito H. WEBER, cit., p. 111 e sgg.
2 Citato in E. NOLTE,
Nazionalsocialismo e bolscevismo, Sansoni, Firenze 1988, p. 124. La
prima parte del libro di Nolte, dedicato al contrasto fra bolscevismo
e nazismo nell’Europa fra le due guerre, presenta un’
interessante analisi in un’ottica liberal-democratica della
politica della KPD nella repubblica di Weimar. Nell’opera, molto
discussa, Nolte sviluppa il concetto di “guerra civile europea”
il che, per l’intellighentsia progressista equivarrebbe a una
relativizzazione e, di conseguenza, ad una giustificazione storica
del “male assoluto” rappresentato dal nazionalsocialismo. In
realtà, basta una semplice scorsa della pubblicistica dei primi anni
del Comintern per comprendere che, pur nella sua genericità, il
concetto di “guerra civile europea” non sarebbe spiaciuto a
Lenin. Per una critica “marxista rivoluzionaria” delle tesi di
Nolte cfr. E. TRAVERSO, Gli ebrei e la Germania, Il Mulino, Bologna
1994.
3 Ibidem.
4 M.L. SALVADORI, cit.,
p. 470.
5 M. HÁJEK, Il
comunismo di sinistra, in AA.VV., Storia del marxismo, cit., p. 375.
6 Ibidem.
7 Un teorema, quello dei
dissidenti capaci solo di una critica astratta ed impotente, tipico
della scuola togliattiana. Già Vacca, tentando nel 1969 un primo
bilancio degli studi italiani su Korsch, ne aveva privilegiato
l’opera teorica rispetto all’impegno politico (Cfr. G. VACCA,
Lukács o Korsch ?, De Donato, Bari 1969). Mentre Franco De Felice
non trova di meglio che definire il suo ruolo nelle lotte politiche e
sociali della Germania weimariana come quello di “un acuto
osservatore dei fenomeni sociali del suo tempo e del significato che
aveva l’ondata generale di insubordinazione sociale”. (cfr. F. DE
FELICE, Serrati, Bordiga, Gramsci, De Donato, Bari 1971, p. 182n)
Giustamente Danilo Montaldi definisce questa caratterizzazione una
“burla”. (Cfr. D. MONTALDI, Korsch e i comunisti italiani, cit.,
p.18n). Ultimo frutto di questa scuola di deformazioni, l’imponente
Storia del marxismo, pubblicata da Einaudi fra 1978 e il 1982,
rappresenta assieme alla di poco precedente Storia del Partito
comunista italiano di Paolo Spriano il vero e proprio monumento
storiografico di quello che, nel bene e nel male, per oltre mezzo
secolo è stata la cultura del PCI. È con particolare riferimento a
queste opere che ci sentiamo di definire il berlinguerismo come la
più compiuta realizzazione [e di conseguenza in termini
hegeliano-marxisti il “superamento”] sul piano teorico e politico
del togliattismo, forma italiana dello stalinismo.
8 Un teorema, quello
dei dissidenti capaci solo di una critica astratta ed impotente,
tipico della scuola togliattiana. Già Vacca, tentando nel 1969 un
primo bilancio degli studi italiani su Korsch, ne aveva privilegiato
l’opera teorica rispetto all’impegno politico (Cfr. G. VACCA,
Lukács o Korsch ?, De Donato, Bari 1969). Mentre Franco De Felice
non trova di meglio che definire il suo ruolo nelle lotte politiche e
sociali della Germania weimariana come quello di “un acuto
osservatore dei fenomeni sociali del suo tempo e del significato che
aveva l’ondata generale di insubordinazione sociale”. (cfr. F. DE
FELICE, Serrati, Bordiga, Gramsci, De Donato, Bari 1971, p. 182n)
Giustamente Danilo Montaldi definisce questa caratterizzazione una
“burla”. (Cfr. D. MONTALDI, Korsch e i comunisti italiani, cit.,
p.18n). Ultimo frutto di questa scuola di deformazioni, l’imponente
Storia del marxismo, pubblicata da Einaudi fra 1978 e il 1982,
rappresenta assieme alla di poco precedente Storia del Partito
comunista italiano di Paolo Spriano il vero e proprio monumento
storiografico di quello che, nel bene e nel male, per oltre mezzo
secolo è stata la cultura del PCI. È con particolare riferimento a
queste opere che ci sentiamo di definire il berlinguerismo come la
più compiuta realizzazione [e di conseguenza in termini
hegeliano-marxisti il “superamento”] sul piano teorico e politico
del togliattismo, forma italiana dello stalinismo.
8 Abbiamo recuperato qui
la suggestiva espressione che fa da titolo al bel saggio dedicato,
nell’ambito di una più ampia ricerca sulla cultura ebraica
mitteleuropea, a Benjamin da M. Löwy. Cfr. M. LÖWY, Redenzione e
utopia, Bollati Boringhieri, Torino 1992.
9 Già Marx nell’ultima
parte della sua vita aveva paventato la possibilità che il suo
pensiero venisse in qualche modo recuperato all’interno dello stato
di cose esistente. Da qui la sua paradossale affermazione di non
volersi considerare in alcun modo “marxista”. Nonostante ciò –
puntualizza amaramente Rubel - “non poteva certo immaginare […]
che il pervertimento “marxista” avrebbe finito col degenerare in
una nuova nuova superstizione ideologica di cui gli sarebbe stata
attribuita la paternità!” [M. RUBEL, Karl Marx, Colibrì, Milano
2001, p 11] Sulla vita e il pensiero di Maximilien Rubel si può
vedere il recentissimo importante lavoro di G. RAGONA, Maximilien
Rubel (1905-1996). Etica, marxologia e critica del marxismo,
FrancoAngeli, Milano 2003.
10 K. KORSCH, Marxismo e
filosofia, cit., pp. 22-23.
11 H. WEBER, cit., p.
118.
12 Riferendosi a Korsch e
ad altri intellettuali dissidenti, Ruth Fischer aveva invitato la
base operaia del partito a “Senza troppe parole, gettare fuori i
disertori e i vigliacchi che non sono all’altezza delle difficoltà
di questo momento, e far invece entrare nel nostro partito sempre e
soltanto elementi operai chiaramente rivoluzionari”. [Ivi, p. 119]
13 Citato in O.K.
FLECHTHEIM, Il partito comunista tedesco (KPD) nel periodo della
Repubblica di Weimar, cit., p. 243.
14 Ivi, p. 122. Sulla
figura e l’opera di Arthur Rosemberg cfr. L. CANFORA, Il comunista
senza partito, Sellerio, Palermo 1984; e soprattutto il ben più
esaustivo e documentato L. RIBERI, Arthur Rosenberg. Democrazia e
socialismo tra storia e politica, FrancoAngeli, Milano 2001.
15 Ivi, p. 127 e sgg.
16 Per valutare
pienamente il peso dell’apparato nella lotta di frazione interna
alla KPD si consideri che nel 1926 a fronte di circa centomila
iscritti al partito si contavano oltre ventimila funzionari a tempo
pieno stipendiati dall’organizzazione. (Cfr. H. WEBER, La KPD e
l’opposizione di sinistra in Unione Sovietica, in AA.VV., Trockij
nel movimento operaio del XX secolo, numero monografico de Il Ponte,
novembre-dicembre 1980, La Nuova Italia, Firenze, p. 1269.) Alla
luce di questi numeri si capisce meglio perché gli esponenti
dell’ultrasinistra nella battaglia contro la Direzione Thälmann,
dichiarassero nelle assemblee di partito che la KPD “senza gli
aiuti finanziari russi non avrebbe potuto reggere un solo giorno”.
[ H. WEBER, La trasformazione…, cit., p. 149
17 Nel corso del 1925 la
trojka che dirige il Partito comunista russo si spacca. Zinov’ev e
Kamenev rompono con Stalin, accusato di essere troppo morbido verso
Trotsky di cui i due triumviri avevano chiesto inutilmente
l’esclusione dall’ufficio politico, di sottovalutare il pericolo
rappresentato dai culachi, di appoggiare troppo Bucharin e la sua
linea di destra in campo economico. La nuova opposizione trova il
principale centro nell’organizzazione di partito di Leningrado,
rigidamente controllata da Zinov’ev. Da qui il nome di “Opposizione
di Leningrado”. Per un approfondimento della questione cfr. P.
BROUÉ, Storia del Partito comunista dell’URSS, Sugar, Milano 1966,
p. 253 e sgg.; E.H. CARR, Il socialismo in un solo paese, vol. I,
Einaudi, Torino 1968, p.555 e sgg. Per uno studio dettagliato
dell’evoluzione organizzativa del PC sovietico anche alla luce
delle lotte di frazione cfr. T.H. RIGBY, il partito comunista
sovietico 1917/1976, Feltrinelli, Milano 1977.
18 Sulla base degli
accordi di Rapallo del 1922 Russia e Germania stipulano negli anni
successivi una serie di trattati segreti in campo militare che
permettono alla Reichswehr di riorganizzarsi eludendo i severi
vincoli del Trattato di Versailles. In base a questi accordi già
dall’estate del 1922 i sovietici mettono numerose basi militari a
disposizione dell’esercito tedesco per l’addestramento dei membri
della Reichswehr nell’uso dell’aviazione, dei carri armati e dei
gas tossici. (cfr. R.A.C. PARKER, Il XX secolo I. Europa 1918-1945,
Feltrinelli, Milano 1969, p. 61 e sgg.) Da notare che nello stesso
periodo quegli stessi generali tedeschi armano e inquadrano in
funzione antioperaia le milizie di estrema destra e intervengono manu
militari per deporre i governi di sinistra in Sassonia e Turingia.
19 H. WEBER, cit., p.
158.
20 Ivi, p. 23. Il gruppo
di Entschiedene Linke contava nell’estate del 1926 circa 7000
membri ed era la più consistente fra le organizzazioni formatesi in
seguito all’espulsione dell’ala sinistra dal KPD.
21 Ivi, p. 152 e sgg.
22 Ivi, p. 154.
23 Sui rapporti fra
Korsch e Bordiga cfr. D. MONTALDI, Korsch e i comunisti italiani,
cit.; per un’esame più ampio della questione alla luce del
dibattito nel partito russo cfr. La crisi del 1926 nel partito e
nell’internazionale. Quaderni del Programma Comunista, Milano 1980.
Ampi stralci dell’intervento di Bordiga sono riportati in A.
BORDIGA, La Sinistra Comunista nel cammino della rivoluzione,
Edizioni Sociali, Roma 1976, pp. 172-184. Per un approfondimento
della figura e l’opera di Amadeo Bordiga cfr. F. LIVORSI, Amadeo
Bordiga, Editori Riuniti, Roma 1976; e il pù recente L. CORTESI (a
cura di), Amadeo Bordiga nella storia del comunismo, Edizioni
Scientifiche Italiane, Napoli 1999, che raccoglie gli atti della
giornata di studio tenutasi a Bologna nel giugno 1996. Per una storia
della Sinistra Comunista italiana cfr. P. BOURRINET, La Sinistra
Comunista Italiana 1927-1952, Corrente Comunista Internazionale,
Napoli 1985.
24 A. Bordiga, La
Sinistra Comunista nel cammino della rivoluzione, cit., pp. 180-181.
Il resoconto dettagliato del discorso si può trovare in Prometeo, a.
I, nn. 3-4-5-6, luglio-settembre 1928, Bruxelles.
25 Per una divertente
ricostruzione del clima e dei dibattiti dell’epoca cfr. lo
spumeggiante romanzo di D. GABUTTI, Un’avventura di Amadeo Bordiga,
Longanesi, Milano 1982.
26 Riportato in D.
MONTALDI, cit., p. 25.
27 “Lo riterrei cosa
utile – scrive in un articolo su L’Unità del 22 luglio 1925 –
e forse nell’avvenire necessaria, ma la sua realizzazione non
dipende affatto dalla decisione mia o di chicchessia di intavolare
rapporti epistolari, bensì da cause più profonde di cui lo scambio
eventuale di lettere non potrebbe essere che uno dei tanti effetti
esteriori.” ( A. BORDIGA, per finirla con le rettifiche, in
L’Unità, 22 luglio 1925. Ora in La sinistra comunista e il
Comitato d’Intesa, Editing, Torino 1996, p. 217) Sono i primi
segni di quella sfiducia nell’azione pratica, considerata
volontaristica e dunque velleitaria, che sfoceranno dopo il 1930
nell’abbandono da parte di Bordiga di ogni forma di impegno
politico e nel ripiegamento in attesa di tempi migliori su se stesso.
Nonostante il desiderio d’azione di Pappalardi, ma anche su di un
altro piano del gruppo franco-belga di Bilan, vengono a fissarsi
quelle che saranno le caratteristiche salienti del “bordighismo”
del dopoguerra: un rigido determinismo, il rifiuto di ogni forma di
“attivismo”, la negazione esasperata del “principio
democratico” e quindi del confronto con altre esperienze e
correnti del movimento operaio e comunista. Caratteristiche che
porteranno alla scissione del 1952 del Partito Comunista
Internazionalista e che troveranno una espressione sempre più
esasperata in Programma Comunista e nella miriade di chiesuole
originate dalla crisi di quest’ultimo. Per una più approfondita
conoscenza della questione cfr. A. PEREGALLI-S. SAGGIORO, Amadeo
Bordiga. La sconfitta e gli anni oscuri (1926-1945), Colibrì, Milano
1998. Per una efficace critica politica di questi aspetti della
personalità di Bordiga cfr. Fra le ombre del bordighismo e dei suoi
epigoni, Edizioni Prometeo, Milano 1997.
28 “I capi della
sinistra tedesca non seppero tradurre l’esperienza acquistata
nell’amara delusione del partito che rappresentavano e portarla
nella sua pienezza al dibattito internazionale. Fecero al V congresso
della diplomazia e della manovra, null’altro”. (A. BORDIGA, La
politica dell’Internazionale, in L’Unità, 15 ottobre 1925)
[Citato in A. DE CLEMENTI, Amadeo Bordiga, Einaudi, Torino 1971, p.
241]