TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 14 ottobre 2017

13. Karl Korsch in esilio (1934-1938)

      Scuola di Francoforte

XII capitolo del nostro “Il «rinnegato» Korsch. Storia di un'eresia comunista". Dal 1934 Korsch vive in esilio, prima in Danimarca, poi in Inghilterra ed infine negli Stati uniti dove resterà per il resto della sua vita. Pur tra mille difficoltà materiali Korsch continua la sua ricerca, tra il 1934 e il 1938 lavora al suo importante studio su Karl Marx.

Giorgio Amico

I primi anni dell'esilio (1934-1938)



Costretto ad espatriare, Korsch si reca prima in Danimarca e poi in Inghilterra dove può ancora contare su amicizie risalenti al periodo pre-bellico. Qui si trova coinvolto nella vicenda, mai del tutto chiarita, del suicidio di un’amica, ex-dirigente della SPD, anch’essa espatriata per motivi politici. Il tragico fatto, che coinvolge anche un’altra donna, offre l’occasione agli stalinisti per montare una campagna di calunnie contro Korsch, accusato di essere un agente provocatore e una spia al soldo di Hitler. Pur scagionato da ogni sospetto, Korsch viene espulso dall’Inghilterra e costretto a un penoso girovagare fra Svezia, Olanda e Francia, fino a quando alla fine del 1936 riesce ad ottenere un visto per gli Stati Uniti dove la moglie risiede già da qualche tempo. Scrive a questo proposito Hedda:

“Dapprima andò in Danimarca, poi in Inghilterra, dove aveva ancora dei contatti. Shuster 1 era morto, ma sua moglie era ancora viva; e lui conosceva diversi giovani inglesi, come Spender e Isherwood, che si erano recati in Germania durante la Repubblica di Weimar perché sembrava essere un focolaio di libertà e di sperimentazione, e che ci avevano fatto visita a Berlino. Karl cercò di trovare un lavoro in Inghilterra, ma la cosa era estremamente difficile perché i comunisti locali incominciarono a denunciarlo all’ Home Office. 2

Sostenevano che era un elemento sospetto e probabilmente un agente nazista poiché, non essendo ebreo, non aveva alcun motivo di comportarsi in modo strano e di lasciare la Germania nella maniera in cui l’aveva fatto. Una conseguenza positiva del suo soggiorno in Inghilterra fu che gli venne chiesto di scrivere il suo libro su Karl Marx, che gli fu commissionato dalla London School of Economics”. 3

    London School of Economics

Marxismo e lotta di classe proletaria

Dunque, nonostante il travaglio di quegli anni drammatici, Korsch continua la sua ricerca teorica. Con la critica del kautskismo e del leninismo, sintetizzata negli scritti del periodo 1929-1931, il suo lavoro di ricerca sul marxismo potrebbe anche ritenersi concluso. Egli ha raggiunto risultati significativi e offerto una stimolante chiave di interpretazione del fenomeno staliniano. Ma Korsch è troppo inquieto per considerarsi soddisfatto del lavoro svolto. Ancora una volta egli parte dai risultati acquisiti per iniziare una nuova fase di ricerca diretta questa volta allo stesso corpus originario della teoria marxista. Questo percorso, iniziato con gli scritti del 1931 su Hegel e la rivoluzione e su La crisi del marxismo, ha un suo primo sbocco nel 1932 con la pubblicazione di un’edizione critica de Il Capitale per conto della casa editrice dei sindacati tedeschi. Questa ricerca lo porta a modificare radicalmente le sue posizioni e ad iniziare una critica dei presupposti stessi della teoria marxista che sfocerà, infine, nella grande opera su Marx a cui lavora dal 1934 al 1938. Una efficace sintesi di questo percorso è offerta da una lettera del novembre 1935 all’amico e collaboratore Partos in cui viene esposta con grande determinazione la convinzione che

“la teoria (e prassi) marxiana rappresenta una teoria (e prassi ) della rivoluzione proletaria, ma non come movimento autonomo di sviluppo bensì come prosecuzione della rivoluzione borghese, (…) la teoria marxiana è, sotto ogni rispetto, gravata ancora, teoricamente come praticamente, dall’eredità della forma, storicamente obsoleta, della rivoluzione borghese”. 4

Korsch dedica larga parte della sua lettera a descrivere all’amico il percorso teorico attraverso cui egli è giunto a tale conclusione. È un documento di grandissimo interesse di cui riportiamo ampi stralci:

“Come tu sai – scrive Korsch – nel mio periodo «ortodosso» ho sempre sostenuto che il vero nocciolo rivoluzionario della teoria economica di Marx sta nella sua «critica», cioè nella sua dissoluzione critica dell’ «economia politica», che è nella sua essenza borghese. Alla fondazione, sempre più articolata, di questa tesi ho dedicato diversi anni di lezioni e qualcosa di questo mio lavoro teorico-critico è emerso anche nei miei primi lavori a stampa. Nel mio ultimo ciclo di lezioni (inverno 1932-33) ho poi un po’ mutato il mio punto di vista , mostrando quanto sia limitato, a guardar bene, il contributo critico rispetto al contenuto economico fondamentale del Capitale e quanto poco sviluppato sia l’approccio critico e come una vera critica anche dell’economia classica sia propriamente rintracciabile solo nel primo volume – da Marx stesso revisionato – del Capitale, mentre nei manoscritti marxiani rielaborati e curati da Engels e Kautsky (vol. II e III del Capitale, Teorie sul plusvalore) Marx si confronti criticamente solo con l’economia volgare, presentandosi invece come obbediente scolaro dell’economia classica e suo prosecutore in particolare per ciò che concerne la teoria del denaro, della rendita, ecc. Tanto per cambiare presi allora come punto di partenza della mia separazione di ciò che è vivo da ciò che è morto del marxismo, la posizione teorica e pratica di Marx nei confronti della «politica». Da tutto ciò scaturì l’esistenza di un nesso tra il carattere borghese della politica marxiana e la mancata realizzazione della sua dissoluzione critica dell’economia borghese in una scienza direttamente sociale e – corrispondentemente – in una prassi direttamente social-rivoluzionaria.
Venne anche alla luce che Marx si è maggiormente avvicinato ad una teoria della rivoluzione direttamente proletaria allorchè nel 1844 in Francia, attraverso il contatto con gli operai comunisti francesi e il primo confronto positivo con Proudhon, si allontanò dai suoi amici rivoluzionari-borghesi della sinistra hegeliana arrivando invece, all’approssimarsi della pratica rivoluzione del 1848, a sostituire alla rivoluzione economicamente sociale ancora una rivoluzione «totale», cioè – per lui - «politica» e, in questo modo, a prender parte alla rivoluzione tedesca, fino alla sua sconfitta nel 1849, da democratico borghese, restio ad accogliere gli obiettivi e l’organizzazione autonoma degli operai”. 5

Korsch sviluppa qui le idee esposte per la prima volta nel 1931 nelle tre sintetiche tesi su Hegel e la rivoluzione in cui ipotizzava che, contrariamente a quanto sostenuto da generazioni di marxisti a partire da Engels, 6 la dialettica hegeliana non era stata rimessa “sui piedi” da Marx, ma semplicemente trasferita dalla teoria borghese di rivoluzione a quella proletaria. Il marxismo sarebbe dunque segnato fin dai suoi inizi dal peccato originale del giacobinisno:

“Il «salvataggio», fatto da Marx ed Engels e rifatto da Lenin, della dialettica cosciente dalla filosofia idealistica tedesca nella concezione materialistica della natura e della storia, dalla teoria borghese della rivoluzione in quella proletaria, ha – storicamente e teoricamente – solo il carattere di un trasferimento. Quella che è stata creata con ciò è una teoria della rivoluzione proletaria non come si è sviluppata sui suoi propri fondamenti, bensì come è emersa dalla rivoluzione borghese; una teoria dunque che in ogni rapporto nel contenuto e nel metodo porta i segni originari del giacobinismo, della teoria borghese della rivoluzione”. 7

In altri termini, per Korsch non si può affermare che il marxismo sia diventato coscienza teorica dell’azione proletaria. Al contrario, la concezione corrente della rivoluzione proletaria dipende ancora strettamente dalle teorie ereditate dalle rivoluzioni borghesi. Il che si manifesta a livello teorico nella sovraesposizione rispetto all’autonoma azione operaia della funzione del partito e dello Stato. Un giacobinismo riveduto e corretto alla luce dei conflitti di classe del XX secolo, che rende il marxismo particolarmente adatto a fungere da teoria rivoluzionaria per i paesi arretrati. In questo senso si può affermare, e nel secondo dopoguerra le rivoluzioni cinese, cubana, vietnamita lo dimostreranno abbondantemente, che, contrariamente alle aspettative iniziali sull’apertura di una nuova fase della storia umana, la rivoluzione russa ha solo aperto la strada ad una nuova forma di giacobinismo dai connotati sempre più accentuatamente nazional-popolari. 8



Karl Marx

Nel 1934, mentre si trova in Inghilterra, viene invitato a occuparsi della stesura di un volume su Marx per la serie di monografie «Modern Sociologists», edita da Morris Ginsberg e Alexander Farquharson. In un abbozzo di schema inviato a J. Rumney, direttore della collana, Korsch propone di stendere un’ampia esposizione critica del marxismo nel suo sviluppo storico. Un ideale ritorno a quel metodo critico riassunto nella formula «ciò che è vivo e ciò che è morto nel marxismo» che, come abbiamo visto, dalla fine degli anni Venti rappresenta l’asse portante del suo lavoro di ricerca. In una lettera a Paul Mattick dell’agosto 1935 egli chiarisce meglio questo progetto: è sua intenzione, chiarisce all’amico

“esporre senza molte polemiche, in circa 40 paragrafi abbastanza concatenati l’uno con l’altro, ciò che di più valido mi sembra oggi esserci nel marxismo”. 9

Considerato il carattere non politico dell’iniziativa, rivolta ad un “colto pubblico borghese”, 10 egli tralascia ogni elemeno che possa sembrare di critica esplicita alla teoria marxiana per concentrarsi invece su di un’efficace sintesi dei suoi elementi centrali: l’analisi della società civile, dell’economia politica e della storia. Il Karl Marx diventa così occasione per una organica ricomposizione unitaria di spunti vecchi e nuovi del suo pensiero, talvolta in passato non sufficientemente sviluppati. L’opera ha comunque un iter travagliato: praticamente pronta nel 1936, vedrà la luce solo nel 1938 a causa di problemi intercorsi nella traduzione del testo dal tedesco all’inglese.

Volendo schematicamente sintetizzare il contenuto di quest’opera assai complessa e articolata, possiamo dire che a Korsch interessa principalmente mettere in risalto il carattere scientifico del marxismo, il rapporto dialettico che lega il pensiero di Marx a quello di Hegel ed infine la sostanziale organicità dell’intera opera marxiana dai Manoscritti giovanili al Capitale. Ma se il marxismo è scienza, occorre ben chiarire che esso nulla ha a che vedere con le cosiddette scienze borghesi. Mentre queste si presentano come pura rappresentazione di una realtà statica, data come immodificabile, la teoria critica materialistica concepisce

“tutti i rapporti sociali esistenti puramente nel flusso del loro mutamento e scioglie tutte le rappresentazioni statiche delle cose in processi dinamici e in una lotta politica di classe”. 11

Su questo punto Korsch è categorico:

“La teoria materialistica della lotta sociale di classe è essa stessa lotta sociale di classe. La teoria materialistica della rivoluzione sociale della classe proletaria è espressione e leva della rivoluzione sociale della classe proletaria”. 12

Il marxismo è dunque da considerarsi totalmente estraneo alla sociologia moderna, le sue radici vanno semmai cercate nella filosofia hegeliana, vera sintesi rivoluzionaria del pensiero borghese del XVIII secolo. Ne consegue che

“La classe operaia guidata dalla teoria marxiana è per questo non solo, come ha detto Friedrich Engels, «l’erede della filosofia classica tedesca», ma anche l’erede dell’economia classica e della ricerca sociale borghese. Essa ha portato avanti, in quanto tale la teoria ereditata dai classici borghesi corrispondentemente alle mutate condizioni storiche”. 13

Il marxismo rappresenta però anche il passaggio dalla filosofia alla scienza. Infatti

“Mentre fondava la sua penetrante critica materialistica dell’idealismo statuale hegeliano sugli elementi realistici intorno alla natura della società civile rinvenibili già presso Hegel, ma inaspettati per un filosofo idealista, Marx ebbe accesso, attraverso Hegel, a quei grandi enuirers into the social nature of man, 14 che per primi nei secoli passati avevano avanzato in lotta con l’invecchiato ordine economico e statuale feudale, il nuovo concetto della società civile come soluzione rivoluzionaria e nella nuova scienza dell’ economia politica, avevano già analizzato la base materiale, per così dire l’ossatura, di questa nuova forma borghese di società”. 15

In Marx, di conseguenza, la filosofia hegeliana viene abolita proprio perché realizzata concretamente nella critica della società. Tale teoria critica è al contempo una teoria pratica in quanto espressione generale del reale movimento proletario. Il marxismo è dunque “la genunina scienza sociale del nostro tempo” fondata sul “principio della specificazione storica di tutti i rapporti sociali”. Ne consegue che

“La teoria marxiana (…) è una nuova scienza della società civile borghese. Questa nuova scienza compare in un’epoca in cui contro la classe borghese dominante, nella società civile, nel suo Stato, nella sua scienza, si è levato il movimento autonomo di una nuova classe sociale. Essa rappresenta, in contrapposto ai principi borghesi, le nuove concezioni ed esigenze di questa classe oppressa nella società civile borghese. Essa è pertanto scienza critica non positiva. Essa specifica la società civile borghese e ricerca le tendenze visibili del suo presente sviluppo e la via per il suo imminente rovesciamento pratico. Essa pertanto, in quanto teoria della società civile borghese, è contemporaneamente una teoria della rivoluzione proletaria”. 16

Contrariamente alla critica frequentemente rivolta a Korsch di teorizzare l’esistenza di una frattura fra il Marx giovane e il Marx maturo de Il Capitale, egli ribadisce come i Manoscritti economico-filosofici del 1844 anticipino nel contenuto quasi tutte le acquisizioni critico-rivoluzionari presenti ne Il Capitale, rappresentandole però ancora in una forma essenzialmente filosofica. Ma già a partire dagli anni ’50 Marx elabora in forma pienamente sviluppata la sua teoria materialista.

“Essa è insieme economia politica e critica dell’economia politica. (…) inteso in questo senso, il Capitale di Marx non è soltanto l’ultima grande opera dell’economia classica (borghese), ma è anche, allo stesso tempo e in quanto tramite fra la teoria economica borghese sviluppata fino in fondo e la critica rivoluzionaria proletaria dell’economia borghese, la prima grande opera della scienza sociale rivoluzionaria proletaria”. 17

Una scienza che non può in alcun modo essere assimilata alle scienze positive della natura. Per Marx non esistono leggi della società e dell’economia “nel senso di leggi naturali inviolabili e definitive, ma solo leggi transitoriamente valide per un’epoca storica determinata”, 18 né la storia delle società umane può essere vista in modo evoluzionistico:

“Come il mutamento delle specie nella biologia moderna non più evoluzionistica, così anche i mutamenti sociali del modo materiale di produzione non sono determinati e determinabili in anticipo, Come la mutazione è un «salto di natura» (malgrado Aristotele), anche la rivoluzione sociale, con ogni determinazione materialistica dei suoi presupposti e forme, resta, nella sua esecuzione, un «salto», certo non da un regno assoluto della necessità a un regno assoluto della libertà, ma tuttavia da un sistema di determinatezze da lungo tempo irrigidite e diventate catene a un sistema che si forma nel processo stesso della rivoluzione e si articola in forme più plastiche di vita sociale, che danno spazio a un ulteriore sviluppo delle forze produttive e liberano nuove forme di attività umana”. 19

Ancora una volta, dalle pagine di Korsch balza fuori con forza l’immagine di un Marx libertario, ribelle a ogni schematismo a ricordare con rinnovato vigore, mentre sul proletariato d’Europa si stende il tallone di ferro dei lager nazisti e del gulag staliniano dove «il lavoro rende liberi», che

“nel suo fine e lungo tutta la sua strada il socialismo è una battaglia per la realizzazione della libertà”. 20

     Paul Mattick

In America

Nel 1936 Korsch emigra negli Stati Uniti, dove vivrà fin alla morte sopravvenuta nel 1961. In questo periodo egli continua i suoi studi, sempre più isolato. Perseguitato dagli stalinisti del PCUSA che continuano anche in America la campagna calunniosa iniziata in Inghilterra, guardato con sospetto dalle autorità in quanto ex-comunista, ignorato dall’ establishment universitario, egli non riuscirà mai realmente ad inserirsi nella società d’oltreoceano né a conseguire la cittadinanza americana. Ricorda la moglie Hedda

“Nel 1936 si recò in America, e quando vi giunse non aveva preconcetti circa i possibili sviluppi quaggiù. Ma questo non durò a lungo perché si rese conto ben presto della piega che le cose stavano prendendo. D’altro canto scoprì che le forze che agivano nel quadro del capitalismo USA erano talmente diverse e forti da rendere impossibile prevedere con grande esattezza il loro orientamento. Riteneva che potessero prodursi dei rivolgimenti, ma la situazione era talmente pessima che le cose avrebbero potuto cambiare soltanto in peggio. Negli USA non si impegnò in nessuna attività politica importante, sebbene venisse occasionalmente invidato a dare delle conferenze a piccoli gruppi politici (…). La sua attività principale negli USA consistette nello scrivere”. 21

Eppure il primo impatto non era stato negativo, se ancora nel 1939 in una lettera a Partos Korsch esprimeva un certo ingenuo stupore per il gigantismo degli spazi e il dinamismo della società statunitense, ma anche un forte senso di estraneità:

“(…) questa America è veramente diversa dall’Europa, certamente dalla «vecchia» Europa nella quale tutti noi abbiamo vissuto e lavorato e condotto le nostre lotte. (…) tutto appare troppo grande, troppo vasto, troppo impenetrabile, troppo poco connesso perché si possa avere una posizione analoga a quella in Europa. Il singolo qui si sente piccolo, impotente, ignorante di fronte alla vastità, alla molteplicità, alla mutevolezza dell’esistente e dell’accadere generale. L’individuo – e il singolo gruppo, tendenza, iniziativa – si trova entro uno spazio, in cui muoversi e orientarsi, assai meno determinato e differenziato. Qui non esiste, nel senso europeo, né uno Stato né una storia, né una determinata articolazione della società secondo interessi, classi, o idee dominanti. «Possibilità illimitate» circondano il reale casuale nel passato, nel presente, nel futuro. Per tutti e per nessuno esiste un’astratta infinità e libertà. È difficile ancor oggi, volendo descrivere la struttura peculiare di questo spazio americano, non fare ricorso alle categorie dell’ «età dei pionieri»”. 22

Korsch conta di inserirsi nell’ambiente accademico al pari di molti altri esuli tedeschi che lo hanno preceduto. Resterà presto amaramente deluso. Egli è troppo connotato politicamente per essere accettato. Il suo pensiero risulta troppo radicale per i buoni borghesi intellettuali USA. Anche gli appoggi su cui aveva contato, si rivelano in breve poco affidabili. Lo delude in particolare il comportamento dei vecchi “compagni” dell’Istituto per le ricerche sociali, che dopo il 1932 si erano trasferiti prima a Ginevra e poi a New York. Nonostante lo scopo dei membri fondatori della Scuola di Francoforte fosse stato quello di costituire una comunità di studiosi la cui solidarietà avrebbe dovuto prefigurare la futura società socialista e che l’Istituto concretamente cercasse di aiutare gli intellettuali tedeschi antinazisti emigrati in America, 23 Kark Korsch non risulta fra i beneficiati. Il che in parte almeno spiega l’asprezza con cui egli giudica i principali esponenti della Scuola: Horckheimer, Adorno, Marcuse.

“Eccomi dunque – scrive nell’ottobre 1938 da New York dove ha sede l’Istituto all’amico Mattick – al terzo giorno del mio triste viaggio alla ricerca di eventuali possibilità di lavoro e di collaborazione con l’IFS. 24 (…) Se qui vengo trattato con un rispetto quasi esagerato, ciò avviene solo in virtù della mia «elevata» posizione di classe e delle mie –corrispondentemente – maggiori pretese. Se però questo «rispetto» formale non dovesse tradursi in qualche cosa di concreto (finanziario) sono deciso ad uscire da questa partnership (anonima, per quanto mi riguarda) che tutti sembrano giudicare così positivamente”. 25

Ed effettivamente il giudizio di Korsch è spietato: nonostante le arie rivoluzionarie ostentate in privato, in pubblico i rappresentanti dell’Istituto si guardano bene dall’assumere posizioni in qualche modo in contrasto con gli interessi dei loro ricchi finanziatori. Un gruppo di personaggi vili, egoisti, limitati, così egli li descrive a Mattick che, va ricordato, nonostante l’estremo rigore teorico dei suoi scritti, non è un intellettuale, ma un operaio impiegato come attrezzista meccanico in una fabbrica di Chicago. Nessuno si salva da questo giudizio critico feroce che assume a tratti i toni dell’invettiva. Non Pollock, totalmente “assorbito dagli affari capitalistici privati dello Institut”, né Horkheimer che “non è minimamente disposto a difendere anche all’esterno le sue idee”, tantomeno Adorno”una delle teste più capaci della filosofia”, ma politicamente “acora stalinista”. Quanto a Marcuse, egli dimostra “un po’ più di carattere e di fermezza degli altri, (…) ma dal punto di vista umano non è particolarmente simpatico”. Quanto a Löwenthal e a Neumann, essi sono “men che mediocremente dotati, (…) l’uno nel campo della letteratura, l’altro in quello della giurisprudenza”. 26

Quanto all’Istituto il quadro complessivo è ancora più fosco:

“L’intero Institut fu sempre e completamente costruito sulla base di una partita doppia, sia nella politica che nella teoria rivoluzionaria. (…) La gente dello IFS si sente chi sa come rivoluzionaria e militante (dentro di sé), solo per il fatto di essere semplicemente vile, egoista, limitata, invece che apertamente controrivoluzionaria. (…) Ecco più o meno quello che c’è. Di lavoro se ne fa poco e di chiacchere molte: questo è il loro «lavoro collettivo». Dopo qualche discorso ognuno dà ragione agli altri sulla base di una determinata gerarchia: e questa è la loro comunità”. 27



1 Sir Ernest Shuster, professore universitario di diritto con cui Korsch collabora strettamente nel suo primo periodo inglese (1912-1914). Cfr. a questo proposito H. KORSCH, Ricordi su Korsch, cit., p. 8.
2 Il Ministero degli Interni britannico.
3 H. KORSCH, cit., p. 14.
4 K. KORSCH, Lettera a Partos del 25/11/1935, in La crisi del marxismo, Altre edizioni, Todi 1978, p. 3.
5 Ivi, pp. 3-4.
6 Cfr. F. ENGELS, Ludovico Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, cit., p. 41.
7 K. KORSCH, Hegel e la rivoluzione, in Dialettica e scienza nel marxismo, cit., pp. 168-169.
8 Sarebbe interessante, ma esula dagli ambiti di questo lavoro, investigare gli elementi di “socialismo” presenti nel regime mussoliniano che riteniamo almeno in parte riconducibile a questo processo.
9 K. KORSCH, Lettera a Paul Mattick del 29.8.1935, citata in G. LANGKAU, Nota filologica, in Karl Marx, Laterza, Bari 1968, p. XXXII.
10 K. KORSCH, Lettera a Paul Mattick del 10.5.1935, in Marxiana 1, Bari 1976, p. 145.
11 K. KORSCH, Karl Marx, cit., p. 70.
12 Ivi, p. 69.
13 Ivi, p. 9.
14 Ricercatori intorno alla natura sociale dell’uomo. (In inglese nel testo)
15 Ivi, p. 7.
16 Ivi, p. 71.
17 Ivi, pp. 101-102.
18 Ivi, p. 167.
19 Ivi, pp. 228-229.
20 K. KORSCH, Lo stato attuale…, cit., p. 38.
21 H. KORSCH, cit., pp, 14-15.
22 K. KORSCH, La scienza americana, in Dialettica e scienza nel marxismo, cit., p. 105-106.
23 Circa duecento emigrati furono a vario titolo sostenuti finanziariamente dall’Istituto. Dal 1934 al 1944 furono distribuiti sotto forma di borse di studio oltre 200. 000 dollari di aiuti. Cfr. M. JAY, cit., p. 179.
24 Institut Für Sozialforschung (Istituto per le ricerche sociali) denominazione ufficiale della Scuola di Francoforte.
25 K. KORSCH, Lettera a Paul Mattick del 20.10.1938, in Marxiana 1, cit., pp. 165-166.
26 vi, pp. 167-168.

27 Ivi.