Continuiamo
con la ripubblicazione dei materiali raccolti da Sandro Saggioro e
ormai non più disponibili in rete. Sandro definiva questo articolo di Giorgio Bocca, apparso nel 1973 su «Storia
Illustrata»
“interessante, simpatico e corretto”. Ed in effetti si tratta di
uno dei primi articoli seri dedicati
al fondatore del PCI dopo la stagione delle calunnie.
Giorgio
Bocca
Amadeo
Bordiga. Il fondatore dimenticato
Per lunghi
anni Amadeo Bordiga è stato il «diavolo» del nostro comunismo
ortodosso, l'equivalente italiano di Trotzki, il nemico, l'eretico; e
siccome il comunismo italiano ortodosso ha avuto ed ha il monopolio
dei documenti e degli archivi, siccome anche la revisione critica su
Bordiga è passata e passa, in gran parte, attraverso i canali
storici del PCI, si corre anche oggi il rischio di dare di Amadeo
Bordiga una immagine deformata, come del resto lo si corre con
Gramsci e con Togliatti, Abbiamo cercato perciò, nei limiti
dell'abbozzo biografico di tenere presente anche una conversazione
con Bruno Maffi, uno dei «figli di Bordiga» e storico della
sinistra comunista.
Come
Togliatti, come Gramsci, come quasi tutti i dirigenti comunisti,
Amadeo Bordiga è di estrazione borghese: nasce il 13 giugno 1889 a
Resina dal professor Oreste, un piemontese sceso a Portici alla
scuola agraria; la madre invece è fiorentina e nobildonna; ricorderà
Ruggero Grieco nel 1923, nel saluto a Bordiga, arrestato dai
fascisti, che «agli agi della sua famiglia di antica nobiltà... ha
preferito farsi condottiero di masse». Non è qui il caso di
ricostruire nei dettagli la fanciullezza e la gioventù di Amadeo;
basterà ai fini di questo ritratto dire che egli è, naturaliter,
una persona colta, abituata alla frequentazione degli intellettuali,
il che gli consentirà fin dai primi anni della attività politica e
giornalistica di guardare alla cultura del suo tempo con sufficiente
distacco, senza infatuazioni e venerazioni, scegliendovi liberamente
i suoi interessi: «Non aveva letto» ricorderà Giuseppe Berti «una
pagina di Croce e di Gentile -se ne vantava , ed era vero - trovava
il positivismo infastidente ed approssimativo, gli sembrava che come
filosofia il marxismo largamente bastasse».
Gli studi
universitari in ingegneria lo portano a Pavia e poi a Napoli e a 21
anni ha già fatto la sua scelta politica, si è iscritto alla
sezione socialista di Portici, ha già iniziato la collaborazione ad
Avanguardia,
il giornale della gioventù socialista, e al foglio intransigente La
soffitta,
assieme a Lazzari e a Serrati nonché al foglio locale La
Voce di Castellamare.
Si può
dire che sia proprio questa sua sicurezza nei confronti della
cultura, questa sua conoscenza della cultura borghese, a fornirgli la
prima occasione di affermarsi a livello nazionale. Nel 1912, al
congresso giovanile socialista di Bologna, e per lettera su L'Unità
di Salvemini, inizia infatti una polemica con Angelo Tasca che non
passa inosservata nel partito. E' la polemica che va sotto il nome di
«culturista». Raccogliendo una idea salveminiana, Tasca ha accusato
il partito socialista. i giovani in particolare, di essere incolti ed
ha attribuito a questa incoltura i ritardi del movimento. Bordiga
rifiuta questa posizione: il problema del socialismo. dice, non è
quello di una cultura che è e resta borghese e che nessun riformismo
riuscirà a cambiare, il vero problema del socialismo italiano è di
trovare una sua unità ideologica e di azione, è di sconfiggere «il
localismo e il particolarismo».
Il Bordiga
del 1912 ha dunque già sufficientemente chiara la visione critica
del vecchio partito che poi Gramsci chiamerà il Barnum, il grande
vaso in cui si raccolgono le forze più disparate, dai sindacalisti
rivoluzionari ai riformisti di destra. Non è questo il partito che
può piacere all'intransigente napoletano il quale, sempre nel 1912,
ha fondato il Circolo
Carlo Marx
assieme a Ruggero Grieco e a Oreste Lizzadri, primo strumento di una
opposizione che durerà fino alla scissione socialista: «In tutto il
periodo compreso tra il 1912 e il 1919» osserverà Andreina De
Clementi «la sua vicenda si identificò con la storia della sua
progressiva presa di coscienza... della estraneità del PSI ai
principi marxisti».
Nella
storia del comunisti ortodossi Bordiga appare solo nel 1921 e come
antitesi del gruppo torinese ordinovista di Gramsci e Togliatti.
Diciamo piuttosto, secondo la verità storica, che Bordiga, come
Tasca, sono già noti nel partito socialista nel 1914 mentre Gramsci
e soprattutto Togliatti sono degli illustri sconosciuti. Ma a parte
la notorietà, a parte il peso dentro il partito, vi è fra il
Bordiga e il Gramsci del 1914 un certo parallellismo. Entrambi sono
mussoliniani come lo sono molti fra i giovani, entrambi vedono in
Mussolini l'uomo che ha sbancato i riformisti del partito e che
sembra capace di guidarlo in senso rivoluzionario. «Anche Bordiga»
ammette la sua biografa De Clementi «aveva dato credito alla
irruenza mussoliniana e tra i due si era stabilita una corrente di
viva, reciproca simpatia, sfociata nella collaborazione del giovane
napoletano alla rivista teorica Utopia».
Dal congresso socialista di Ancona alla settimana rossa il giovane
Bordiga segue Mussolini nella sua lotta contro i massoni e contro i
riformisti. E' solo nell'ottobre del 1914 che questa alleanza si
rompe sul tema dell'interventismo. E' già in corso la guerra
mondiale fra gli imperi centrali, descritti come reazionari e
feudali, e le democrazie occidentali, che passano per le
continuatrici della rivoluzione francese, per le sostenitrici dei
principi di indipendenza nazionale e di autodeterminazione dei
popoli. Si tratta di definizioni molto opinabili così come sono
opinabili i giudizi che si possono dare del conflitto; ma è su esso
che il movimento socialista italiano si spacca una prima volta. Il
partito socialista ha fatto della neutralità, del rifiuto della
guerra il suo ubi
consistam
ideologico, il suo comune denominatore; e fa scandalo che
improvvisamente il 24 ottobre del 1914 proprio il direttore dell'
Avanti!,
Mussolini,
la metta in dubbio, la discuta con un articolo che ha per titolo «Per
una neutralità attiva ed operante» e qui finisce anche il
parallellismo con Gramsci il quale invece commenta in modo quasi
favorevole l'articolo mussoliniano e poi, con Togliatti, imbocca la
strada dell'interventismo.
Bordiga,
dicevamo, non ha esitazioni e non si limita ad articoli teorici.
Scrive, con altri, Il
soldo del soldato,
un opuscolo destinato ai coscritti in cui si rifiuta ogni distinzione
fra guerra offensiva e difensiva perchè la guerra, comunque, è
imperialista e volta allo sfruttamento del proletariato. Una tale
guerra va sabotata, osteggiata. Sono le idee che un Bordiga isolato a
Napoli, tagliato fuori dal movimento socialista internazionale,
svilupperà nel corso del conflitto riscoprendo in certo senso il
disfattismo rivoluzionario di Lenin.
Alla fine
della guerra, cadute le prudenze imposte dal conflitto la sinistra
socialista riprende con rinnovato ardore l'opposizione dentro il
partito, e la sorregge, la sprona l'entusiasmo per la rivoluzione
russa, per la nascita del primo stato socialista del mondo. Si vive
in un periodo, è bene ricordarlo, in cui l'attesa rivoluzionaria si
è diffusa in tutta Europa, in cui la fine del vecchio ordine pare
imminente; e i giovani premono perchè il partito si adegui, perchè
sia pronto. Bordiga e la sua corrente hanno preso il sopravvento a
Napoli, il sindacato che controllano ha 7000 iscritti, il 22 dicembre
è uscito il giornale di corrente Il
Soviet
in cui il giovane leader espone le sue idee, sempre quelle: «il
partito politico ... non è nel concetto nostro organo di conquiste
elettorali per gli intellettuali che dirigono il movimento, ma è
l'organo politico di una classe sociale che, solo affratellata in una
collettività che superi gli individui, i gruppi, le categorie, le
razze, le patrie, potrà dare e superare le sue definitive
battaglie». L'eterno immutabile Bordiga del partito dei puri,
rivoluzionario che farà dire a Zinoviev: «Voi siete come un palo
telegrafico, siete sempre lì».
Cerchiamo
di capire, per brevi tratti, la situazione del partito socialista nei
primi anni del dopoguerra: la mobilitazione delle masse contadine ed
operaie, le inquietudini della media e piccola borghesia, lo hanno
ingigantito e al tempo stesso svuotato; ha conquistato moltissimi
seggi nelle elezioni, è il partito con il maggior numero di iscritti
ma è anche un partito che mira ai voti, ai municipi assai più che
alla rivoluzione. Non è questo partito che può piacere ai
socialisti intransigenti riuniti attorno al Soviet
di Bordiga, e neppure a quelli che leggono l' Ordine
Nuovo a
Torino e che hanno Gramsci come leader.
Ma i due
gruppi hanno idee diverse su modo di uscire dalla crisi: Gramsci
punta tutto sui consigli operai che prima si impadroniscono delle
industrie e poi dell'intero Paese; Bordiga capisce invece che
l'Italia non è Torino, che le avanguardie operaie non bastano a
guidare le masse contadine, che bisogna creare un partito politico
capace di arrivare alla conquista del potere politico. Posizioni
polemiche, ma di reciproca stima intellettuale: Bordiga sale spesso a
Torino per convincere Gramsci e gli ordinovisti e nasce fra i due un
rapporto critico ma affettuoso. Bordiga non permetterà mai che si
parli in sua presenza in termini spregiativi di Gramsci, e quando
sarà al confino offrirà il suo aiuto disinteressato per la
liberazione di Antonio.
Allorché
finalmente, sotto la spinta di Lenin e della nuova internazionale
comunista si arriva alla scissione di Livorno del 1921, Bordiga è
l'incontrastato leader del partito e il dominatore del congresso. La
storia sacra dei comunisti ortodossi arriverà a dire, come è noto,
che Gramsci e Togliatti sono stati i fondatori del partito comunista,
ma è vero il contrario; Togliatti è a Torino a fare il giornalista
e Gramsci riesce a stento ad entrare nella direzione. E presto tutti
gli ordinovisti, con la sola eccezione di Antonio, forse, sono degli
accesi bordighisti, lo seguono nella sua linea intransigente.
Impressiona, in questo Bordiga, la sicurezza in se stesso, il
sentimento di indipendenza, la certezza di aver cercato e trovato una
vita autonoma al socialismo. Gli dicono che Lenin è in disaccordo
con lui sull'astensione dalle elezioni? Risponde: Lenin ed io siamo
figli di Marx a parità di diritti. E la situazione russa non è
quella italiana. Ai bolscevichi, ai rivoluzionari sovietici Bordiga
appare come la personalità dominante del partito italiano. Dirà di
lui Kamenev: «Amadeo è un leone».
Bordiga ha
doti tribunizie, è un oratore trascinante. Gramsci è seguito
soprattutto per la sua intelligenza, ma in Amadeo l'intelligenza si
accompagna alla passione. E' uomo vivo, pieno, gran bevitore, gran
mangiatore, quando capita in casa Maffi a Milano non dimentica di
portare i dolci napoletani; ha sposato Ortensia, una compagna bella
con occhi luminosi, grande combattente anche lei, pronta a
«giustiziare» Mussolini quando tradisce il partito, capace di
rifiutare la mano al comunista francese Cachin che giudica troppo
spostato a destra. Bordiga non ha complessi di inferiorità neppure
di fronte alla mitica Terza Internazionale meglio nota come
Comintern. La divergenza compare quasi subito: l'Internazionale crede
di poter pensare alla strategia generale del movimento a cui i
singoli partiti devono adattarsi in modo tattico: il partito italiano
per esempio tenga presente la situazione italiana di fascismo
nascente e si adegui, cerchi una alleanza tattica con i socialisti.
Bordiga
non ci crede: per lui il fascismo non è che un aspetto del governo
borghese; se viene il fascismo un buon comunista non deve rinunciare
ai propri ideali gridando viva la democrazia che è l'altro aspetto
del governo borghese; deve invece serrare le file, tenere in piedi
l'organizzazione rivoluzionaria, e tenerla in piedi evitando le
contaminazioni socialdemocratiche. E' certamente un errore: il
fascismo passerà più facilmente con un antifascismo diviso e sarà
in grado di distruggere tutte le organizzazioni rivoluzionarie.
Bordiga,
va però sottolineato, espone questa tesi prima della esperienza
fascista e non è giusto giudicarlo con il senno di poi, sul metro di
un fascismo rivelatosi alla nazione e al mondo come un fenomeno
nuovo. Si tratta comunque di due posizioni, quella della
Internazionale e quella di Bordiga, difficilmente conciliabili. Ma
non è giusto, come si è fatto da parte dei comunisti staliniani,
presentare Bordiga solo come un cocciuto schematico e astratto:
Amadeo ha una sua idea del partito rivoluzionario che non ha più
avuto alcuna possibilità di essere verificata da quando il movimento
comunista ha rinunciato a quel tipo di rivoluzione.
Nel 1923,
a marcia su Roma compiuta, Bordiga venne arrestato dai fascisti. Il
partito dei «puri», come lo ha voluto, non ha opposto resistenza al
colpo di stato fascista; si impone in extremis, la necessità di
rovesciare la sua politica, di cercare una alleanza con i socialisti.
Nel giugno del 1923 l'esecutivo allargato dell'Internazionale
sconfessa Bordiga, e impone un rinnovamento della direzione in cui
entrano i «destri» come Tasca e Vota. Amadeo, dal carcere, risponde
con la abituale fierezza: «Non pretendo di rappresentare altro che
il signor me stesso, ma dichiaro ... che non collaborerò in
alcun modo al lavoro di direzione del partito. Dall'esecutivo sono
lieto di essere già escluso ... Non mi dimetto da non so che cariche
che mi hanno dato a Mosca, ma se dovessi uscire, non andrò laggiù
neanche per poco tempo».
Il partito
è lacerato, non vuole rompere con Mosca ma non vuole neppure
ripudiare l'amato leader. L'operazione per estromettere Bordiga e i
suoi fedelissimi dalla direzione sarà diretta da Gramsci, e durerà
fino al 1925, con una lenta conquista dei quadri. Bordiga però non
si dà per vinto e, se volesse, il suo ruolo all'Internazionale
resterebbe di primo piano: il gruppo Bucharin-Stalin che dirige il
partito russo non è sicuro di Gramsci, Bordiga potrebbe servire come
carta di riserva. Ma Bordiga non è uomo da stretti calcoli di
potere, Bordiga guarda alle questioni di fondo. Egli è il primo che
abbia il coraggio di porre ai sovietici e a Stalin la domanda
decisiva: «Dove sta andando l'Unione Sovietica?». Sta costruendo
davvero il socialismo o sta fabbricando un colossale capitalismo di
stato?
Il 1°
marzo 1926 c'è fra Bordiga e Stalin un incontro storico. Bordiga
chiede informazioni sui programmi industriali, sul modo socialista di
industrializzare il paese e poi pone una domanda decisiva: «Il
compagno Stalin pensa che lo sviluppo della situazione russa e dei
problemi interni del partito russo è legato allo sviluppo del
movimento proletario internazionale?». Come a dire: voi sovietici vi
preoccupate ancora della rivoluzione mondiale o badate soltanto al
socialismo nel vostro paese? E Stalin con sdegno, non sappiamo se
sincero o simulato, risponde: «Questa domanda non mi è mai stata
rivolta. Non avrei mai creduto che un comunista potesse rivolgermela.
Dio vi perdoni di averlo fatto».
Uno
scontro duro, dignitoso, non lo Stalin che umilia e ridicolizza
Bordiga come si leggerà nella storia sacra togliattiana.
Bordiga è così poco umiliato che ventiquattro ore dopo al VI Plenum
dell'Internazionale pronuncia il solo vero discorso di opposizione
entrando nel merito della questione russa, nel merito dei metodi
russi: «In questi ultimi tempi si impiega nel partito uno sport che
consiste a colpire, intervenire, spezzare, aggredire; ed in questi
casi i colpiti sono spesso degli ottimi rivoluzionari. Trovo che
questo sport del terrore nell'interno del partito non ha nulla di
comune con il nostro lavoro... L'unità si giudica dai fatti, non da
un regime di minaccia e di terrore. Quando gli elementi deviano in
modo evidente dal cammino comune bisogna colpirli, ma se in una
società l'applicazione del codice criminale diventa la regola, ciò
significa che la società è imperfetta... Ci occorre assolutamente
un regime più sano nel partito, è assolutamente necessario che si
dia al partito la possibilità di costruire la sua opinione... Il
partito russo lottava in condizioni speciali cioè in un paese in cui
l'aristocrazia feudale non era stata ancora sopraffatta dalla
borghesia capitalistica. E' necessario per noi sapere come si attacca
uno stato democratico moderno...» E' difficile immaginare una
critica più pertinente al sistema staliniano in formazione, e una
formulazione più esatta dei problemi fondamentali della rivoluzione
dei Paesi avanzati.
Togliatti,
che rappresenta a Mosca il partito italiano di Gramsci, se ne avvede
e deve dire: «Avete sentito tutti Bordiga, e sembra che abbiate una
certa simpatia per lui. Pone i problemi in modo sincero e pare avere
la forza di un capo. Ma noi non crediamo che sia un grande capo
rivoluzionario». E magari è così, ma resta aperta la questione se
ai fini del socialismo sia stata più utile la sua intransigenza, o
il realismo togliattiano. Bordiga, arrestato jnel 1926, mandato al
confino, viene espulso dal partito comunista nel 1930, dopo che
Togliatti si è arreso senza condizioni a Stalin, e approfittando
delle purghe che Stalin pretende in tutti i partiti dei presunti
trotzkisti. La identificazione di Bordiga con Trotzki è quanto mai
approssimativa e vale come tutte le altre identificazioni fra i
nemici dello stalinismo.
Le
calunnie degli stalinisti
Bordiga
torna a Napoli, si dedica alla sua professione di ingegnere, e
sopporta l'isolamento politico e la calunnia a cui i comunisti
ortodossi lo sottopongono dall'esilio. L'odio e l'indignazione dei
togliattiani nei riguardi dell'ex-leader sono artificiosi, fatti per
compiacere Stalin, per rafforzare nei militanti di base l'odio verso
l'eresia trotzkista. E nel periodo del peggiore stalinismo le
requisitorie contro Bordiga si succederanno ossessivamente. Si arriva
a scrivere che «l'avversione a Bordiga e al bordighismo è sempre
stata profonda in Togliatti, direi quasi fisica». E poiché ha
assistito al matrimonio di una nipote, a cui sono presenti anche dei
fascisti, lo si accusa di essere «una canaglia trotzkista, protetto
dalla polizia e dai fascisti».
In verità
Bordiga vive isolato nel suo alloggio di corso Garibaldi a Napoli, e
i suoi unici amici sono i comunisti, pochi, che non lo hanno
abbandonato. Egli è convinto che l'uscita dallo stalinismo prenderà
un tempo molto lungo, e sa che un uomo come lui non ha il minimo
spazio: o lo reprimono i fascisti, o lo eliminano gli stalinisti.
Meglio dunque attendere, e intanto ripensare il marxismo, ripensare
il partito rivoluzionario.
Alla fine
della Seconda Guerra Mondiale Bordiga prende atto che lo stalinismo
non è finito, e che una sua uscita in campo aperto contro il partito
togliattiano non avrebbe alcuna possibilità di successo. Ma è in
questi anni fra il 1944 e il 1965 che svolge un enorme lavoro
ideologico, scrivendo su Programma
comunista
e compilando saggi come il Dialogato
con Stalin del
1953 e Dialogato
coi morti
del 1956, in polemica con Krusciov.
A Napoli
egli ha più ammiratori che compagni di partito, i militanti più
numerosi sono al nord. Negli ultimi anni Bordiga era stato colpito da
una paresi, ma continua a pensare, a scrivere, a parlare come si è
visto in una drammatica intervista televisiva trasmessa post
mortem.
Il breve
abbozzo biografico di Amadeo Bordiga si ferma qui. Certamente l'uomo
non è stato mondo di difetti e di errori come pretenderebbero i suoi
seguaci. Certamente alla prova del fascismo Bordiga ha compiuto
errori gravi di analisi e di scelta tattica, ma da tutti i suoi
scritti, da tutti i suoi atti emana una intelligenza sincera,
generosa, nobile, che lo accomuna più a Gramsci che a Togliatti. E
che comunque gli merita un giudizio più equo e una storia più
onesta di quelli usciti fin qui dal partito comunista togliattiano.
«Storia
Illustrata», n. 189, agosto 1973