Gli
anni Sessanta aprono a sinistra una stagione intentissima di
dibattito e di ricerca. Da Quaderni Piacentini al Potere operaio
pisano è la stagione delle riviste.
Giorgio
Amico
La
stagione delle riviste
L'esempio
di Quaderni rossi è presto seguito. Già dai primissimi anni
Sessanta si apre quella che è stata definita la “stagione delle
riviste” e che per qualità e quantità dei soggetti interessati
rappresenta uno straordinario laboratorio politico-culturale. In
molti casi si tratta di riviste nate in ambito accademico, rivolte
originariamente ad un pubblico specialistico interessato al cinema e
alla letteratura, ma che presto si trasformano in organi di dibattito
sulle potenzialità e i limiti della sinistra, sulle possibili forme
di una cultura radicalmente alternativa e sulle lotte rivoluzionarie
nel Terzo Mondo. E su queste riviste che si discute, si dibatte, si
litiga già dall'inizio del decennio. Un vero incubatore delle
tematiche e delle idee che troveranno poi nel '68 il loro sbocco
naturale. Grazie a queste riviste già dalle prime occupazioni del
1967 il movimento studentesco riesce a uscire dall'università, a
farsi conoscere e dialogare con le altre avanguardie culturali e
politiche. Un fenomeno unico in Europa che contribuisce, coinvolgendo
una platea larghissima di lettori e realtà anche molto lontane
dall'ambito studentesco, alla lunga durata del '68 italiano.
La
più letta e anche la più longeva sarà Quaderni piacentini,
nata nel marzo 1962 ad opera di un gruppo di intellettuali riuniti
attorno a Piergiorgio Bellocchio, oggi unanimemente riconosciuta come
il più importante laboratorio della cultura politica della nuova
sinistra in formazione. Una rivista militante, tanto che i primi
numeri escono ciclostilati, dagli intenti bellicosi, ma anche in
qualche modo allegri che precorre perfettamente quello che sarà lo
spirito del '68: “Vogliamo che questo sia un foglio di
battaglia, portata non solo all'esterno ma anche all'interno.
Ospiteremo testimonianze e opinioni anche contrastanti purchè
impegnate, vive, serie. E vorremmo infine provare che serietà non è
necessariamente solennità e astrattezza. Si può e si deve essere
seri senza essere noiosi. Con allegria”. L'obiettivo da colpire
per Bellocchio & C. è l'industria culturale e QP lo fa con
impegno non privo di ironia, come nel caso della rubrica
indovinatissima sui libri “da non leggere”.
A
partire dal 1964 cresce il prestigio della rivista e anche il suo
impegno politico. Quaderni piacentini smette di fiancheggiare
criticamente la sinistra ufficiale e si schiera decisamente a favore
delle posizioni del Partito comunista cinese. Fra il 1965 e il 1967
la rivista accentua il suo impegno, pubblicando numeri monografici
sulla guerriglia in America Latina e articoli sul movimento
studentesco di cui in breve QP diventa uno dei principali referenti.
Termina le pubblicazioni dopo 89 numeri nell'aprile 1985, in pieno
riflusso politico-culturale quando ormai il mondo a cui fa
riferimento non esiste praticamente più.
Anche
Giovane critica, in origine emanazione del Centro
Universitario Cinematografico di Catania, parte da tematiche
culturali, in questo caso il cinema, per trasformarsi presto in un
organo squisitamente politico. La rivista nasce fra il dicembre 1963
e il gennaio 1964 ad opera di un gruppo di giovani critici
cinematografici fra cui spicca un giovanissimo Giampiero Mughini.
Dopo alcuni numeri interamente dedicati al cinema di avanguardia,
Giovane critica dichiara apertamente la sua vocazione
politica: “Occorre ricostruire – dichiara Mughini – un
discorso sul movimento operaio italiano, la politica del fronte
antifascista, quella – culturale e no – del PCI dopo il '45; e
poi tutto il resto, fino al contrasto russo-cinese”.
Attenta
agli sviluppi della rivoluzione culturale cinese, ma molto critica
del marxismo-leninismo caricaturale dei maoisti italiani (in
particolare Servire il popolo), Giovane critica si
caratterizza per la riproposizione di figure (Victor Serge, Karl
Korsch) e tematiche (la natura capitalistico-statale dell'URSS) in
genere poco trattate nel '68 e per un deciso antistalinismo. Dopo 37
numeri cessa le pubblicazioni nel 1973.
Dal
'65 al '68 esce a Bologna Classe e Stato, diretta da Federico
Stame. Vicina alle posizioni del PSIUP, da cui arrivano molti dei
suoi redattori, la rivista guarda con attenzione a possibili nuove
soggettività rivoluzionarie che vadano oltre una classe operaia
occidentale considerata in larga parte integrata. Si guarda alle
lotte dei neri americani e in particolare all'esperienza delle
Pantere nere, si riprendono le tesi della Monthly Review di
Baran e Sweezy. Il gruppo redazionale finirà poi per confluire, con
esiti tragicomici, nell'Unione dei comunisti italiani m-l di Aldo
Brandirali.
Nel
1965 nasce a Pisa Nuovo impegno come “periodico bimestrale
di letteratura”. L'ambito originario è accademico, i fondatori
sono un gruppo di critici letterari marxisti fra cui spicca la figura
di Romano Luperini, in polemica aperta con il Gruppo
'63, ma fin dai primi numeri emerge un'attenzione rilevante
alla politica. Dal 1966 la rivista si lega al nascente gruppo pisano
del Potere Operaio; sulle sue pagine appaiono i primi
documenti del movimento studentesco (le famose Tesi della
Sapienza) e analisi sulla condizione operaia nelle fabbriche
toscane. Termina le pubblicazioni nel 1977 con il numero 31-32.
Nell'ottobre
1966 esce il primo numero de La Sinistra, mensile (poi dal '68
settimanale) di ispirazione trotskista, tentativo ambizioso di unire
attorno ad un progetto rivoluzionario spezzoni della sinistra
ingraiana e dell'organizzazione giovanile del PSIUP, insieme a
settori della sinistra della CGIL. La Sinistra si caratterizza fin da
subito per il suo appoggio incondizionato al castrismo e diventa,
assieme alle pubblicazioni dell'editore Feltrinelli, il principale
tramite attraverso cui in Italia si afferma e diffonde il mito del
Che e delle guerriglie latinoamericane. Cessa le pubblicazioni
nell'aprile 1968.
Legata
al Gruppo '63 è invece
Quindici, nata per dar voce all'avanguardia artistica e
letteraria contro il gretto provincialismo della cultura italiana. Ne
usciranno in tutto 19 numeri fra il giugno 1967 e l'agosto 1969 e
ospiterà interventi di Umberto Eco, Nanni Balestrini, Alfredo
Giuliani, Edoardo Sanguineti, tanto per citare alcuni dei
collaboratori più illustri. La rivista da molto spazio ai movimenti
di base e alle lotte studentesche e introduce con grande fortuna la
moda di offrire come inserto centrale un poster d'attualità. Tramite
Quindici le foto del Che e di Mao, il manifesto dell'occupazione di
Palazzo Campana e la riproduzione della bandiera vietcong andranno a
decorare le camere di una intera generazione di giovani che, compreso
l'autore di queste righe, spesso l'acquisteranno soprattutto per
quello.
Sempre
nel 1967 nasce a Firenze Ideologie con il sottotitolo Quaderni
di storia contemporanea. Anche qui siamo in un ambito
strettamente accademico, ma il '68 è alle porte e la rivista diventa
a partire dal quinto numero un osservatorio sulle lotte
rivoluzionarie del Terzo Mondo, prima la rivoluzione cubana e le
guerriglie latinoamericane, poi dopo il 1970 la rivoluzione cinese.
Termina le pubblicazioni con il numero 16/17 del 1971.
Il
10 maggio 1967 esce a Pisa il primo numero de Il potere operaio
ad opera di un gruppo di giovani provenienti dalle esperienze di
Quaderni rossi e Classe operaia, ma anche dalla sezione
universitaria di Pisa del PCI, fra cui spiccano Adriano Sofri,
Luciano Della Mea, Gian Mario Cazzaniga. Più che di una rivista
teorica si tratta di un foglio di intervento politico sulle fabbriche
e le scuole. Centrale il tema, mutuato da Panzieri e Tronti,
dell'organizzazione capitalistica del lavoro e della contestazione
del dispotismo padronale in fabbrica. Del giornale, che arriva a
tirare fino a ventimila copie, escono in tutto 19 numeri. Cessa le
pubblicazioni nel luglio 1969, quando il nucleo originario, nel
frattempo trasferitosi a Torino, da vita a Lotta continua.
(Giorgio Amico, Le culture
del Sessantotto, 7)