TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 19 dicembre 2009

Silvio Straneo, poeta savonese


Silvio Straneo




Giorgio Amico

Della poesia come presenza/assenza


"L'arte è un alto esercizio acrobatico sull'orlo di un abisso, è una sfida al nulla... essa soggiorna volentieri nella notte, ma questa notte non è che ciò che protegge dall'altra notte che è la morte che non si trova e l'oblio che si oblia e, dentro l'oblio, il ricordo senza riposo."
Scriveva così Tito Perlini in un suo assai discusso saggio dell'inizio degli anni Settanta in cui, dopo aver denunciato la crisi radicale della cultura letteraria di un mondo borghese in decomposizione, definiva l'opera d'arte come "presenza-assenza".
Difficile non essere d'accordo, essendo l'agire dell'artista approssimazione progressiva all'essenziale, inesausta ricerca di significato che non può concludersi in una compiutezza che segnerebbe inevitabilmente la morte dell'opera stessa, il suo finale perdersi nel mondo dell'apparenza, la ricaduta nella banalità del presente e dell'ovvio.
Simile al mago, l'artista svela al pubblico il suo segreto nel momento stesso in cui decide di nasconderlo. Simile agli antichi alchimisti, egli lo rende manifesto nell'atto stesso di rappresentarlo inaccessibile. Da qui il carattere misterico, quasi iniziatico, di gran parte dell'arte e della poesia moderna, l'uso ripetuto, quasi ossessivo, di simboli occulti. Un simbolismo mai fine a se stesso, si badi bene, ma carico di significati che ritroviamo anche nel percorso poetico che, a partire dal suo volume d'esordio "Danzando un sorriso", Silvio Straneo va progressivamente delineando.
Un percorso non facile, arduo e forse anche rischioso. La poesia non essendo fatta per spacciare idee rassicuranti, per fornire lenimento alle ansie provocate da un presente incerto. Per questo basta la televisione. L'arte è ricerca di senso, trasmutazione della materia, cammino alchemico verso la ricomposizione di un io frammentato, rito di passaggio. La scrittura si fa esperimento, ricerca di nuovi significati attraverso un uso radicalmente altro del linguaggio. E questo Straneo, per quanto giovane, mostra di saperlo bene.
La sua ricerca poetica è prima di tutto ricerca linguistica, ma avendo però fin dall'inizio chiaro, quasi a difesa dai rischi che un'operazione di questo genere comporta, come ogni ricerca sulle parole tenda inevitabilmente a prefigurare un diverso rapporto con le cose. E' stato Heidegger, molto tempo fa, a chiarire una volta per tutte che "parole e lingua non sono come dei cartocci che servano unicamente ad involgere cose per il commercio del parlare e dello scrivere. E' solo nelle parole e nella lingua che le cose divengono e sono."





Incamminatosi su questo percorso era inevitabile che Silvio Straneo giungesse al rifiuto esplicito di una armonia formale, ormai assolutamente impossibile in un mondo lacerato come quello in cui viviamo. Ma attenzione! Non si tratta di una illusoria fuga da una realtà vissuta come ambivalente e pericolosa. Al contrario. La frammentarietà dei testi, ricercata ed esibita senza censure, testimonia dell'assunzione coraggiosa di una prospettiva "dall'esterno" con cui operare criticamente nei confronti dell'immaginario poetico e al tempo stesso un tentativo di ricomposizione, di costruzione circolare di un'opera complessiva che non nasconda l'eterogeneità delle sue componenti fino ad uscire dai confini stessi della scrittura per diventare musica, canto, danza. Come nel caso dell'ultima opera, "Fabriziando", dove la creazione poetica si muta in evento, atto "pubblico" in continuo divenire, flusso di sensazioni, cerchio magico in cui è abolita ogni separazione fra autore/attore e spettatore.
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Libro dopo libro, lentamente, faticosamente Silvio Straneo compone i capitoli di una autobiografia poetica in una visionarietà circolare che ritorna continuamente su se stessa, mescolando con esiti assolutamente convincenti presente e passato, sogno e realtà. Il tutto espresso in una scrittura convulsa, in una sorta di teatralizzazione espressiva (che non a caso diventa poi teatro vero), capace di dare senso compiuto al provvisorio e all'informe, fino a disegnare una sorta di mappa della memoria e dell'inconscio, luogo del desiderio e del rimpianto, in cui tutti possiamo ritrovarci.