Qualche anno fa, uscì
per la la Colibrì di Milano, Il "rinnegato" Korsch. Storia
di un'eresia comunista, prima (e ci risulta ancora unica) biografia
italiana del filosofo e esponente del comunismo dei consigli tedesco.
Il libro andò subito esaurito e non è stato più ristampato. In
attesa di una possibile riedizione aggiornata del libro, ne
riproponiamo il contenuto. Oggi presentiamo il quinto capitolo
relativo a Marxismo e filosofia e alla conseguente condanna per eresia.
Giorgio Amico
Marxismo e filosofia.
La riscoperta di Hegel
Come abbiamo visto nel
capitolo precedente, il 1923 rappresenta un anno fondamentale nella
evoluzione politica e nella vita di Korsch e non solo per quello che
gli accade – la nomina a professore universitario, l’incarico di
governo in Turingia, il periodo di forzata clandestinità – o
accade attorno a lui dalla mancata insurrezione proletaria alla
normalizzazione manu militari dell’intricata situazione politica
tedesca. In quell’anno egli compone e pubblica Marxismo e
filosofia, il libro destinato ad assicurargli per sempre un posto
importante nella storia del marxismo. Un libro sintetico e scarno
che, in meno di un centinaio di pagine di non facile lettura, si
interroga sul rapporto marxismo-filosofia, un tema diventato tabù
per i marxisti della Seconda Internazionale in nome di un marxismo,
scienza della società, assimilabile epistemologicamente alle scienze
della natura. 1 Un marxismo positivistico, quello della Seconda
Internazionale, parlamentaristico e gradualista sul piano politico,
rozzamente scientistico e determinista su quello teorico e proprio
per questo secondo Korsch del tutto incapace di afferrare come
“per Marx la conoscenza
‘materialistica’ dello sviluppo sociale in contrasto con la
conoscenza materialistica della natura, è consistita sin dall’inizio
non già nella comprensione puramente teorica di qualcosa di
esistente nella forma dell’oggetto o della concezione, bensì
sempre in pari tempo nell’attività soggettiva, umano-sensibile,
pratica-critica, cioè, nell’attività «rivoluzionaria»”. 2
Ne consegue che la
coscienza non è un mero “riflesso” del movimento sociale, ma
parte integrante di questo cosicchè la rivoluzione non può essere
intesa che come “totalità vivente”. 3 Di questo Marx ed Engels
sono debitori ad Hegel, “il massimo pensatore che la società
borghese abbia prodotto nella sua epoca rivoluzionaria”, per il
quale la ‘rivoluzione nella forma del pensiero’, cioè la
filosofia, è una “componente reale dell’effettivo processo
sociale rivoluzionario complessivo”. 4 La grandezza rivoluzionaria
di Hegel consiste proprio in questa consapevolezza: nell’aver
compreso che la filosofia non è una semplice riflessione “a
posteriori” sulla realtà, ma “la sua epoca espressa nel
pensiero”. Il marxismo non può, dunque, essere considerato una
concezione “scientifica” della storia e della società, elaborata
in un qualche laboratorio politico al di fuori della realtà concreta
della lotta di classe in cui essa verrebbe poi calata dall’esterno
per “illuminare” le masse operaie.
Il proletariato non è,
dunque, la forma in cui si manifesta nella società borghese
“l’astuzia della ragione”. I proletari, in quanto movimento
reale, uomini concreti chiamati a fare e non a subire la storia,
sono essi stessi parte integrante, carne e sangue, della teoria
rivoluzionaria. “In termini hegeliano-marxisti, - ricorda Korsch -
il sorgere della teoria marxista è solo ‘l’altra faccia’ del
sorgere del reale movimento proletario di classe; solo se presi
assieme i due lati formano la totalità concreta del processo
storico”. 5
In questa concezione la
coscienza non è un semplice riflesso del processo storico in atto,
ma ne è il vero agente di trasformazione. Il problema vero, pratico
è che il marxismo dopo Marx ha smarrito la coscienza di questa
totalità. Si è via via sempre più involgarito, semplificato,
appiattito su di uno scientismo tanto pretenzioso quanto
inconcludente, mostrandosi del tutto incapace di afferrare la
complessità dello stato di cose esistente. Un socialismo
“scientifico” diventato mera sommatoria di conoscenze
scientifiche positive, ormai sganciato dalla lotta di classe di cui
non sa più comprendere le dinamiche profonde.
Korsch sembra, dunque,
ritenere che la comparsa dell’economicismo nel marxismo della
Seconda Internazionale si spieghi proprio col fatto che Hilferding e
gli altri “hanno concepito la soppressione della filosofia come
sostituzione di quest’ultima con un sistema di scienze positive
astratte e non dialettiche” 6 e si sono in tal modo preclusi ogni
possibilità di una comprensione della realtà come “attività
pratica, come attività sensibile umana”. 7 D’altronde per
Korsch il pensiero rivoluzionario del giovane Marx, “questa prima
forma fenomenica della teoria marxista”, non poteva mantenersi
integro “nel corso del lungo periodo, praticamente non
rivoluzionario, che in fondo in Europa si è protratto per tutta la
seconda metà del XIX sexolo”. 8
Una critica lucida e
coerente del marxismo dopo Marx di cui molti critici, anche
autorevoli, non sono riusciti a cogliere a pieno la ricchezza e la
profondità. Pensiamo a Lubomír Sochor, autore di un più
complessivo studio sul marxismo critico degli anni Venti, per il
quale Marxismo e filosofia “non costituisce una trattazione
sistematica, ma è piuttosto un insieme di considerazioni, per lo più
solo abbozzate e molto spesso poco elaborate, sebbene ricche di idee
stimolanti”. 9 Ma anche, su di un altro piano, a Christian
Riechers, secondo cui gli scritti di Korsch e Lukács appaiono
“stranamente apolitici”. 10 La natura ben più ricca dell’opera
viene efficacemente messa in luce da Paul Mattick in un suo scritto
dei primi anni Sessanta
“Questa attenzione
nuova che Korsch rivolge al rapporto marxismo-filosofia non deriva
minimamente da un particolare interesse per la filosofia. Essa
esprimeva piuttosto il bisogno, il desiderio di alleggerire il
marxismo di allora dalle sue scorie ideologiche e dogmatiche. Era la
conseguenza teorica della nuova tendenza rivoluzionaria liberata
dalla guerra e dalla rivoluzione”. 11
Un compito pratico
Quando si risolve a
scrivere il suo libro, riprendendo e ampliando alcuni scritti dei
primi mesi del 1922 sul materialismo storico e la dialettica
marxiana, Korsch è pienamente consapevole di accingersi ad una
battaglia tutta politica in strettissimo collegamento “con le
lotte del tempo”: 12 la prima guerra mondiale, la rivoluzione
russa, la sconfitta e il crollo delle potenze centrali (Germania e
Austria). In una parola col riemergere sulla scena europea del
vecchio “spettro” del comunismo. Posto di fronte ai compiti
dell’ora, il marxismo come scienza del divenire storico ha mostrato
impietosamente tutti i suoi limiti e si è rivelato incapace, proprio
perché non più dialettico, di prendere posizione sui temi
all’ordine del giorno: la presa del potere, la dittatura del
proletariato, l’estinzione finale dello Stato nella società
comunista. Non basta, dunque, limitarsi, come pure fanno molti
dirigenti del Comintern e della stessa KPD, a individuare le cause di
questa situazione critica nella vigliaccheria o nell’assenza di
spirito rivoluzionario di questo o quel dirigente o teorico della
socialdemocrazia. Un tentativo del genere non porterebbe lontano, si
resterebbe infatti su di un piano superficiale, non marxista e
materialista. Divampata nell’Oriente “arretrato”, la
rivoluzione proletaria non si è allargata all’ Occidente
“avanzato”. La “vecchia talpa”, riapparsa dove meno la si
attendeva, con la sua stessa ingombrante presenza interroga ironica i
marxisti e li riprendere in esame l’intera evoluzione del marxismo.
13
Ora, applicare la
concezione materialistica della storia al marxismo stesso - questo in
estrema sintesi il compito pratico che si pone Korsch –significa
mettere a nudo l’opposizione tra teoria e pratica che
contraddistingue il marxismo dell’epoca in entrambe le sue
versioni, quella revisionistica di Bernstein e quella ortodossa di
Kautsky. Infatti, come avevano già compreso Rosa Luxemburg e Lenin,
il revisionismo bernsteiano - ma lo stesso vale per il marxismo
ortodosso del “papa rosso” Karl Kautsky con cui in realtà Lenin
esiterà a lungo a fare i conti 14 - registra a livello teorico la
trasformazione in senso riformistico della lotta economica dei
sindacati e di quella politica dei partiti operai nelle mutate
condizioni storiche della fase imperialista del capitalismo. In
questo quadro
“La teoria globale
unitaria della rivoluzione sociale è stata trasformata in una
critica scientifica dell’ordinamento economico borghese e dello
Stato borghese, dell’istruzione pubblica, della religione,
dell’arte, della scienza e di tutte le altre espressioni culturali
della borghesia, in una critica che non sfocia più necessariamente,
per la sua stessa essenza, in una prassi rivoluzionaria”, ma “può
sfociare altrettanto facilmente, come di solito avviene nella sua
prassi reale, in ogni sorta di aspirazioni riformistiche che per
principio non vanno oltre l’ambito della società borghese e del
suo Stato”. 15
La soluzione del problema
posto dalla crisi del marxismo non può, tuttavia, consistere in un
semplice ritorno al passato di una teoria restaurata nella sua
purezza. E d’altronde, che la forma non abbia alcun valore, se non
è la forma del contenuto, è Marx stesso a chiarirlo in un suo
scritto giovanile. 16
“Se dunque il partito
teorico – chiarisce Korsch con un diretto riferimento alla marxiana
Critica della filosofia del diritto di Hegel – crede di ‘poter
realizzare (praticamente) la filosofia senza sopprimerla
(teoricamente)’, il partito pratico commette un errore altrettanto
grave quando tenta di sopprimere (praticamente) la filosofia senza
realizzarla (teoricamente), vale a dire senza comprenderla in quanto
realtà”. 17
Ciò che occorre per
garantire tale superamento è un “ulteriore sviluppo dialettico”,
la ridefinizione dall’interno dello scontro di classe di “ una
teoria della rivoluzione sociale che abbracci tutti gli ambiti della
vita sociale in quanto totalità”. 18 In una parola: il
riappropriarsi del materialismo storico come “teoria della
rivoluzione proletaria”. 19 Proprio il riapparire sulla scena
della rivoluzione comunista pone nuovamente con forza la grande
questione del rapporto tra rivoluzione proletaria e ideologia, già a
suo tempo risolta dal giovane Marx nelle sue Tesi su Feuerbach.
Occorre, pertanto, superare un approccio alla filosofia in termini
esclusivamente negativi come semplice riflesso della realtà vera,
“oggettiva” delle strutture economico-sociali. Già Marx aveva
messo in guardia contro questo materialismo volgare che considera gli
uomini come semplici “prodotti dell’ambiente e dell’educazione”
, dimenticando che sono gli uomini che fanno la storia e che l’essere
umano altro non è che “l’insieme dei rapporti sociali”, con
l’effetto di giungere “necessariamente a scindere la società in
due parti, una delle quali sta al di sopra della società”. 20
Proprio in questo consiste la differenza fra il materialismo
dialettico di Marx ed Engels e il piatto materialismo deterministico
delle scienze borghesi diventato patrimonio della maggioranza dei
teorici marxisti che:
“invece di comprendere,
accanto al processo della vita sociale e politica, anche quello
spirituale, accanto all’essere e al divenire sociale in senso lato
(come economia, politica, diritto, ecc.) anche la coscienza sociale nelle sue
differenti forme fenomeniche come componente reale, anche se ideale (
o ‘ideologica’) della realtà sociale complessiva, […]
definiscono ogni forma di coscienza in termini del tutto astratti, e
in fondo addirittura dualistici e metafisici, come riflesso del tutto
dipendente o solo parzialmente indipendente, ma in ultima analisi
sempre come riflesso dipendente del processo materiale di sviluppo,
il solo cui attribuiscano un’effettiva realtà”. 21
La concezione
materialistica della storia
Non è tanto la filosofia
in se, dunque, che interessa Korsch, quanto la riscoperta della
dialettica come fondamento di un marxismo capace di diventare
prassi, di contro ad un materialismo rozzo, puramente descrittivo.
Proprio sulla base di queste affermazioni Marxismo e filosofia, come
vedremo, sarà accusato di idealismo. In realtà, l’importanza
attribuita da Korsch alla funzione attiva dell’ideologia risponde
alla necessità, impellente in una fase rivoluzionaria, di
comprendere le motivazioni profonde dell’agire sociale affinchè il
proletariato nel suo insieme, come classe, sia posto in condizione di
agire quale soggetto essenziale, primario, e non considerato quale un
“passivo oggetto di direzione”. 22
Questo in sostanza
significa applicare la concezione materialistica della storia a se
stessa, in una visione “assolutamente adogmatica e antidogmatica,
storica e critica e quindi materialistica” del marxismo. 23 Ora,
come acutamente nota Richard Gombin, il materialismo meccanicistico
di Lenin comporta la totale separazione di essere e coscienza,
facendo dell’uno il riflesso dell’altra e di conseguenza negando
la possibilità di una coscienza di classe non prodotta in qualche
modo dal partito in quanto interprete delle leggi del socialismo
scientifico. Una tale concezione non solo nega ogni dialettica dei
processi sociali, ma si risolve “in ultima analisi, in un semplice
determinismo causale, immagine esatta delle concezioni positiviste
della seconda metà del XIX secolo. Permette di enunciare leggi
eterne (dogmi) e non ammette che la loro accettazione o il loro
rifiuto in blocco. Qui dunque si trova in potenza il totalitarismo
ideologico e agli eredi di Lenin basterà portare alle loro
conseguenze le proposizioni contenute in questo «marxismo
ortodosso». 24 Lungi dall’essere irrilevante ai fini della prassi
rivoluzionaria, ristabilire il corretto rapporto fra marxismo e
filosofia, fissato nelle opere giovanili di Marx e d Engels e ripreso
poi un po’ in tutta l’intera loro opera successiva, rappresenta,
dunque, una vera e propria priorità per il partito proletario se si
vuole sfruttare la nuova ondata rivoluzionaria che da tanti segnali
pare imminente:
“Così come l’azione
economica della classe rivoluzionaria non rende superflua l’azione
politica – scrive Korsch a conclusione del suo saggio – anche
l’azione che è economica e politica ad un tempo non rende
superflua l’azione ideale: questa deve piuttosto essere portata
avanti fino alla fine sul piano pratico e teorico, come critica
scientifica rivoluzionaria e attività di agitazione prima della
presa del potere da parte del proletariato, e come attività
scientifica di organizzazione e dittatura ideologica dopo la
conquista del potere”. 25
Diretta contro la rigida
ortodossia dei teorici socialdemocratici che avevano sclerotizzato il
marxismo trasformandolo da teoria critica a dogmatica concezione del
mondo l’opera entra immediatamente in rotta di collisione non solo
con il kautskismo, ma anche con la nuova ortodossia “leninista”
della Terza Internazionale. Korsch è, come abbiamo visto nel
capitolo precedente, nel pieno della sua fase “leninista”
ortodossa. Ma il Lenin che egli conosce è quello
dell’internazionalismo intransigente delle conferenze di Zimmerwald
e Kienthal, della condanna irrevocabile del “rinnegato Kautsky”,
di Stato e rivoluzione e di “tutto il potere ai Soviet”. Non
sappiamo quanto a fondo egli conoscesse realmente la lunga e
complessa storia del bolscevismo. Ci viene di pensare, rifacendoci
alle contemporanee esperienze di Bordiga e Gramsci, che questa
conoscenza non andasse in realtà molto al di là di quanto spesso in
modo frammentario e superficiale era apparso sulla stampa del
Comintern. 26
Comunque sia, di certo
egli in quel momento sottovaluta come, al di là della dura condanna
politica del revisionismo della Seconda Internazionale pronunciata
all’indomani dello scoppio della prima guerra mondiale e del
cedimento della socialdemocrazia al socialpatriottismo, sul piano
teorico Lenin e i bolscevichi non avessero nei fatti mai reciso
veramente il cordone ombelicale che li legava al greve materialismo
deterministico di Plechanov e Kautsky. Basterebbe pensare al Che
fare? o alle tesi sostenute da Lenin nel corso del secondo congresso
del POSDR nel 1903 per vedere come parte rilevante degli elementi
fondanti del bolscevismo si collochino all’interno del quadro
teorico del marxismo ortodosso della Seconda Internazionale. 27
Partito da una critica
del marxismo volgare della Seconda Internazionale, Korsch finisce,
quasi senza volere, per contrapporsi al leninismo “proprio sulla
questione se sia possibile elaborare una logica dialettica
materialistica intesa come una specie di ‘nuovo organo’ di tutte
le scienze, ossia come una scienza pura del metodo”. 28 Egli non
conosce ancora Materialismo ed empiriocriticismo, di cui solo alla
fine degli anni Venti uscirà la prima edizione tedesca, ma è
evidente che la critica del materialismo volgare premarxiano
contenuta in Marxismo e filosofia investe direttamente ogni
interpretazione della conoscenza come rispecchiamento, compresa
quella di Lenin. 29 Contro ogni forma di dogmatismo o di feticismo
teorico, Korsch si ancora saldamente alla critica marxiana del
materialismo di Feuerbach. Per Marx
“La questione se al
pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione
teorica, ma pratica. E’ nell’attività pratica che l’uomo deve
dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere
terreno del suo pensiero. La discussione sulla realtà o non realtà
di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente
scolastica”. 30
“Non è una lunga
discussione teorica- scrive Korsch riprendendo quasi alla lettera
Marx– che può decidere se un metodo scientifico sia giusto o
errato; la verifica definitiva si ha sempre soltanto mettendo
‘praticamente’ alla prova il metodo stesso […] Tutte le
‘verità’ umane sono piuttosto, come l’uomo pensante che le ha
in testa, un prodotto, e a differenza dei cosiddetti puri ‘prodotti
della natura’ […] sono un prodotto umano. Esse sono dunque,
esprimendoci in termini più precisi, un prodotto sociale, generato
assieme ad altri prodotti dell’attività umana, attraverso
l’attività collettiva e la divisione del lavoro, nelle condizioni
naturali e sociali di produzione di una determinata epoca della
storia della natura e dell’umanità”. 31
Ne consegue che nessuna
teoria può considerarsi “vera” in se, descrizione esatta del
mondo o, se si vuole, riflesso “scientifico” della realtà
esistente. 32 Il marxismo è «scientifico» non perché riproduce i
canoni epistemologici delle scienze della natura, come in qualche
passo sembra ritenere anche l’ultimo Engels, bensì in quanto
teoria della rivoluzione sociale intesa e applicata come totalità
vivente, come prassi rivoluzionaria. La dialettica marxista
differisce da quella hegeliana proprio nel suo essere “dialettica
materialistica” del proletariato che – ammonisce Korsch:
“non può essere
insegnata astrattamente o servendosi di cosiddetti esempi, come se si
trattasse di una ‘scienza’ particolare, dotata di un oggetto
particolare. La si può soltanto applicare concretamente, nella
prassi della rivoluzione proletaria e in una teoria che è una
componente immanente e reale di questa prassi rivoluzionaria”. 33
In un passo famoso del
suo libro Korsch paragona la teoria marxista della società alla
teoria della guerra di Clausewitz, il quale considerava la teoria
della guerra come parte della guerra stessa, non materia di studio
astratto. La dialettica non è dunque semplicemente un metodo
applicabile sempre e comunque o, peggio ancora, riassumibile in un
corpo di tesi che possono essere astrattamente apprese. Come
espressione del movimento rivoluzionario del proletariato la
dialettica marxista rappresenta un elemento stesso di questo
movimento e non una semplice teoria.
Ne deriva un radicale
relativismo epistemologico che, contestando la visione ortodossa del
marxismo come teoria delle leggi dello sviluppo sociale e
identificandolo invece con la coscienza di classe del proletariato
rivoluzionario, nei fatti ne nega ogni verifica al di fuori della
reale prassi sociale. Una concezione inaccettabile non solo per la
socialdemocrazia, ma anche e forse ancora di più per i partiti
comunisti in piena “bolscevizzazione”.
Lenin
La condanna per eresia
Quando scrive Marxismo e
filosofia Korsch pensa di essere sotto tutti i punti di vista un
coerente interprete di Lenin alla cui autorità esplicitamente si
rifà, ricordando come proprio il leader bolscevico avesse invito il
partito ad uno studio sistematico della dialettica hegeliana. Era
stato, infatti, proprio Lenin a dedicarsi per primo negli anni della
guerra allo studio della filosofia hegeliana, ritenendola a tal punto
fondamentale per la stessa comprensione del marxismo da annotare nei
suoi quaderni:
“Non si può
comprendere perfettamente il Capitale di Marx e particolarmente il
primo capitolo, se non si è compresa e studiata attentamente tutta
la Logica di Hegel. Di conseguenza, mezzo secolo dopo, nessun
marxista ha compreso Marx!!” 34
Certo, questo aforisma
così estremo nella sua concisione non era, come il resto dei
materiali raccolti nei Quaderni filosofici, ancora conosciuto agli
inizi degli anni Venti quando Korsch (e Lukács) si accingono a
scrivere le loro opere. Ma in un articolo del 12 marzo 1922 su Il
significato del materialismo militante, Lenin aveva sviluppato in
forma più ampia questo concetto, trasformandolo in un’indicazione
politica. Nella raccomandazione ai quadri del partito di “organizzare
uno studio sistematico della dialettica di Hegel dal punto di vista
materialista”, perché “senza porsi e assolvere questo compito,
il materialismo non può essere un materialismo militante”. 35
Nella redazione di
Marxismo e filosofia Korsch si rifà proprio a questa raccomandazione
del leader bolscevico, tanto da porla per esteso in epigrafe al suo
scritto. Egli si considera perfettamente in linea con le posizioni
ufficiali del partito, confortato anche dal fatto che Marxismo e
filosofia circoli da più di un anno senza aver suscitato particolari
reazioni negative. Korsch sottovaluta il carattere elitario di questo
dibattito che coinvolge soprattutto l’ambiente intellettuale
vicino alla neocostituita Scuola di Francoforte In un lavoro sulla
storia dell’Istituto Wittfogel ricorda Korsch come membro
importante del gruppo. Per il futuro studioso del modo di produzione
asiatico Korsch avrebbe svolto un ruolo fondamentale all’interno
dell’Istituto nei suoi primi anni. È una tesi smentita recisamente
da altri membri che sostengono che il filosofo, pur partecipando alla
vita dell’Istituto, vi avrebbe svolto un ruolo tutto sommato
secondario. Martin Jay è d’accordo con questa seconda versione che
riprende nella sua opera sulla Scuola di Francoforte:
“Effettivamente Korsch
partecipò ad alcuni seminari dell’Istituto e scrisse
occasionalmente delle recensioni per la rivista prima e dopo
l’emigrazione, ma non gli fu mai offerto di diventare membro a
tempo pieno”. 36
Sarà l’intensificarsi
dello scontro frazionistico nel partito tedesco e
nell’Internazionale, così come la contemporanea uscita di Storia e
coscienza di classe dell’ungherese Lukács, a determinare una
situazione completamente nuova. Assimilato al filosofo ungherese,
come esponenti di una organica tendenza internazionale, Korsch si
trova sottoposto ad un vero e proprio processo per eresia.
Per Zinov’ev Korsch
assieme a Lukács e all’italiano Antonio Graziadei che poco prima
aveva pubblicato un libro che criticava la teoria marxista del
valore, rappresenta una nuova forma di revisionismo, un marxismo dei
“professori” che mina alle radici la dottrina leninista. Una
condanna generica e priva di motivazioni concrete. Zinov’ev
poteva permetterselo. Nel 1924 il clima interno al “partito
mondiale della rivoluzione” è tale da rendere inutile quella
parvenza di democrazia e di libero confronto che Lenin in qualche
modo aveva tollerato nei primi quattro congressi. Ormai al dibattito
si sostituisce la scomunica, alle argomentazioni gli insulti e i
sarcasmi. Qualche storico dubita persino che Zinov’ev avesse
effettivamente letto i libri dei tre malcapitati “professori”.
Non ci sarebbe nulla da stupirsi: la storia successiva
dell’Internazionale avrebbe mostrato ben di peggio. Ma torniamo
alla requisitoria di Zinov’ev:
“Se dobbiamo seguire –
si legge in un resoconto stenografico della seduta – il leninismo
non solo formalmente… noi non dobbiamo permettere che questa
tendenza di estrema sinistra divenga un revisionismo teoretico… che
si diffonda e diventi un fenomeno internazionale. Il compagno
Graziadei… ha pubblicato un libro… in cui attacca il marxismo.
Non si può lasciare passare impunito questo revisionismo teoretico.
E neppure tollereremo il nostro compagno ungherese Lukacs, che fa lo
stesso nel campo della filosofia e della sociologia… Ritroviamo una
tendenza simile nel partito tedesco. iL compagno Graziadei è un
professore; anche Korsch è un professore. (Interruzione: “anche
Lukacs è un professore!”). ancora un po’ di questi professori a
tessere le loro teorie marxiste e saremo perduti. Non possiamo
tollerare… un revisionismo teoretico di questo genere nella nostra
Internazionale Comunista”. 37
“Cominciava così a
manifestarsi – commenta a questo proposito Predrag Vranicki -
quello spirito che sarebbe poi divenuto tipico per la III
internazionale, la tendenza cioè a subordinare anche l’attività
teorica, scientifica, artistica alla guida dell’apparato dirigente
del partito”. 38
Gyorgy Lukacs
Korsch e Lukács
La condanna del Quinto
Congresso dell’Internazionale Comunista di Karl Korsch e György
Lukács ha ingenerato in molti studiosi il convincimento
superficiale di una quasi totale identità fra i due filosofi che
vengono citati sempre uno accanto all’altro, con Korsch solitamente
relegato in una posizione più subalterna, quasi a fare da spalla al
più illustre collega. In realtà le cose non stanno così e il voler
a tutti i costi considerare Korsch come una fotocopia per giunta
sbiadita di Lukacs rappresenta un modo schematico di impostare il
problema e di fatto riprende senza accorgersene la rozza forzatura
polemica presente nel discorso di Zinov’ev al Quinto Congresso.
Esistono, tuttavia, numerosi punti di contatto fra questi due
protagonisti del dibattito marxista nei primi anni Venti. E' lo
stesso Korsch a riconoscerlo nel suo famoso poscritto alla prima
edizione di Marxismo e filosofia:
"Solo mentre
scrivevo questo saggio è apparso il libro di György Lukács, Storia
e coscienza di classe. Per quanto ho potuto constatare fino a ora,
non posso che approvare con gioia le esposizioni dell'Autore fondate
su una più larga base filosofica, che spesso toccano questioni che
ho posto in questo mio saggio. Sulle divergenze marginali che
potrebbero ancora sussistere nel contenuto e nel metodo, mi
riprometto di prendere posizione in futuro". 39
Per Korsch nel 1923 si
tratta dunque di differenze "marginali": le questioni
affrontate sono le stesse, non dissimili le conclusioni. La diversità
tra i due scritti sembra semmai consistere nella più articolata base
filosofica su cui poggia l'opera del filosofo ungherese. Le cose non
stavano così. Come acutamente nota Salvadori in un passo della sua
Storia del pensiero comunista, che riportiamo integralmente
condividendolo pienamente:
“Effettivamente vi era
tutta una parte dell’analisi di Lukács che poteva essere
assimilata a quella di Korsch; ma ve ne era un’altra che se ne
discostava in modo niente affatto irrilevante (il che non apparve
chiaro a Korsch) e che ne sta a spiegare anche il diverso sviluppo
dei due teorici e anzitutto il loro differente atteggiamento di
fronte alla condanna ricevuta. […] In Storia e coscienza di classe
vi era tutta una dimensione teorica che in realtà allontanava
profondamente Lukács da Korsch. In primo luogo la diversità
derivava dal differente atteggiamento di fronte al partito, in
corrispondenza di una non omogenea concezione della sua funzione.
Korsch restò molto più segnato dall’idea che il proletariato
fosse il vero soggetto della prassi rivoluzionaria. Per contro Lukács
era - nonostante la profonda influenza subita in un primo tempo da
parte del luxemburghismo e del sorelismo – più saldamente
legato alla convinzione che il proletariato potesse esprimersi in
modo rivoluzionario solo attraverso il partito, elevando così
quest’ultimo a principale agente rivoluzionario”. 40
Senza entrare nel merito
delle differenze, Korsch riconoscerà a sua volta alcuni anni più
tardi nel suo scritto su Lo stato attuale del problema "Marxismo
e filosofia" (Anticritica), premesso alla seconda edizione del
1930 del suo capolavoro, di essersi sbagliato su Lukács:
"[…] le posizioni
che ho espresso in Marxismo e filosofia si sono spesso incontrate con
le affermazioni fondate su una più larga base filosofica, contenute
negli studi dialettici di Gyorgy Lukacs apparsi nello stesso periodo
sotto il titolo di Storia e coscienza di classe. In una breve
postilla al mio scritto mi sono dichiarato fondamentalmente d'accordo
con le sue ricerche, ripromettendomi di prendere posizione in un
secondo tempo riguardo alle divergenze marginali che avrebbero potuto
ancora sussistere sia nel contenuto sia nel metodo. Successivamente,
questa dichiarazione è stata erroneamente interpretata, in
particolare dai critici comunisti, come una constatazione di accordo
totale; io stesso a quel tempo non avevo ancora individuato con
sufficiente chiarezza la portata delle divergenze che non toccavano
solo 'questioni di dettaglio' ma che, nonostante i molti punti in
comune, toccavano anche questioni fondamentali della nostra tendenza
teorica. Per questa ragione, e altre ancora di cui non parlerò in
questa sede, non ho mai risposto all'invito rivoltomi ripetutamente
dai miei avversari del partito comunista di 'precisare' le mie
concezioni nei confronti di quelle di Lukacs; ho invece preferito
sopportare che i critici, basandosi sulla 'dottrina marxista
leninista', la sola che garantisca la beatitudine, confondessero in
modo indifferenziato le mie 'deviazioni' e quelle di Lukacs". 41
Pur non riconoscendosi
più nel poscritto del 1923, Korsch non rinnega tuttavia nulla del
passato sodalizio intellettuale con Lukacs di cui rivendica con
orgoglio la portata critica nei confronti dell'ortodossia marxista.
L'unica cosa che poi realmente conti per lui:
"Ancor oggi, pur non
potendo aggiungere alla seconda edizione del mio scritto che appare
immutato, una simile dichiarazione di accordo totale con le posizioni
di Lukacs e, pur essendo cadute tutte le altre ragioni che in passato
mi hanno trattenuto dal dichiarare esplicitamente i punti in cui le
nostre posizioni divergono, ritengo che in ciò che è essenziale,
l'atteggiamento critico nei confronti della vecchia e della nuova
ortodossia marxista, di quella socialdemocratica e di quella
comunista, oggettivamente io mi trovi tuttora accomunato in un unico
fronte assieme a Lukacs". 42
Esula dagli ambiti
necessariamente ristretti di questo lavoro intervenire a fondo sulla
complessa e tanto dibattuta questione dei rapporti fra i due
filosofi. Pensiamo tuttavia che una parola definitiva possa venire
dalle memorie di Hedda Korsch:
“Quando lavorava a
Marxismo e filosofia [Korsch] non sapeva nulla di Lukács. Ne sentì
parlare soltanto dopo la pubblicazione del suo libro. Mi disse che
era appena uscito un altro volume che, per molti versi, conteneva
dlle idee simili alle sue. In seguito, quando Korsch diede un ciclo
di conferenze sul marxismo, negli anni Venti e fino al febbraio 1933,
Lukács era solito prendervi parte e vi si recava quasi regolarmente.
Dopo c’erano sempre delle discussioni nel Caffè Adler sulla
Alexanderplatz, e molto spesso Lukács era presente. (…) Il fatto
che Lukács fosse ancora membro del partito comunista mentre Korsch
lo aveva abbandonato non influì sui loro rapporti; entrambi si
consideravano comunisti critici. Nella sua nuova introduzione a
marxismo e filosofia, scritta nel 1929, Korsch affermò che i punti
di accordo tra lui e Lukács erano meno di quanto avesse
originariamente creduto. Si riferiva alla loro diversa posizione
sulla Russia. Quel disaccordo, più di qualsiasi altra questione
filosofica, era la fonte principale delle loro divergenze. Korsch
riteneva anche che Lukács avesse conservato il proprio retroterra
filosofico idealistico molto più di quanto lui stesso avesse fatto.
Ma ciò nonostante rimasero amici fino a che Lukács si recò in
URSS, dopo di che non ebbero più nessun legame di alcun genere”.
43
Ma qual è, allora, il
reale rapporto fra Korsch e Lukács? L’opera di Salvadori dedicata
a ricostruire i lineamenti della storia del pensiero comunista
contiene una sintetica e chiare definizione del problema. Dopo aver
elencato le assonanze fra Storia e coscienza di classe e Marxismo e
filosofia, Salvadori passa a evidenziare le differenze:
“Ma in Storia e
coscienza di classe vi era tutta una dimensione teorica che in realtà
allontanava profondamente Lukács da Korsch. In peimo luogo la
diversità derivava dal differente atteggiameno di fronte al partito,
in corrispondenza di una non omogenea concezione della sua funzione.
Korsch restò molto più segnato dall’dea che il proletariato fosse
il vero soggetto della prassi rivoluzionaria. Per contro Lukács era
– nonostante la profonda influenza subita in un primo tempo da
parte del luxemburghismo e del sorelismo – più saldamente legato
alla convinzione che il proletariato potesse esprimersi in modo
rivoluzionario solo attraverso il partito, elevando così
quest’ultimo a principale agente rivoluzionario. Pur mettendo in
guardia verso le possibili deviazioni centralistico-burocratiche
dell’organizzazione, in Storia e coscienza di classe Lukács
mostrava tutta l’insufficienza della concezione luxemburghiana e
del suo spontaneismo, come pure l’opportunismo della concezione
menscevica, che rinunciava alla lotta per il depuramento del partito
dalle contraddizioni esistenti all’interno del proletariato, e
asseriva che «l’unica via possibile che consente di realizzare la
libertà autentica è la disciplina del partito comunista,
l’assorbimento incondizionato nella praxis del movimento della
personalità complessiva di ogni aderente”. 44
Questa diversa
valutazione del ruolo del partito produrrà effetti profondi
sull’evoluzione futura dei due pensatori:mentre Korsch si avvia a
divenire un eretico, Lukács si allinea sulle posizioni di Mosca e di
Stalin e ci vorranno i massacri di Budapest del 1956 per costringerlo
ad un tardivo recupero di dignità. Scrive di lui nel 1941 Victor
Serge, che come si è visto fu a lungo suo intimo amico a Vienna:
“Incontrai più tardi
Georg Lukács e la sua compagna, nel 1928 o 1929, in una strada di
Mosca. Lavorava all’Istituto Marx-Engels, si soffocavano i suoi
libri, viveva coraggiosamente nella paura; pressappoco benpensante,
non osò stringermi la mano in un luogo pubblico, giacché ero
escluso e noto come oppositore. Sopravvive fisicamente. Scrive
articoletti grigi nelle riviste del Comintern”. 45
1 Una deformazione
scientista del marxismo già presente nel tardo Engels della
Dialettica della natura e dell’ Antidühring che trova in Italia la
sua massima espressione nel rigido determinismo bordighiano e
successivamente negli scritti di Arrigo Cervetto e nella produzione
teorica del gruppo Lotta comunista. Per una critica delle
posizioni teoriche di Cervetto e di Lotta comunista vedere M.
PASQUINELLI, Una parodia economicista del marxismo, Edizioni Voce
Operaia, Foligno 1990. Da parte nostra, senza voler entrare qui
minimamente nel merito delle tesi di questa organizzazione , ci
limitiamo ad osservare che gli argomenti con cui Lotta comunista
ribadisce il suo essere “partito scienza” ci hanno sempre
ricordato quei “positivisti” tanto ferocemente criticati dalla
Scuola di Francoforte ed in particolare da Horkheimer. “ I
positivisti – scrive a questo proposito Max Horkheimer nel 1946 –
riducono la scienza ai procedimenti impiegati dalla fisica e dalle
discipline da essa derivate, mentre negano il nome di scienza a tutti
gli sforzi teorici che non siano in accordo con i principi ch’essi
astraggono dalla fisica e dai suoi metodi legittimi. Si deve
osservare a questo punto che la divisione di tutta la verità umana
in scienza e discipline umanistiche è essa stessa un prodotto
sociale ipostatizzato dall’organizzazione delle università […]
Il cosiddetto lavoro pratico non ha posto per la verità e quindi la
spezza e divide per conformarla alla propria immagine: le scienze
fisiche sono dotate di cosiddetta obiettività, ma svuotate di
contenuto umano; le discipline umanistiche conservano il contenuto
umano, ma solo come ideologia a spese della verità”. [M.
HORKHEIMER, Eclisse della ragione, Einaudi, Torino 1969, VI ed., p.
69.]
2 K. KORSCH, Consigli
di fabbrica e socializzazione, cit., pp. 77-78.
3 K. KORSCH, Marxismo e
filosofia, cit., pp. 54-55.
4 Ivi, p. 44.
5 Ivi, pp. 47-48.
6 Ivi, p.63.
7 Cfr. K. MARX, Tesi su
Feuerbach, Ora in appendice a F. ENGELS, Ludovico Feuerbach e il
punto di approdo della filosofia classica tedesca, Edizioni
International, Savona 1969, p. 64. Una conferma involontaria della
critica di Korsch si può trovare nel saggio Il pensiero economico di
Hilferding e il dramma della socialdemocrazia tedesca di G.
PIETRANERA che funge da introduzione a R: HILFERDING, Il capitale
finanziario, Feltrinelli, Milano 1976 (III ed.). Su Hilferding cfr.
anche W. GOTTSCHALCH, Sviluppo e crisi del capitalismo in Rudolf
Hilferding, in AA.VV., Storia del marxismo contemporaneo, vol. II,
Feltrinelli, Milano 1977, pp. 49-74.
8 K. KORSCH,
Marxismo…., cit., p. 55.
9 Cfr. L. SOCHOR,
Lukács e Korsch: la discussione filosofica degli anni venti. In
AA.VV., Storia del marxismo, vol. III.1, Einaudi, Torino 1980, p.
742.
10 Cfr.
C. RIECHERS, cit., p. 123.
11 P.
MATTICK, Karl Korsch, Institut de Science Économique Appliquée,
Cahiers, series 7, Suppl. 140, August 1964. Ora consultabile on-line
sul sito: www.plusloin.org/textes/korsch.html
12 E’
lo stesso Korsch a riconoscerlo nelle prime righe dello scritto del
1930 Lo stato attuale del problema “Marxismo e filosofia”
(Anticritica). Cfr. K. KORSCH, Marxismo e filosofia, cit., p. 7.
13 Un
esempio illuminante della totale incomprensione degli avvenimenti
russi da parte dei teorici della socialdemocrazia si può ritrovare
in R. MONDOLFO, Studi sulla rivoluzione russa, Morano, Napoli 1968.
Per una lettura di prima mano delle posizioni
“materialistico-dialettiche” di Marx ed Engels sulla “questione
russa” - al di là dell’interpretazione un po’ troppo
“programmista” che ne offre Bruno Maffi nell’introduzione -
cfr. K. MARX-F. ENGELS, India Cina Russia, Il saggiatore, Milano 1965
(II ed.). Per una più complessiva trattazione della questione cfr.
P.P. POGGIO, Marx, Engels e la rivoluzione russa, Quaderni di
Movimento Operaio e Socialista, n.1, luglio 1974. Di particolare
interesse da un punto di vista marxista rivoluzionario lo studio di
A. BORDIGA, Russia e rivoluzione nella teoria marxista, Edizioni Il
Programma comunista, Milano 1990. Per un’interpretazione
“ultrasinistra” della questione, provocatoria ma stimolante come
tutti gli scritti di questo autore, cfr. J. CAMATTE, Comunità e
comunismo in Russia, Jaca Book, Milano 1975.
14 Sul
rapporto irrisolto Kautsky-Lenin cfr. J. BARROT, Le “renégat”
Kautsky et son disciple Lenin, disponibile sul sito
www.idmcom.org/adel_spartacus/dankant.html
15 K.
KORSCH, Marxismo e filosofia, cit., p. 59.
16 K.
MARX, Dibattiti sulla legge contro i furti di legna. In Scritti
politici giovanili, cit., p. 223.
17 K.
KORSCH, Marxismo e filosofia, cit., p. 67.
18
Ivi, p. 64.
19 G.
LUKÁCS, Lenin, cit., p. 11.
20 K.
MARX, Tesi su Feuerbach, cit., pp. 64-65.
21 K.
KORSCH, Marxismo… , cit., p. 72.
22
M.L. SALVADORI, Storia del pensiero comunista, cit., p. 467.
23 K.
KORSCH, Marxismo e filosofia, cit., p.10.
24 R.
GOMBIN, Le origini del gauchisme, Jaca Book, Milano 1973.
25 K.
KORSCH, Marxismo e filosofia, cit., p. 83.
26 Non
va dimenticato che la prima edizione, forzatamente incompleta, delle
Opere a cura dell’Istituto Lenin appare fra il 1924 e il 1926.
L’edizione, di complessivi 20 volumi, è curata da Kamenev e
richiede quattro anni di ricerche. Fino ad allora larga parte della
produzione leniniana, compresi gli importanti articoli apparsi
sull’Iskra, così come le mozioni o le tesi per i congressi del
POSDR, era ormai introvabile nella stessa Russia e pressochè
sconosciuta alla stessa base bolscevica venuta al partito dopo la
rivoluzione del febbraio 1917. Per una sintetica ricostruzione della
questione cfr. L. PISANI, Le “Opere” di Lenin, nel numero di
dicembre 2001 del periodico Lotta comunista.
27
Non è un caso che rispetto al dibattito interno alla
socialdemocrazia tedesca dei primi anni del secolo Lenin si collochi
il più delle volte da parte di Kautsky contro le tesi di Rosa
Luxemburg e Anton Pannekoek. Non esiste in italiano uno studio
organico dei rapporti fra socialdemocrazia tedesca e marxisti russi.
Per chi volesse approfondire l’argomento cfr. C. WEILL, Marxistes
russes et social-démocratie allemande 1898-1904, Maspero, Paris
1977. Sul secondo congresso del POSDR cfr. l’edizione del Che fare?
curata da Vittorio Strada (LENIN, Che fare?, Einaudi, Torino 1971) e
-soprattutto per la parte documentaria – G. MIGLIARDI, Lenin e i
menscevichi. L’Iskra (1900-1905), La Pietra, Milano 1979.
28 L.
SOCHOR, Lukács e Korsch…, cit., p. 745.
29 La
critica più compiuta dei comunisti di sinistra alle tesi filosofiche
di Lenin si trova in A. PANNEKOEK, Lenin filosofo, Feltrinelli,
Milano 1972. Una difesa (neostalinista) di Lenin e un’aspra critica
a Pannekoek è contenuta in E. LEONETTI FIORANI, La teoria di classe
della conoscenza, Lavoro liberato, Milano 1975. Per
un’interpretazione “ortodossa” più equilibrata di Materialismo
ed empiriocriticismo cfr. F. FISTETTI, Lenin e il machismo,
Feltrinelli, Milano 1977.
30 K.
MARX, Tesi su Feuerbach, cit., p. 63.
31 K.
KORSCH, Marxismo e filosofia, cit., pp 100 e sgg.
32
“La stessa filosofia della prassi - annota Gramsci nei suoi
Quaderni – è una superstruttura, è il terreno in cui determinati
gruppi sociali prendono coscienza del proprio essere sociale, della
propria forza, dei propri compiti, del proprio divenire” (A.
GRAMSCI, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce,
Einaudi, Torino 1948, p. 237). E’ controverso quanto Gramsci, a
Vienna nel 1923-1924, conosca degli scritti di Korsch. Certo conosce
Lukács (anche lui in quel periodo a Vienna) ed è intimo amico di
Victor Serge che di questi era un fervente ammiratore. Cfr. a questo
proposito V. SERGE, Memorie di un rivoluzionario, Edizioni De
Silva-La Nuova Italia, Firenze 1956, pp. 272-275. Per una visione
d’assieme sulla vita e l’opera di Serge cfr. il nostro Victor
Serge rivoluzionario senza partito, CEDOC, Savona 1999.
33 K.
KORSCH, Marxismo e filosofia, cit., p. 125.
34
LENIN, Quaderni filosofici, Feltrinelli, Milano 1970, p. 171.
Rinvenuti tra le carte personali di Lenin dopo la sua morte, i
Quaderni filosofici, che raccolgono appunti e riflessioni a partire
dal 1895, vengono pubblicati per la prima volta nel 1929-30 e nella
forma definitiva, come volume a sé, nel 1933.
35
LENIN, Il significato del materialismo militante. In Opere, XXXIII,
Editori Riuniti, Roma 1967, p. 211.
36 M.
JAY, l’immaginazione dialettica, cit., p. 17.
37 M.
WATNICK, Relativismo e coscienza di classe: Georg Lukacs, in L.
LABEDZ (a cura di), Il revisionismo, Jaca Book, Milano 1967, p. 206.
38 P.
VRANICKJ, Storia del marxismo, II, Editori Riuniti, Roma 1979, p. 96.
39 K.
KORSCH, Marxismo e filosofia, cit., p.84.
40
M.L. SALVADORI, Storia del pensiero comunista, cit., pp. 473 e 476.
41 K.
KORSCH, Marxismo e filosofia, cit., pp. 9-10.
42
Ivi.
43 H.
KORSCH, cit., pp. 10-11.
44
M.L. SALVADORI, cit., p. 476.
45 V.
SERGE, cit., p. 275.