TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 1 ottobre 2017

2. Karl Korsch. L'apprendistato politico (1912-1919)



Qualche anno fa, uscì per la la Colibrì di Milano, Il "rinnegato" Korsch. Storia di un'eresia comunista, prima (e ci risulta ancora unica) biografia italiana del filosofo e esponente del comunismo dei consigli tedesco. Il libro andò subito esaurito e non è stato più ristampato. In attesa di una possibile riedizione aggiornata del libro, ne riproniamo il contenuto. Oggi presentiamo il primo capitolo relativo agli anni della formazione.

Giorgio Amico

Karl Korsch. L’apprendistato politico (1912-1919)



Nato nel 1886 a Todstedt,vicino ad Amburgo, Karl Korsch muore nel 1961 a Cambridge, negli Stati Uniti, dove si era rifugiato a metà degli anni Trenta dopo l’avvento al potere in Germania dei nazisti. Il giovane cresce in una agiata famiglia della classe media: il padre è un importante funzionario di banca con uno spiccato interesse per la studio della filosofia che dedica tutto il tempo libero dal lavoro a scrivere un’opera enorme, mai pubblicata, sullo sviluppo delle teorie di Leibniz. Il rapporto fra i due è forte. Karl prende dal padre la passione per la ricerca, il senso critico, l’amore per la filosofia. La madre è diversissima: del tutto indifferente ai problemi intellettuali, di carattere volubile e capriccioso. Con lei Karl non riesce neppure in età adulta ad avere un buon rapporto. In qualche modo questo difficile rapporto con la madre segna la sua vita. Hedda Korsch, compagna di vita e di militanza di Korsch, lo ricorda nelle sue memorie:

“Se c’è una ragione per cui Karl era tanto ordinato, fu per reazione rispetto a sua madre. Ad esempio, durante i suoi ultimi anni di studio, lui aveva un capanno in fondo al giardino, nel quale lavorava. Era simile alla cella di un monaco, senza neppure una stuoia per terra, con soltanto un tavolino e qualche sedia scomoda, e lui mi disse che era quello lo stile di vita che amava. Le sue matite giacevano perfettamente ben allineate sullo scrittoio. Questo suo gusto per l’ordine e per la chiarezza più completi era grandemente favorito dal fatto che sua madre ne era priva.”1

Quando Korsch ha undici anni la famiglia si trasferisce a Meiningen, una città più grande, perché a Todstedt non esistono scuole superiori e i bambini (quattro figlie e due figli) devono continuare gli studi. Lì il giovane Karl frequenta il liceo e inizia a interessarsi allo studio della filosofia.

“Egli cominciò da solo a leggere delle opere filosofiche, oltre ai testi obbligatori come i saggi teorici di Schiller, che erano inclusi nel corso di letteratura tedesca. Il padre di Korsch stava lavorando alla sua teoria delle monadi, e così anche lui incoraggiò Korsch a leggere di filosofia. In seguito questi mi disse che proprio a scuola si era sbarazzato di tutte le idiozie degli studenti-tipo tedeschi dell’epoca: il bere senza fine, le cerimonie collettive, sempre più birra e sempre più escursioni domenicali all’osteria del villaggio. In seguito mi disse di aver espulso tutto ciò dal suo sistema negli ultimi due anni di scuola, e di non avere mai più avuto la minima intenzione di rimettersi a farlo.” 2

Terminato il liceo, egli si iscrive all’università di Jena dove su consiglio del padre si dedica allo studio del diritto. Studente modello, spinto di una vivacissima curiosità intellettuale, segue anche corsi a Monaco e a Ginevra, dove impara il francese e ha occasione di conoscere molti studenti russi fuggiti dal dispotismo zarista. Fin dal suo primo ingresso nel mondo universitario egli avverte l’ipocrisia di un ambiente accademico che cerca di celare dietro la presunta neutralità della ricerca scientifica e il rigore formale delle tradizioni le profonde ingiustizie e le contraddizioni sociali della Germania guglielmina. Un vero e proprio “mandarinato”, per usare la felice espressione di Max Weber, stato maggiore intellettuale della borghesia e scuola di formazione per la potente burocrazia dello Stato. 3 

In reazione a questo clima, come per Walter Benjamin e per molti altri futuri protagonisti della cultura weimariana, il primo impegno politico del giovane Karl si colloca nell’ambito della Freie Studentenschaft (Associazione dei Liberi Studenti), un’organizzazione giovanile progressista e liberale nata in opposizione alle tradizionali e reazionarie leghe studentesche che cerca di stabilire un qualche collegamento fra mondo accademico e società reale. Nell’ambito di questa associazione egli svolge un ruolo dirigente che lo porta a viaggiare per tutta la Germania e a stringere conoscenze che si riveleranno poi di grande utilità negli anni successivi. È nel corso di uno di questi viaggi che incontra Hedda, la futura compagna di tutta la vita, con cui allaccia una intensa relazione intellettuale e sentimentale.

Portato alla riflessione teorica, segue con interesse la polemica in corso tra le scuole rivali di Heidelberg e di Marburgo sul rapporto tra filosofia e sapere scientifico. Un dibattito che si comprende solo alla luce della particolare situazione della cultura tedesca del periodo precedente la prima guerra mondiale. Una fase di grande vivacità intellettuale, caratterizzata dalla ormai quasi completa dissoluzione della scuola neokantiana, dalla nascita della fenomenologia husserliana e dalla crescita di tendenze intuizionistiche (Dilthey, Simmel) in aperta reazione contro il positivismo delle scienze naturali. Tutti elementi che in diversa maniera riemergeranno nell’elaborazione successiva non solo di Korsch, ma anche di Lukács che, proprio in quegli anni, risulta fortemente influenzato dalle idee di Simmel e dalle teorie della scuola di Heidelberg.4 Partito da posizioni kantiane, il giovane finisce ben presto coll’avvicinarsi a Marx e alle posizioni della socialdemocrazia in quegli anni all’apice del proprio sviluppo. Secondo la preziosa testimonianza di Hedda:

“Leggeva un sacco: non so quando lesse Marx per la prima volta, ma sono incline a pensare che l’abbia fatto a scuola, perché da studente era già un socialista dichiarato – per convinzione, anche se non militava in alcuna organizzazione. Non aderì mai alla SPD, sebbene avesse degli amici all’interno della SPD, soprattutto a Jena. Voleva che i Freie Studenten si incontrassero con degli operai e con dei socialisti, e organizzò delle serate di discussione grazie ad un suo amico, Heidemann, il cui babbo era un rappresentante della SPD nel parlamento locale del Mecklenburgo. Le serate venivano organizzate come delle cene in cui uomini e donne sedevano l’uno di fianco all’altra – e in quel caso gli operai si alternavano agli studenti.”5

Influenzato dalla lettura degli scritti di Sorel, sul piano dell’azione il giovane Korsch si sente fortemente attratto dal movimento operaio e dal vitalismo anti-sistema che esso comunque esprime. Affascinato dalla forza delle organizzazioni politiche e sindacali della classe operaia, è al contempo respinto dal burocratismo dell’apparato socialdemocratico e dalla rigida ortodossia kautskiana che di fatto concepisce il marxismo come pura scienza separata dalla prassi concreta delle masse proletarie. In particolare lo colpisce negativamente la contraddizione fra il gigantismo dell’organizzazione che gestisce coperative, amministra case editrici, pubblica centinaia di giornali e la disciplinata passività delle masse inquadrate dal partito e dai sindacati che questo controlla.6



Il periodo fabiano

Dopo la laurea soggiorna a lungo, insieme ad Hedda che nel frattempo ha sposato, in Inghilterra dove fa pratica del diritto inglese e internazionale. Qui entra in contatto con il movimento socialista e sindacale britannico ed in particolare con la Fabian Society 7 che lo affascina per l’attenzione posta alla formazione individuale dei militanti e all’importanza assegnata nell’ambito della lotta politica all’attività cosciente dei lavoratori. Nonostante da parte di molti critici si sia privilegiata l’immagine di un Korsch teorico astratto, in realtà fin da questa sua prima esperienza politica egli manifesta un interesse particolare per le attivita pratiche del movimento operaio piuttosto che per le sue elaborazioni teoriche.

“Partecipavamo – ricorda Hedda – alle riunioni della Fabian Nursery, destinata ai membri più giovani e fornivamo dei resoconti, soprattutto sulle questioni tedesche”.8

Proprio nella prassi concreta dei fabiani ed in particolare nei lavori del Committee on the Control of Industry diretto da Beatrice Webb egli trova spunti illuminanti per la riflessione teorica sui temi del socialismo e dello Stato, ma soprattutto un modo per superare quella contraddizione fra teoria e prassi che lo aveva in qualche modo reso cauto nei confronti della socialdemocrazia tedesca. Il periodo “fabiano” rappresenta dunque un momento importante della sua più complessiva formazione politica. Dai fabiani egli prende il riconoscimento della centralità nei processi sociali della coscienza di classe dei lavoratori, intesa non come un astratto “dover essere”, ma come prassi concreta, attività autonoma proletaria. É un socialismo, questo del periodo inglese del giovane Korsch, dai contorni sfumati e utopici, non privo di una certa ambiguità e di una sostanziale predisposizione al riformismo, ma importante perché rappresenta la base da cui egli partirà per le sue successive esperienze. Egli manifesta una fortissima aspirazione alla concretezza, bisogno che traspare evidentissimo dalle corrispondenze inviate dall’Inghilterra alla rivista tedesca Die Tat negli anni 1912-1914 ed in particolare dallo scritto La formula socialista per l’organizzazione dell’economia, forse il più importante di questi suoi primi lavori giovanili. Fin dalle battute iniziali l’articolo testimonia dell’insofferenza dell’autore verso l’astratto e ripetitivo argomentare degli esponenti di punta della SPD incapaci di andare oltre una definizione in negativo del socialismo come mero anticapitalismo:

“Se si domanda ad un socialista che cosa si intende per ‘socialismo’ si riceve come risposta, nel caso migliore, una descrizione del ‘capitalismo’ e l’osservazione che il ‘socialismo’ eliminerà questo ‘capitalismo’ con la socializzazione dei mezzi di produzione. Tutto l’accento è posto sull’aspetto del negativo, cioè che il capitalismo deve essere eliminato; anche l’espressione ‘socializzazione dei mezzi di produzione’ significa anzitutto nient’altro che la negazione della proprietà privata dei mezzi di produzione. Socialismo significa anticapitalismo. Il concetto ‘socializzazione dei mezzi di produzione’ ha un chiaro significato negativo: nel suo aspetto positivo è vuoto e non dice nulla”.9

Proprio la crescita impetuosa sul piano elettorale del movimento operaio tedesco pone con urgenza la necessità di definire in positivo la politica socialista. Come già accade in Inghilterra anche in Germania nella battaglia politica e sindacale occorre, dunque, saper porre in positivo l’obiettivo ultimo del socialismo, dare significato alle parole d’ordine, riempire di contenuti concreti quella che altrimenti rischia di restare mera analisi del presente. Lo studio attento della realtà del capitale deve già qui e adesso saper intravedere le linee portanti della società futura. Il che non significa, ovviamente, prefigurare utopisticamente il futuro, ma saper leggere dialetticamente la realtà sociale presente. In questa visione prospettica sta per Korsch la grandezza del contributo offerto alle scienze sociali dal giovane Marx che va ripreso e valorizzato di contro al marxismo volgarizzato degli epigoni.

“Il difetto del socialismo dottrinario e utopistico – scriverà molti anni dopo nel suo Karl Marx - consiste nel fatto che esso, nel tentativo di raffigurare una futura condizione socialista, inconsapevolmente assume un’immagine senza ombre dell’attuale società reale, che nella sua concretizzazione e realizzazione riproduce inevitabilmente questa vecchia forma sociale borghese”.10

Quello che invece importa è riconoscere con Marx la realtà del cambiamento storico, come concreta prassi umana. Saper cioè affrontare criticamente i rapporti della società borghese come trasformabili non tanto o non solo sul mero piano giuridico, quanto per mezzo dell’azione concreta degli uomini. Questo gli sembra stia facendo in Inghilterra la Fabian Society nei confronti della quale egli non nasconde di provare una profonda ammirazione.

Sulla base degli scritti d’anteguerra è difficile collocare con precisione Korsch. Di certo si sbaglierebbe a pensare a lui come ad un convinto riformista o al contrario come ad un marxista critico già formato Il Korsch del periodo inglese non è né l’uno né l’altro. Il suo pensiero si caratterizza semmai per la contradditorietà e se, per molti versi si colloca già al di là del pragmatico socialismo fabiano, ciò è ascrivibile soprattutto al forte impatto che hanno in quel momento su di lui come su altri socialisti critici dell’epoca – pensiamo in Italia al giovane Gramsci e a Mussolini- le teorie, allora molto di moda, dei sindacalisti rivoluzionari e di Georges Sorel che egli vede come l’ultima manifestazione del pensiero marxista.11 Un marxismo barbaro, ma vitale, capace per la sua forza comunicativa di mettere in crisi i dogmi dominanti del marxismo evoluzionistico e scientista della seconda internazionale a partire proprio dalla Germania dove più forte ed opprimente è il peso dell’ortodossia. Proprio per questo egli ritiene sia prima di tutto necessario ridarre concretezza ai concetti, chiarendo con precisione cosa si intende con il termine ‘socializzazione’:

“Perché anche per la Germania occorre che i socialisti abbiano le idee più chiare su questo problema. Non perché ci sia da aspettarsi che essi fra poco siano chiamati a fondare lo Stato socialista del futuro. Ma perché tra poco anche da noi le rivendicazioni del sindacalismo tanto più semplici e vicine all’operaio di fabbrica scuoteranno fortemente i dogmi dominanti del marxismo. Poi, di fronte, alla disgregazione che si creerà, si porrà il problema di trovare un nuovo mezzo che unisca internamente il movimento socialista della Germania e lo distingua da altri movimenti. Ma questo nuovo mezzo non può essere altro che una formula determinata, meditata e verificata, che porti ad espressione quella che, fra tutte le organizzazioni pensabili dell’economia, merita di essere chiamata ‘socialista’ e di essere rivendicata da ‘socialisti’ “. 12

Korsch si dimostra qui buon interprete del tramonto di un’epoca che sta morendo senza saperlo. La realtà si affretterà presto a porre i proletari di tutta Europa di fronte al tragico dilemma “socialismo o barbarie” e non sarà la critica teorica dei sindacalisti soreliani, ma quella ben più esplosiva dei “cannoni d’agosto” a mettere definitivamente in crisi il marxismo della seconda internazionale. La prima grande guerra interimperialistica con il suo seguito tumultuoso di rivoluzioni e guerre civili porrà concretamente il problema del superamento del sistema di produzione capitalistico, ma sembrerà al contempo offrire anche le linee guida per la sua soluzione: l’affermarsi di un nuovo potere, il potere dei consigli operai, apparire di un “ordine nuovo”, espressione diretta di una nuova,superiore fase dei rapporti sociali.


Nelle tempeste d’acciaio

Nel complesso i due anni trascorsi in Inghilterra rappresentano un periodo felice per la giovane coppia. Anni di intenso studio e di feconde scoperte intellettuali, ma anche di giovanile spensieratezza. Karl e Hedda stanno bene insieme. Chi li ha conosciuti allora, li ricorda come una coppia affascinante e piena di vita. Una felicità destinata a interrompersi presto. Nell’estate del 1914 Korsch, ufficiale della riserva, è richiamato in Germania. Anche se i giornali tedeschi parlano semplicemente di preparazione delle grandi manovre, il richiamo dei riservisti rappresenta l’ultimo dei tanti segni dell’avvicinarsi della guerra. Karl e la moglie ne sono pienamente consapevoli.

“Discutemmo a lungo – ricorda Hedda – se ritornare o meno in Germania, perché lui non provava alcun desiderio di combattere per la “patria”, ma decidemmo di andarvi perché diceva di desiderare ancor meno di essere imprigionato da qualche parte in quanto straniero nemico, privato dei contatti con qualsiasi movimento. Voleva essere con le masse, e queste sarebbero state nell’esercito.” 13

Rientrato nel suo reparto, il 32° Reggimento di Fanteria di stanza a Meinengen, all’inizio delle ostilità si trova inviato in Belgio, ufficiale di un esercito che brutalmente reprime un piccolo popolo. Senza pensare alle conseguenze, egli si esprime pubblicamente contro l’invasione di un paese pacifico e neutrale, definendola apertamente una criminale violazione delle leggi internazionali. Denunciato per insubordinazione, dopo appena due settimane di guerra Korsch viene processato e degradato da tenente a sergente, ma questo non gli impedisce di mantenere un atteggiamento coerente con le sue idee. Nonostante rifiuti di portare armi, egli dà costantemente prova di estremo coraggio tanto da essere due volte decorato con la croce di guerra.

Ricostruendo a così tanta distanza di tempo quegli avvenimenti, Hedda non nasconde i suoi timori di allora per la singolare scelta pacifista del marito:

“Dal momento che era contro la guerra, non portò mai né un fucile né una sciabola. (…) Personalmente non avrebbe ucciso nessuno, ma riteneva che la sua missione consistesse nel riportare a casa vivi il maggior numero possibile di uomini del suo reparto. Questo era il suo obiettivo di guerra. Era solito offrirsi volontario di pattuglia, e venne decorato diverse volte (…). Noi, a casa, non riuscimmo mai a capire perché non venisse deferito alla corte marziale…”. 14

Col cambiare delle sorti della guerra cambia anche la condizione militare di Korsch. Nel 1917, man mano che aumentano le perdite fra i soldati e la fine dei combattimenti appare sempre più lontana, iniziano a manifestarsi scioperi e agitazioni sui fronti di guerra. Nelle trincee si respira aria di rivolta. É una situazione in cui un uomo con la sua storia, pacifista dichiarato, ma soldato coraggioso e leale, scarsamente attento alla disciplina formale, ma amato dalla truppa, può essere di nuovo utile all’esercito. Reintegrato nel corpo degli ufficiali, promosso capitano e posto al comando di una compagnia, egli passa gli ultimi mesi di guerra in uno stato di profonda prostrazione morale, consapevole dell’inevitabilità della sconfitta e dell’assoluta inutilità del sacrificio di tante giovani vite. Nei fugaci incontri con Hedda questa disperazione trabocca incontenibile:

“quasi tutti gli uomini con cui era partito nel 1914 erano morti e lui si disperava per quei massacri. Ma quando arrivò la ‘rivoluzione di novembre’ si rianimò e sperò che si potesse costruire una Germania migliore”. 15

Delegato in un consiglio di soldati, la sua unità viene smobilitata solo nel gennaio 1919. Ancora sotto le armi, assiste dunque da lontano alla brutale repressione dei moti spartachisti. 16 La tragica esperienza della guerra di trincea con il suo bagaglio di orrori segna indelebilmente la vita di Korsch. Nonostante il ritorno a casa, il recupero degli affetti familiari, la ripresa dell’attività professionale e politica, nulla per lui sarà più come prima, né d’altronde la Germania riuscirà a diventare “migliore”. 17 La democrazia di Weimar nasce malata, segnata indelebilmente dal sangue innocente di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht.


Statizzazione o socializzazione ?

Finalmente smobilitato dall’esercito, aderisce immediatamente, quasi a dare sbocco ad una voglia d’azione lungamente repressa, al Partito Socialista Indipendente di Germania (USPD) che raccoglie l’ala sinistra della vecchia socialdemocrazia. 18 Fortemente schierato contro il revisionismo bernsteiniano e l’ortodossia kautskiana, egli crede che una terza corrente, che definisce del “socialismo pratico” si stia formando attorno alla visione della transizione al socialismo come “consapevole agire dell’uomo” e della classe proletaria. Questo convincimento attraversa tutti i suoi scritti del 1919, riassumendo ad un superiore livello politico quell’ansia di concretezza già visibile nel suo periodo inglese, ma ormai largamente depurata dalle illusioni sulla praticabilità del riformismo fabiano. Centrale nella sua riflessione diventa sempre più l’esperienza dei consigli operai in Russia e in Germania di cui apprezza la dirompente carica rivoluzionaria. Partito da un’ingenua fiducia nelle potenzialità della situazione tedesca, gli appariranno ogni giorno sempre più evidenti i limiti della sfuocata e irrisolta democrazia sociale della neonata repubblica di Weimar dove tutti parlano di socializzazione, ma nessuno sa cosa in concreto questo significhi. Pur scontando una certa astrattezza di linguaggio, frutto della sua formazione accademica – Korsch non userà mai neppure negli anni della militanza nella KPD un linguaggio politico “facile”- egli ha purtuttavia chiaro che

“il momento nodale della lotta rivoluzionaria per la socializzazione si trova non già nell’ambito della politica statale bensì in quello economico”. 19

Con questa affermazione Korsch non intende in nessun modo svalutare l’importanza dell’azione politica. Svolta ormai in un’ottica largamente marxista, la sua critica si rivolge semmai decisamente contro l’assoluta inconsistenza teorica del dibattito in corso nella socialdemocrazia. Ancora una volta si tratta di un problema di concretezza: se si vuole andare oltre alla vuota fraseologia riformista sulla nazionalizzazione delle imprese, occorre porsi il problema di quale ruolo debbano svolgere i lavoratori nel processo di socializzazione dell’economia:

“Ogni socializzazione – scrive agli inizi del 1919 – che vuole riconoscere gli interessi della classe produttrice, della classe operaia, deve dunque, al di là delle diverse forme in cui si manifesta, realizzare quest’unica rivendicazione: partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale, come gestione da parte degli operai delle loro proprie competenze e come cooperazione dei lavoratori alla decisione del modo e del tipo in cui la richiesta di produzione fatta dalla collettività dev’essere realizzata nell’azienda produttiva”. 20

Ha ragione dunque Massimo Salvadori nelle pagine dedicate a Korsch nell’ambito della sua storia del pensiero comunista ad affermare che

“il centro dell’analisi korschiana sul significato della socializzazione negli scritti del 1919-22 è il contemporaneo rifiuto sia della concezione della socializzazione come semplce nazionalizzazione dei mezzi di produzione, sia della concezione ‘conciliatrice’ basata sull’integrazione dei consigli di fabbrica entro i confini della struttura capitalistica in nome di una ‘apertura’ sociale e riformistica”. 21

Ma attenzione! Se quella di Salvadori è una lettura sostanzialmente corretta delle posizioni korschiane, essa rischia purtuttavia di dare un’immagine parziale di Korsch perché nella sua sinteticità non rende adeguatamente conto del percorso tramite cui egli viene progressivamente formandosi questi convincimenti, liberandosi via via dalle incrostazioni di una visione evoluzionistica e legalitaria della lotta per il socialismo ereditata dalla sua formazione giovanile prima nella Freien Studentenschaft e poi nella Fabian Society. Va invece compreso come questa evoluzione non sia indolore, nè avvenga in modo lineare, ma risenta fortemente dell’evolversi precipitoso della situazione in Germania, dove dalla rivoluzione di novembre il tema centrale è diventato quello della socializzazione. Con l’economia in pieno sfacelo è generale nella classe operaia, ma anche in larga parte della piccola borghesia il sentimento che l’epoca del dominio capitalistico sia ormai giunta alla fine e che solo il socialismo possa salvare il paese dalla rovina. Come si è visto, Korsch condivide questa speranza popolare nella possibilità di costruire una Germania “migliore”. Il problema è che i rappresentanti della sinistra (SDP e USPD), portati al potere dallo sviluppo stesso della crisi, si dimostrano incapaci di prendere qualunque decisione. Né rivoluzionari decisi, né riformisti coerenti essi assistono impotenti al precipitare della situazione e al riemergere delle vecchie classi dominanti che nel novembre 1919 avevano ritenuto più prudente ritirarsi da parte in attesa di tempi migliori. 

Buoni oppositori parlamentari ed eccellenti quadri sindacali, ma portatori di un’interpretazione pragmatica e volgarmente deterministica del marxismo, i dirigenti socialdemocratici che, come lo stesso Korsch aveva già a suo modo intuito nel 1912, non avevano mai voluto veramente affrontare il problema teorico della transizione, si trovano ora disarmati teoricamente e praticamente. Quanto all’USPD, la maggioranza dei suoi quadri tende ad identificare in modo semplicistico socialismo e controllo politico dello Stato e a pensare di conseguenza che la socializzazione delle fabbriche verrà da se, per decreto, una volta assunto il potere a livello parlamentare. Nonostante queste incertezze la gravità stessa della crisi spinge in avanti le cose e accelera il processo di radicalizzazione della classe operaia. Korsch ritiene di conseguenza che, per quanti marcati siano i suoi limiti, l’aspirazione dei proletari alla costituzione dei consigli, per lui come per Gramsci organi fondamentali di autoeducazione delle masse, sia comunque da valutare positivamente:

“Per quel periodo il richiamo ai consigli fu una forma positiva di sviluppo della volontà di classe rivoluzionaria proletaria verso la propria realizzazione. Soltanto gretti borghesucci potevano allora lamentarsi della indeterminatezza da cui era affetta quella volontà di classe, come ogni idea non ancora realizzata completamente, e soltanto dei pedanti senza vita potevano cercare di rimediare a questa carenza con «sistemi» artificialmente ideati…”. 22

La spinta popolare, che si manifesta soprattutto tramite il movimento semispontaneo dei consigli, costringe il governo ad agire. Alla fine del 1918 viene istituita una Commissione per la socializzazione, composta da personaggi di spicco del mondo politico ed economico, che discute moltissimo, ma partorisce il topolino di una legge di socializzazione destinata a restare in gran parte lettera morta. Come testimonia Otto Rühle, uno dei protagonisti di quella stagione politica, posta di fronte alla gestione del potere, la socialdemocrazia si dimostra

“assolutamente incapace di sviluppare pensieri e idee costruttive autonome per un’edificazione socialista dello stato e dell’economia. Di conseguenza essa da una parte non va al di là della banalità d’una tradizionale esigenza d’agitazione, dall’altra cade nel confuso dilettantismo di esperimenti di socializzazione a buon mercato. Alla fine, disorientata e senza vie d’uscita, ritorna nei comodi binari d’una politica economica capitalistica messa in atto coscientemente e senza scrupoli. Il suo socialismo è un socialismo vuoto che manca di ogni realtà. La sua fede ingenua nel fatto che nel quadro del sistema capitalistico la radicale ristrutturazione dell’economia con obiettivi socialisti si possa realizzare con gli strumenti della democrazia, del compromesso, della crescita graduale, si dimostra un errore fatale e come tale naufraga”. 23

E’ una riflessione, quella di Rühle, che potrebbe essere firmata da Korsch tanto bene ne esprime lo stato d’animo in quei primi turbinosi mesi del 1919. In effetti Korsch, che partecipa come assistente scientifico ai lavori della commissione, ha modo di verificare di persona l’inconsistenza e la superficialità delle argomentazioni e delle proposte che in quella sede vengono avanzate dai rappresentanti di spicco della socialdemocrazia. Kautsky in particolare, che non cessa di mettere in guardia dai pericoli di nazionalizzazioni affrettate e “immature” considerato lo stato di crisi dell’economia e l’impreparazione “psicologica” degli operai, gli appare più di tutti incarnare un marxismo diventato sterile dogma. Contro questo atteggiamento attendista e fatalistico che di fatto rimette il potere nelle mani della borghesia si organizza nelle fila dell’USPD la cosiddetta “corrente” del socialismo pratico sulla base di un progetto concreto di socializzazione che sappia conciliare nel quadro più complessivo della cosiddetta “autonomia industriale” le opposte tendenze del centralismo e dell’autonomia, della statizzazione e del controllo operaio. 

In questa fase Korsch ragiona ancora in termini di partecipazione e non di controllo operaio, dichiarandosi a favore della combinazione di un certo livello di autonomia operaia nelle fabbriche con un piano centralizzato gestito dalle istituzioni politiche. Un ibrido di sindacalismo rivoluzionario e di riformismo socialdemocratico non privo di contraddizioni. Così come contradditorio risulta essere il suo stato d’animo. Se la partecipazione ai lavori della Commissione sulla socializzazione ha prodotto su di lui un effetto profondamente negativo, l’irrompere sulla scena politica di una combattiva classe operaia ha ravvivato le sue speranze nel futuro. Disgustato dell’ipocrisia dei leader socialdemocratici che ha avuto modo di conoscere direttamente e di frequentare, egli si ritrova in qualche modo per sempre vaccinato nei confronti di un riformismo parolaio ed imbelle, tronfiamente retorico, ma privo di prospettive. Al contempo, la rozza, ma vitale democrazia sovietica gli appare indicare una luminosa via d’uscita. Il fatto è che, come riconosce Hedda, nonostante il suo rigore intellettuale e il suo abituale approccio critico ai problemi

“Karl non era affatto scettico, come una persona tanto intelligente avrebbe invece dovuto essere. Era anzi entusiasta e i suoi scritti sulla socializzazione riflettono questo stato d’animo per quasi un anno. La rivoluzione russa ebbe una grande influenza su di lui, e tutti noi pensavamo che segnasse l’inizio di una nuova era.” 24

  1. H. KORSCH, Ricordi su Karl Korsch, Quaderni Pietro Tresso, Firenze 1999, p. 5.
  2. Ivi, p. 6.
  3. “I professori universitari tedeschi in generale, [ afferma Michael Löwy nel suo studio sul giovane Lukács] in particolare quelli del settore delle Geisteswissenschaften – facoltà umanistiche, filosofiche, giuridiche, storiche, di scienze sociali – hanno goduto nel corso del sec.XIX di una situazione particolarmente privilegiata. Questi “mandarini” che costituivano una comunità relativamente omogenea ed integrata, occupavano una posizione dominante nel sistema di stratificazione sociale prevalente in Germania, a causa del loro prestigio, influenza e rango sociale (status). Questa preminenza dell’intellighentsia accademica corrisponde a una fase precisa di sviluppo della formazione sociale tedesca: quella che vede il modo di produzione feudale in procinto di perdere la propria supremazia, senza che il capitalismo industriale abbia ancora imposto la sua egemonia definitiva […] i professori universitari controllano tutto il sistema della formazione professionale, dell’apprendistato, degli esami, dei criteri di selezione, della preparazione ideologica, ecc., necessario per il reclutamento del personale amministrativo; si trovano quindi in una posizione strategica in rapporto alla struttura politico-amministrativa dello Stato”. Cfr. M. LÖWY, Per una sociologia degli intellettuali rivoluzionari, La Salamandra, Milano 1978, pp. 28-29.
  4. Su questo argomento, oltre al già citato testo di LÖWY, si può vedere: G. LICHTHEIM, Guida a Lukács, Rizzoli, Milano 1978. Fondamentale per comprendere l’intero periodo resta la ricerca di H. STUART HUGHES, Coscienza e società. Storia delle idee in Europa dal 1880 al 1930, Einaudi, Torino 1972.
  5. H. KORSCH, cit., p. 7.
  6. Sulla SPD cfr. - oltre al classico testo di F. MEHRING (Storia della socialdemocrazia tedesca, Editori Riuniti, Roma 1974) – W. ABENDROTH, La socialdemocrazia in Germania, Editori Riuniti, Roma, 1980 e G. ROTH, I socialdemocratici nella Germania imperiale, il Mulino, Bologna 1971. Per un’analisi della politica sindacale della socialdemocrazia cfr. N. BENVENUTI, Partito e sindacati in Germania (1890-1914), La Pietra, Milano 1981.
  7. Movimento politica riformista, conta fra i suoi esponenti i coniugi Sidney e Beatrice Webb e gli scrittori George Bernard Shaw e Herbert George Wells. Fondato nel 1883, prende nome da Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore per simboleggiare l’adozione di una prospettiva nazionale e graduale al socialismo. Per una più approfondita conoscenza del socialismo fabiano possono essere utilmente consultati: G.D.H. COLE, Storia del pensiero socialista, vol. III.1, Laterza, Bari 1972, p. 252 e sgg. ; E. GRENDI, L’avvento del laburismo, Feltrinelli, Milano 1964.
  8. H. KORSCH, cit., p. 8.
  9. K. KORSCH, La formula socialista per l’organizzazione dell’economia. In Scritti politici, 1, Laterza, Bari 1975, pp. 6-7.
  10. K. KORSCH, Karl Marx, Laterza, Bari 1969, p. 35.
  11. Come Gramsci e Korsch, anche György Lukács fu fortemente influenzato da Sorel. Nel caso di Lukács fondamentale momento di incontro con Sorel fu l’interpretazione offertane da Ervin Szabo, esponente di punta dell’ala rivoluzionaria della socialdemocrazia ungherese. Cfr. a questo proposito la prefazione di Lukács a Storia e coscienza di classe.
  12. K. KORSCH, La formula socialista…, cit., p. 9.
  13. H. KORSCH, cit., pp. 8-9.
  14. Ivi.
  15. Ivi. In seguito alla disfatta militare della Germania l’ammutinamento dei marinai della flotta tedesca determina il crollo dell’impero, la fine della guerra e la nascita di una repubblica democratica. L’8 novembre 1918 segna la data di costituzione dei primi consigli dei soldati e il crollo della monarchia. Per un approfondimento sulla rivoluzione tedesca e il movimento dei consigli si possono fra gli altri utilmente consultare: P. BROUÉ, Rivoluzione in Germania, Einaudi, Torino 1977; F.L. CARSTEN, La rivoluzione nell’Europa centrale 1918/1919, Feltrinelli, Milano 1978; E. EYCK, Storia della Repubblica di Weimar, Einaudi, Torino 1966; P. FRÖLICH (et alii), Rivoluzione e controrivoluzione in Germania 1918-1920, Pantarei, Milano 2001; G.A. RITTER-S. MILLER (a cura di), La rivoluzione tedesca 1918-1919, Feltrinelli, Milano 1969; A.ROSENBERG, Storia della repubblica tedesca, Leonardo, Roma 1945; G.E. RUSCONI, La crisi di Weimar, Einaudi, Torino 1977; P. WERNER (P. FRÖLICH), La repubblica bavarese dei consigli operai, Savelli, Roma 1970.
  16. Il 15 gennaio 1919 nel corso dei moti di Berlino originati dalla destituzione del prefetto di polizia, il socialista indipendente Eichhorn, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht venivano assassinati dalla soldataglia dei Corpi Franchi. Dalla vastissima letteratura in materia segnaliamo O.K. FLECHTHEIM, Luxemburg Liebknecht, Erre Emme, Roma 1992; P. FRÖLICH, Rosa Luxemburg, Rizzoli, Milano 1987; D. GUÉRIN, Rosa Luxemburg e la spontaneità rivoluzionaria, Mursia, Milano 1974; P.J. NETTL, Rosa Luxemburg, Il Saggiatore, Milano 1978; G. BADIA, Lo spartachismo, Savelli, Roma 1976; C. OLIVIERI, Gli Spartachisti nella rivoluzione tedesca (1914-1919), Prospettiva Edizioni, Roma 1994.
  17. Sul significato dell’esperienza della guerra di trincea per la gioventù tedesca dell’epoca cfr. le testimonianze (di segno opposto, ma entrambe bellissime) di E. TOLLER (Una giovinezza in Germania, Einaudi, Torino 1972) e E. JÜNGER (Nelle tempeste d’acciaio, Guanda, Parma 1990)
  18. Manca in italiano una storia organica del Partito Socialdemocratico Indipendente. Utili cenni sulla storia dell’USDP si trovano in G.D.H. COLE, Storia del pensiero socialista, vol. IV.1, Laterza, Bari 1972; M.L. SALVADORI, Kautsky e la rivoluzione socialista 1880/1938, Feltrinelli, Milano 1976, p. 188 e sgg.; M. WALDENBERG, Il papa rosso Karl Kautsky, Editori Riuniti, Roma 1980, Vol. II, p. 747 e sgg.
  19. K. KORSCH, Il programma di socializzazione socialista e quello sindacalista. Ora in Consigli di fabbrica e socializzazione, Laterza, Bari 1970, p. 54.
  20. K. KORSCH, Socializzazione e movimento operaio. Ora in Scritti politici, cit., p. 17.
  21. M.L. SALVADORI, Storia del pensiero comunista, Mondadori, Milano 1984, p. 464.
  22. K. KORSCH, La Comune rivoluzionaria, ora in Scritti politici, II, Laterza, Bari 1975, p. 250.
  23. O. RÜHLE, Il coraggio dell’utopia, Guaraldi, Rimini 1972, p. 155.
  24. H. KORSCH, cit., p. 10.

(Da: G. Amico, Il "rinnegato" Korsch. Storia di un'eresia comunista)