Giorgio Galli, autore già nei primi anni cinquanta di una storia controcorrente del PCI che
riscopriva il ruolo fondamentale svolto da Bordiga nel 1921, in
occasione della morte del vecchio esponente comunista napoletano
provò a valutarne l'opera anche alla luce dei fermenti rivoluzionari
del 1968-1970. Un ricordo non di maniera, ricco di spunti
interessanti.
Giorgio Galli
L' «invarianza» di
Amadeo Bordiga
Amadeo Bordiga si è
spento a cavallo di un periodo che avrebbe potuto consentirgli una
estrema verifica delle tesi che aveva tenacemente sostenuto per quasi
sei decenni nel movimento comunista internazionale.
E' il periodo
caratterizzato, alla fine degli anni sessanta, da una ripresa di
posizioni rivoluzionarie sul piano teorico e contemporaneamente da
una certa ripresa di lotte operaie. Un periodo i cui primi documenti
di tipo nuovo sono quelli che emergono dalla situazione scolastica e
dal movimento studentesco; e che presentano singolari analogie con
uno dei primi testi che già nel lontano 1912 esprimono la posizione
di Bordiga nel movimento socialista.
Siamo al Congresso di
Bologna della federazione giovanile socialista, contemporaneo a
quello di Reggio Emilia del PSI che segna la vittoria di quella
tendenza di sinistra massimalista/rivoluzionaria che ha il suo
capofila in Benito Mussolini.
Anche a Bologna la
sinistra si caratterizza con un documento alla cui redazione Bordiga
contribuisce in modo determinante e che afferma: «Il congresso,
considerando che in regime capitalista la scuola rappresenta un'arma
potente e di conservazione nelle mani della classe dominante, la
quale tende a dare ai giovani una educazione che li renda ligi e
rassegnati al regime attuale, e impedisca loro di scorgerne le
essenziali contraddizioni; rilevando quindi il carattere artificioso
della cultura attuale e degli insegnamenti ufficiali, in tutte le
loro fasi successive, e ritenendo che nessuna fiducia sia da
attribuirsi ad una riforma della scuola in senso laico o democratico;
riconoscendo che scopo del movimento nostro è contrapporsi ai
sistemi di educazione della borghesia, creando dei giovani
intellettualmente liberi da ogni forma di pregiudizio, decisi a
lavorare alla trasformazione delle basi economiche della società,
pronti a sacrificare all'azione rivoluzionaria ogni interesse
individuale... crede che, come i giovani troveranno in tutte le
agitazioni di classe del proletariato il terreno migliore per lo
sviluppo della loro coscienza rivoluzionaria, così le organizzazioni
operaie potranno attingere dalla attiva collaborazione dei loro
elementi più giovani e ardenti quella fede socialista che sola può
e deve salvarle dalle degenerazioni utilitarie e corporativiste;
afferma in conclusione che l'educazione dei giovani si fa più
nell'azione che nello studio regolato da sistemi e norme quasi
burocratiche».
E' facile scorgere in
queste formulazioni analogie chiarissime con le posizioni del
movimento studentesco nel 1967/68 contro la scuola di classe, contro
le riforme in senso laico e democratico, per il trasferimento
nell'agitazione di classe della prassi inizialmente avviata
nell'università.
Ma proprio a questo punto
si ripropone, nel 1969/70, quel tema della saldatura tra posizioni
rivoluzionarie d'avanguardia e movimento di classe nel suo complesso,
che è sempre stato il problema impostato, ma non risolto, dalle
tendenze di sinistra del movimento socialista prima e comunista poi,
tendenze tra le quali quella che ha preso il nome da Amadeo Bordiga
appare forse la più lucida e conseguente sul piano logico.
Saldatasi coi gruppi
vecchi e nuovi della sinistra (dal libertarismo al
marxismo-leninismo), l'avanguardia formatasi nel movimento
studentesco è il fermento iniziale, nell'autunno-inverno 1968/69,
della ripresa delle lotte operaie nelle fabbriche: Ma questa ripresa,
al suo massimo sviluppo, un anno più tardi, viene controllata e
gestita dai sindacati, mentre sul piano politico la nuova sinistra
extra-parlamentare non riesce a fare delle lotte di massa una
condizione efficace per porre solide radici nelle fabbriche.
Anche perchè questa
nuova sinistra si presenta divisa in una molteplicità di componenti,
le distinzioni tra le quali sono sovente inafferrabili non solo dagli
operai, ma sinanco dai loro militanti, così come diviso in piccoli
tronconi si presenta la tendenza che nel 1945 si era riorganizzata
proprio attorno ad Amadeo Bordiga col nome di partito comunista
internazionalista.
In questo senso
l'esperienza della nuova sinistra e dello stesso cosiddetto
bordighismo della fine degli anni sessanta rimane molto al di qua di
quella della sinistra italiana che ebbe in Bordiga il teorico ed il
leader, espressioni che egli profondamente disprezzava, ma che
valgono, comunque, a definire un ruolo.
La sinistra italiana,
infatti, esercita una influenza politica importante prima nell'ambito
del partito socialista e poi nel processo di fondazione del partito
comunista d'Italia e nei dibattiti che si svolgono all'inizio degli
anni venti, nella Terza Internazionale. Riesce ad essere una forza
politica certamente minoritaria nel movimento di classe, ma ad esso
saldamente collegata ed accumula un patrimonio di esperienze
teorico-pratico di vasta portata che filtrando attraverso i decenni,
giungeranno come si è detto, alla nuova sinistra degli anni
sessanta.
Ma questa sinistra non
riesce ad arrivare allo stesso livello di consistenza politica ed
organizzativa. Né il Bordiga degli ultimi anni sembra in grado di
dedicare ad un fenomeno che pure si ricollega, nella modalità di
partenza, alle sue prime esperienze politiche, riflessioni che non
siano la ripetizione di un connotato fondamentale di quello che è
stato definito bordighismo e che probabilmente rappresenta anche il
suo limite.
Questo connotato è
quello che lo stesso Bordiga definì la «invarianza» del marxismo.
Egli la richiamò nel 1963, nella presentazione del documento del
1912, allorché, riferendosi alla posizione diversa dalla sua
rappresentata a quel congresso soprattutto da Angelo Tasca, affermò:
«Oggi, oltre a confermarci che le (nostre) argomentazioni partivano
da genuina posizione marxista, possiamo verificare che si ebbe allora
(nella posizione di Tasca) un manifesto avanti lettera
dell'ordinovismo di marca torinese... e del sistema che vede il
socialismo costruito entro la fabbrica e lo stato capitalista - nuova
versione dell'opportunismo e del collaborazionismo di sempre. La
'invariante' dottrina di Marx permise di vedere il punto nello stesso
modo a cavallo di mezzo secolo... Gramsci ha poi riconosciuto in
Tasca... il precursore del suo sistema, malgrado il successivo
dissidio».
Bordiga ha descritto in
testi bellissimi in che cosa consista la «invarianza» del marxismo,
il nucleo di una concezione che persiste oltre tutte le
interpretazioni e i revisionismi. Ma - forse con la eccezione del
1920/21 - non ha mai voluto attribuire importanza al fatto che nel
movimento politico reale confluiscono interpretazioni diverse, anche
tra i rivoluzionari, di quella stessa «invarianza». O forse più
esattamente: Bordiga ha attribuito importanza a questo fenomeno, ma
solo come fenomeno negativo. Ha sempre ritenuto che il ribadire i
principi dell'invarianza (il programma) sia la modalità tipica
dell'azione politica rivoluzionaria. E infatti coi suoi compagni
chiamò «il programma comunista» l'organo di coloro che rimasero
con lui dopo la prima scissione del partito comunista
internazionalista nel 1951.
Il processo storico,
l'azione di classe, può portare alla fusione su posizioni in senso
lato rivoluzionarie, di gruppetti con esperienze teoriche e pratiche
diverse. Questa è l'esperienza reale della rivoluzione russa tra il
febbraio e l'ottobre del 1917 ed è anche l'esperienza del processo
di formazione nel Partito comunista d'Italia. E appunto in questo
stesso periodo Bordiga sembra fare una eccezione alla sua rigidità
interpretativa, accettando un processo di fusione con gli ordinovisti
e con altre componenti della sinistra socialista.
Se questa era la
situazione attorno agli anni venti, essa è divenuta enormemente più
complessa mezzo secolo più tardi. La parziale riscossa della
sinistra nella seconda metà degli anni sessanta è avvenuta
all'insegna dei «gruppetti». Erano questi, le sole
micro-istituzioni rimaste alla sinistra rivoluzionaria dagli anni
della involuzione e dissoluzione della Terza Internazionale. Se i
«gruppetti» erano la realtà, questa realtà era però suscettibile
di una evoluzione nel senso della progressiva convergenza o
della ulteriore proliferazione.
Ha prevalso questa
seconda tendenza, come in altri momenti importanti della storia della
sinistra europea dopo gli anni venti. Allo studio delle cause di
questa prevalenza nessuno mi pare si sia accinto ed uno degli uomini
più dotati per farlo, Amadeo Bordiga appunto, riteneva che il
problema non esistesse, che fosse risolto dall'affermazione della
«invarianza» del marxismo, dei suoi principi, del suo programma. Ha
affidato questa sua convinzione ad una scadenza, alla metà degli
anni settanta, per i quali ha previsto il maturarsi di una nuova
gigantesca crisi dell'equilibrio europeo. Ci lascia dunque un
punto di riferimento sufficientemente preciso e sufficientemente
vicino per verificare la validità di una posizione e di una
interpretazione che ha sostenuto, con coerenza unica, in oltre
sessant'anni di impegno politico.
Critica Sociale, n.
16-17, 5 settembre 1970
(In ricordo di Sandro
Saggioro e del suo sito “Avanti barbari!”)