TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


mercoledì 5 dicembre 2018

Giorgio Galli, L' «invarianza» di Amadeo Bordiga




Giorgio Galli, autore già nei primi anni cinquanta di una storia controcorrente del PCI che riscopriva il ruolo fondamentale svolto da Bordiga nel 1921, in occasione della morte del vecchio esponente comunista napoletano provò a valutarne l'opera anche alla luce dei fermenti rivoluzionari del 1968-1970. Un ricordo non di maniera, ricco di spunti interessanti.

Giorgio Galli

L' «invarianza» di Amadeo Bordiga

Amadeo Bordiga si è spento a cavallo di un periodo che avrebbe potuto consentirgli una estrema verifica delle tesi che aveva tenacemente sostenuto per quasi sei decenni nel movimento comunista internazionale.

E' il periodo caratterizzato, alla fine degli anni sessanta, da una ripresa di posizioni rivoluzionarie sul piano teorico e contemporaneamente da una certa ripresa di lotte operaie. Un periodo i cui primi documenti di tipo nuovo sono quelli che emergono dalla situazione scolastica e dal movimento studentesco; e che presentano singolari analogie con uno dei primi testi che già nel lontano 1912 esprimono la posizione di Bordiga nel movimento socialista.

Siamo al Congresso di Bologna della federazione giovanile socialista, contemporaneo a quello di Reggio Emilia del PSI che segna la vittoria di quella tendenza di sinistra massimalista/rivoluzionaria che ha il suo capofila in Benito Mussolini.

Anche a Bologna la sinistra si caratterizza con un documento alla cui redazione Bordiga contribuisce in modo determinante e che afferma: «Il congresso, considerando che in regime capitalista la scuola rappresenta un'arma potente e di conservazione nelle mani della classe dominante, la quale tende a dare ai giovani una educazione che li renda ligi e rassegnati al regime attuale, e impedisca loro di scorgerne le essenziali contraddizioni; rilevando quindi il carattere artificioso della cultura attuale e degli insegnamenti ufficiali, in tutte le loro fasi successive, e ritenendo che nessuna fiducia sia da attribuirsi ad una riforma della scuola in senso laico o democratico; riconoscendo che scopo del movimento nostro è contrapporsi ai sistemi di educazione della borghesia, creando dei giovani intellettualmente liberi da ogni forma di pregiudizio, decisi a lavorare alla trasformazione delle basi economiche della società, pronti a sacrificare all'azione rivoluzionaria ogni interesse individuale... crede che, come i giovani troveranno in tutte le agitazioni di classe del proletariato il terreno migliore per lo sviluppo della loro coscienza rivoluzionaria, così le organizzazioni operaie potranno attingere dalla attiva collaborazione dei loro elementi più giovani e ardenti quella fede socialista che sola può e deve salvarle dalle degenerazioni utilitarie e corporativiste; afferma in conclusione che l'educazione dei giovani si fa più nell'azione che nello studio regolato da sistemi e norme quasi burocratiche».


E' facile scorgere in queste formulazioni analogie chiarissime con le posizioni del movimento studentesco nel 1967/68 contro la scuola di classe, contro le riforme in senso laico e democratico, per il trasferimento nell'agitazione di classe della prassi inizialmente avviata nell'università.

Ma proprio a questo punto si ripropone, nel 1969/70, quel tema della saldatura tra posizioni rivoluzionarie d'avanguardia e movimento di classe nel suo complesso, che è sempre stato il problema impostato, ma non risolto, dalle tendenze di sinistra del movimento socialista prima e comunista poi, tendenze tra le quali quella che ha preso il nome da Amadeo Bordiga appare forse la più lucida e conseguente sul piano logico.

Saldatasi coi gruppi vecchi e nuovi della sinistra (dal libertarismo al marxismo-leninismo), l'avanguardia formatasi nel movimento studentesco è il fermento iniziale, nell'autunno-inverno 1968/69, della ripresa delle lotte operaie nelle fabbriche: Ma questa ripresa, al suo massimo sviluppo, un anno più tardi, viene controllata e gestita dai sindacati, mentre sul piano politico la nuova sinistra extra-parlamentare non riesce a fare delle lotte di massa una condizione efficace per porre solide radici nelle fabbriche.

Anche perchè questa nuova sinistra si presenta divisa in una molteplicità di componenti, le distinzioni tra le quali sono sovente inafferrabili non solo dagli operai, ma sinanco dai loro militanti, così come diviso in piccoli tronconi si presenta la tendenza che nel 1945 si era riorganizzata proprio attorno ad Amadeo Bordiga col nome di partito comunista internazionalista.

In questo senso l'esperienza della nuova sinistra e dello stesso cosiddetto bordighismo della fine degli anni sessanta rimane molto al di qua di quella della sinistra italiana che ebbe in Bordiga il teorico ed il leader, espressioni che egli profondamente disprezzava, ma che valgono, comunque, a definire un ruolo.

La sinistra italiana, infatti, esercita una influenza politica importante prima nell'ambito del partito socialista e poi nel processo di fondazione del partito comunista d'Italia e nei dibattiti che si svolgono all'inizio degli anni venti, nella Terza Internazionale. Riesce ad essere una forza politica certamente minoritaria nel movimento di classe, ma ad esso saldamente collegata ed accumula un patrimonio di esperienze teorico-pratico di vasta portata che filtrando attraverso i decenni, giungeranno come si è detto, alla nuova sinistra degli anni sessanta.

Ma questa sinistra non riesce ad arrivare allo stesso livello di consistenza politica ed organizzativa. Né il Bordiga degli ultimi anni sembra in grado di dedicare ad un fenomeno che pure si ricollega, nella modalità di partenza, alle sue prime esperienze politiche, riflessioni che non siano la ripetizione di un connotato fondamentale di quello che è stato definito bordighismo e che probabilmente rappresenta anche il suo limite.

Questo connotato è quello che lo stesso Bordiga definì la «invarianza» del marxismo. Egli la richiamò nel 1963, nella presentazione del documento del 1912, allorché, riferendosi alla posizione diversa dalla sua rappresentata a quel congresso soprattutto da Angelo Tasca, affermò: «Oggi, oltre a confermarci che le (nostre) argomentazioni partivano da genuina posizione marxista, possiamo verificare che si ebbe allora (nella posizione di Tasca) un manifesto avanti lettera dell'ordinovismo di marca torinese... e del sistema che vede il socialismo costruito entro la fabbrica e lo stato capitalista - nuova versione dell'opportunismo e del collaborazionismo di sempre. La 'invariante' dottrina di Marx permise di vedere il punto nello stesso modo a cavallo di mezzo secolo... Gramsci ha poi riconosciuto in Tasca... il precursore del suo sistema, malgrado il successivo dissidio».


Bordiga ha descritto in testi bellissimi in che cosa consista la «invarianza» del marxismo, il nucleo di una concezione che persiste oltre tutte le interpretazioni e i revisionismi. Ma - forse con la eccezione del 1920/21 - non ha mai voluto attribuire importanza al fatto che nel movimento politico reale confluiscono interpretazioni diverse, anche tra i rivoluzionari, di quella stessa «invarianza». O forse più esattamente: Bordiga ha attribuito importanza a questo fenomeno, ma solo come fenomeno negativo. Ha sempre ritenuto che il ribadire i principi dell'invarianza (il programma) sia la modalità tipica dell'azione politica rivoluzionaria. E infatti coi suoi compagni chiamò «il programma comunista» l'organo di coloro che rimasero con lui dopo la prima scissione del partito comunista internazionalista nel 1951.

Il processo storico, l'azione di classe, può portare alla fusione su posizioni in senso lato rivoluzionarie, di gruppetti con esperienze teoriche e pratiche diverse. Questa è l'esperienza reale della rivoluzione russa tra il febbraio e l'ottobre del 1917 ed è anche l'esperienza del processo di formazione nel Partito comunista d'Italia. E appunto in questo stesso periodo Bordiga sembra fare una eccezione alla sua rigidità interpretativa, accettando un processo di fusione con gli ordinovisti e con altre componenti della sinistra socialista.

Se questa era la situazione attorno agli anni venti, essa è divenuta enormemente più complessa mezzo secolo più tardi. La parziale riscossa della sinistra nella seconda metà degli anni sessanta è avvenuta all'insegna dei «gruppetti». Erano questi, le sole micro-istituzioni rimaste alla sinistra rivoluzionaria dagli anni della involuzione e dissoluzione della Terza Internazionale. Se i «gruppetti» erano la realtà, questa realtà era però suscettibile di una evoluzione  nel senso della progressiva convergenza o della ulteriore proliferazione.

Ha prevalso questa seconda tendenza, come in altri momenti importanti della storia della sinistra europea dopo gli anni venti. Allo studio delle cause di questa prevalenza nessuno mi pare si sia accinto ed uno degli uomini più dotati per farlo, Amadeo Bordiga appunto, riteneva che il problema non esistesse, che fosse risolto dall'affermazione della «invarianza» del marxismo, dei suoi principi, del suo programma. Ha affidato questa sua convinzione ad una scadenza, alla metà degli anni settanta, per i quali ha previsto il maturarsi di una nuova gigantesca crisi dell'equilibrio  europeo. Ci lascia dunque un punto di riferimento sufficientemente preciso e sufficientemente vicino per verificare la validità di una posizione e di una interpretazione che ha sostenuto, con coerenza unica, in oltre sessant'anni di impegno politico.

Critica Sociale, n. 16-17, 5 settembre 1970

(In ricordo di Sandro Saggioro e del suo sito “Avanti barbari!”)