Gli
anni Sessanta sono anche gli anni della ripresa delle lotte in
fabbrica e nella società. Sul terreno dell'autonomia di classe si
formano le prime avanguardie. Centrale in questo processo è il ruolo
dei Quaderni Rossi. Con Panzieri e Tronti nasce l'operaismo come
corpo teorico e pratica politica.
Giorgio
Amico
Modernizzazione
del lavoro e nuovo conflitto sociale. L'esperienza dei Quaderni Rossi
Gli
anni Sessanta sono anche gli anni della ripresa delle lotte in
fabbrica e nella società, a partire dal luglio '60 e
dall'insurrezione antifascista di Genova e poi nel '62 dalla rivolta
di Piazza Statuto a Torino e dalla grande lotta degli
elettromeccanici milanesi. Primi segnali di un ciclo nuovo di lotte
in cui già dalle forme di insubordinazione e di illegalità diffuse
(le fermate improvvise a “gatto selvaggio”, i picchetti duri, le
occupazioni) emerge il superamento del ciclo sindacale precedente, il
passaggio cioè da una lotta di resistenza come era stata quella
degli anni Cinquanta ad una lotta di massa antagonistica e offensiva
caratterizzata dalla gestione diretta delle agitazioni da parte dei
lavoratori, dalla contestazione aperta del dispotismo padronale e
dalla crescente consapevolezza della natura non neutra ma di classe
dello stato e dei suoi apparati repressivi. Una nuova coscienza di
classe che diventerà prima nelle pagine delle riviste d'area
(Quaderni rossi, Classe operaia) e poi nella lotta
generalizzata del 1969 il tema del Potere Operaio in fabbrica e nella
società.
Un
nuovo ciclo di lotte per una nuova generazione operaia, perché centrale è il dato generazionale. Giovani erano stati i “ragazzi
delle magliette a strisce” che avevano cacciato la Celere da Piazza
De Ferrari a Genova, giovani erano i morti di Reggio Emilia, “sangue
del nostro sangue e nervi dei nostri nervi” come recita una canzone
diventata subito canto di battaglia di quella generazione, giovani
sono gli insorti di Piazza Statuto, definiti “provocatori e
teppisti” dalla stampa di sinistra intimorita dalla radicalità
dell'azione operaia insofferente dell'approccio troppo cauto del
sindacato. Giovani saranno le avanguardie dell'autunno caldo. “Oggi
i giovani non hanno più paura della FIAT” scriverà nel '69
Aris Accornero, giornalista de l'Unità e poi professore di
sociologia industriale alla Sapienza di Roma, che operaio era stato
negli anni Cinquanta e proprio alla FIAT, prima di essere licenziato
per la sua militanza comunista.
É la nuova natura
del lavoro alla catena, deprofessionalizzato e alienante, a spiegare
la radicalità della risposta operaia e l'egualitarismo delle
richieste. Lo descrive bene Alessandro Pizzorno in una sua ricerca di
fine anni Settanta: “Si fa strada in ambienti sindacali e operai in
genere, un diverso, opposto, atteggiamento. Si rifiutano i valori
dell’etica del lavoro, della professionalità della produttività.
[…] Rifiutando questi principi, permette di dare più coerenza e
più assolutezza a pratiche quali gli aumenti eguali per tutti e
l’opposizione a ogni forma di cottimo. Si trattava di un
atteggiamento ideologico che esprimeva bene la posizione dei nuovi
lavoratori comuni, immigrati, privi di possibilità, e anche di
interesse, ad acquisire quelle forme di professionalità ancora
possibili, ma sempre più rare nell’industria”.
I
Quaderni rossi e il filone operaista
Chi
meglio e per prima coglie questa nuova realtà, con esiti teorici e
politici in totale controtendenza rispetto alle organizzazioni
politiche e sindacali del movimento operaio, è la rivista Quaderni
rossi frutto dell'iniziativa di Raniero Panzieri e di un gruppo
di intellettuali formatisi nel PSI, nel PCI, nella CGIL e persino
nella gioventù valdese.
I
Quaderni rossi nascono nel settembre 1961 dalla consapevolezza
delle insufficienze teoriche e organizzative del movimento operaio
ufficiale, prigioniero di vecchi schemi e incapace di confrontarsi
con i problemi posti dal processo di razionalizzazione
neocapitalistica in corso. Una mancanza di “strategia” che
accomuna i grandi partiti (PCI e PSI) e le piccole e frammentate
organizzazioni rivoluzionarie (trotskisti, bordighisti, “azionisti”
del Movimento della Sinistra comunista). Anche chi, come Galvano
Della Volpe, ha tentato dopo il 1956 e la crisi dello stalinismo una
rilettura critica del marxismo come analisi scientifica della realtà
e non come ideologia, non è riuscito poi ad applicare gli esiti di
questa ricerca alla società, rimanendo nei fatti politicamente
sterile e incapace di additare una via di uscita dall'immobilismo
della sinistra.
Per
Panzieri occorre combattere le tesi sottosviluppiste di chi continua
a vedere l'Italia come un paese arretrato, ma anche la cecità di chi
non vede come pianificazione e uso capitalistico della tecnologia e
dell'organizzazione del lavoro portino non ad una maggiore
democrazia, ma ad una crescita del dispotismo capitalistico nella
fabbrica e nella società. Entrambe le visioni, sia quella comunista
delle riforme di struttura, sia quella socialista della
pianificazione democratica, sfociano poi in un gradualismo
politico, incapace di cogliere davvero la centralità della
questione del potere e di valorizzare in senso rivoluzionario la
nuova spinta all'insubordinazione proveniente dalle fabbriche e la
richiesta di controllo “dal basso” dei processi produttivi su cui
la classe si ricompone come soggetto radicalmente alternativo al
potere del capitale.
Una
subalternità politica e un immobilismo che va superato tornando
senza paura a fare politica in fabbrica. Ma occorre preparazione e
chiarezza di idee. Da qui l'importanza della conoscenza dei
meccanismi di dominio capitalistico nella fabbrica e nella società.
I libri e i dibattiti sulle riviste non bastano. I tempi sono
cambiati e richiedono nuove modalità di intervento. Ne deriva il
recupero della sociologia e l'adozione del metodo dell'inchiesta
operaia portata avanti congiuntamente da intellettuali esterni e
avanguardie di fabbrica come chiave per assumere consapevolezza sia
delle caratteristiche nuove del moderno potere capitalistico (il
piano del capitale) che dell'esigenza storica e della possibilità
concreta del suo rovesciamento (il contropiano operaio).
Piano del capitale e
contropiano operaio sono anche gli assi della riflessione di Mario
Tronti per il quale proprio la lotta di classe operaia ha costretto
il capitalista a modificare la forma del suo dominio. Mentre per
Panzieri le nuove rivendicazioni operaie non“recano immediatamente
un contenuto politico rivoluzionario né implicano uno sviluppo
automatico nello stesso senso”, per Tronti le condizioni della
rivoluzione sono già poste dallo sviluppo stesso e giustificano
dunque un intervento organizzato nelle lotte al fine di collegarle e
indirizzarle nella prospettiva del potere.
Nel 1964 il gruppo romano
(Tronti, Asor Rosa) e quello veneto (Negri) dei Quaderni rossi creano
Classe operaia. Giornale politico mensile degli operai in lotta,
destinato a fungere da organizzatore collettivo della crescente
insubordinazione proletaria. Le due esperienze, quella dei Quaderni
Rossi e quella di Classe operaia, sono già in crisi nel 1967, ma
insieme pongono le basi teoriche e politiche di quella che sarà già
l'anno successivo la tendenza movimentista maggioritaria nelle
occupazioni delle università di Torino, Roma, Trento, Venezia, Pisa,
Firenze, Bologna, Padova per poi influenzare in modo decisivo il
passaggio, che si rivelerà molto critico, da un Movimento
studentesco genericamente contestatore alla nuova realtà
iper-ideologica dei partitini della nuova sinistra.
Proprio
l'assolutizzazione del tema di matrice trontiana della centralità
operaia caratterizzerà infatti le vicende del cosiddetto filone
operaista sia nella versione volontarista e movimentista di Lotta
continua che in quella insurrezionalista di Potere operaio e poi
della cosiddetta Autonomia operaia. Sviluppi che Panzieri, morto
tragicamente a 43 anni nell'ottobre 1964, non vedrà, mentre Tronti,
rientrato per tempo nel PCI, concluderà il suo lungo percorso
politico come senatore della Repubblica per il Partito Democratico
della Sinistra.
(Giorgio Amico, Le
culture del Sessantotto, 6)