Inaugurato il 31
ottobre il nuovo Museo storico valdese, racconta le vicende dei
seguaci di Pietro Valdo dal Medioevo al Novecento.
Luciano Del Sette
La storia antica dei
Valdesi
Lo scorso anno, secondo
il quotidiano Il sole 24ore, oltre cinquecentomila italiani hanno
versato l’otto per mille ai valdesi. Un quarto rispetto ai due
milioni e più che hanno scelto la chiesa cattolica. Ma in Italia i
valdesi dichiarati sono circa ventiseimila, contro i quarantacinque
milioni di cattolici.
Perché, allora,
guardando la proporzione delle cifre, gli eredi della parola di
Pietro Valdo, che anticipò di tre decenni san Francesco nel
predicare il ritorno della chiesa alla povertà e di tre secoli e
mezzo le Tesi di Martin Lutero, piacciono così tanto a chi pratica
un’altra fede, è agnostico, o addirittura ateo?
Nel 2010, sul mensile
Micromega, all’interno di un articolo molto polemico nei confronti
di quello che definiva «Un balzello clericale che arricchisce la
Chiesa gerarchica come Mammona e viola sfacciatamente il principio di
laicità dello Stato», il filosofo Paolo Flores d’Arcais scriveva
«C’è però già la possibilità, per quanto possa suonare
paradossale, di combattere il clericalismo con la religione. Esiste
infatti una confessione religiosa che si impegna solennemente – e
fornisce tutti gli strumenti di controllo – a utilizzare la sua
quota di otto per mille esclusivamente per opere di beneficenza o
promozione culturale, puntualmente elencate, e di non spendere
neppure un euro per i propri pastori d’anime o per le strutture
materiali delle proprie chiese».
I valdesi, appunto, la
cui storia lunga otto secoli è storia di scomuniche, stermini,
esili, clandestinità, ghettizzazioni, terminati in Italia con la
promulgazione, il 17 febbraio del 1848, delle Patenti Albertine, che
sancivano: “I Valdesi sono ammessi a godere di tutti i diritti
civili e politici de’ Nostri sudditi; a frequentare le scuole
dentro e fuori delle Università, ed a conseguire i gradi
accademici”.
In un popolo che così
tanto e per così tanto tempo aveva lottato per la propria libertà,
era dunque naturale germogliasse il seme della solidarietà, della
difesa, del soccorso verso i poveri e gli emarginati. E diventasse
altrettanto naturale schierarsi dalla parte delle minoranze, contro
ogni tipo di discriminazione.
Torre Pellice. Centro Culturale Valdese
Se anche voi avete
firmato il vostro otto per mille a favore dei valdesi, allora vi
suggeriamo un viaggio di conoscenza, un piccolo Grand Tour, che ha
come meta principale la cittadina piemontese di Torre Pellice, la
Ginevra italiana secondo la definizione di Edmondo De Amicis
in Viaggio alle porte d’Italia. A Torre, ‘capitale’ delle
valli valdesi – Pellice, Chisone e Germanasca – sono molti i nomi
delle vie, i monumenti, gli edifici, i dintorni, che raccontano il
cammino da Valdo alle Patenti Albertine e ne ricordano i
protagonisti: tra di loro il guerrigliero Giosuè Gianavello, XVII
secolo, e il benefattore inglese John Charles Beckwith, generale alla
battaglia di Waterloo.
Il
31 ottobre del 1517 Martin Lutero affisse sul portale della
Schlosskirke di Wittemberg le novantacinque Tesi con cui chiedeva di
fermare la scandalosa pratica delle indulgenze. Quella data divenne
in seguito celebrazione europea del Giorno della Riforma. Non è
perciò un caso che Torre Pellice abbia scelto il 31 ottobre scorso
per l’apertura del nuovo Museo Storico Valdese.
In principio, era il
1889, bicentenario del Glorioso Rimpatrio dei valdesi dall’esilio
svizzero sotto il comando del pastore combattente Henri Arnaud, il
museo venne allestito al secondo piano della Casa Valdese, e
cinquant’anni più tardi trasferito nei locali della Foresteria.
Qui rimase fino al 1989.
Con il terzo centenario
del Rimpatrio, la Tavola Valdese e la Società di Studi Valdesi
decisero, infatti, di creare la Fondazione Centro Culturale
Valdese, finalizzata a gestire la Biblioteca, l’Archivio
fotografico e il patrimonio museale, collocandoli nell’edificio
dell’ex Convitto. Con pochissimi mezzi e tanta buona volontà, gli
ambienti furono adattati a ospitare ricostruzioni, parte dei cimeli,
stampe, foto, materiali documentari e di carattere etnografico. Per
dirla in totale franchezza, un modesto museo che si limitava ad
adempiere con dignità ai suoi compiti.
Il progetto degli
architetti Margherita Bert e Massimo Venegoni, già autori degli
interventi sugli spazi espositivi del Forte di Bard, Valle d’Aosta,
è andato ben oltre il puro ripensamento estetico e funzionale.
Spiega il direttore Davide Rosso «Non ci siamo limitati a un
semplice riallestimento basato su strumenti più moderni, ma abbiamo
pensato un nuovo museo, rappresentazione della comunità e al
medesimo tempo ‘autoriale’, che per ciascun periodo ha avuto uno
o più studiosi a curarne i contenuti».
Beidane
Entriamoci allora,
scoprendo subito che il filo narrativo intreccia il proverbiale
rigore valdese, in questo caso storico e scientifico, con la capacità
di emozionare, sorprendere, incuriosire. Il visitatore attraversa le
vicende valdesi dal Medioevo al Novecento avvolto un involucro di
architetture, prospettive, colori, luci, vetrine, mappe, immagini,
suoni.
Le dimensioni delle sale
sono volutamente contenute, volutamente pochi sono i reperti ospitati
all’interno di ciascuna insieme ai pannelli didattici. Quasi un
invito al raccoglimento per meglio comprendere e apprezzare. Ad
esempio la prima edizione della Bibbia di Olivetano, una delle
centodieci Cinquecentine della Riforma, parte di un fondo librario
donato alla Biblioteca nella seconda metà dell’800 da tale Don
Simpsons, la cui identità rimane tuttora sconosciuta.
Poi le armi della
resistenza e del Rimpatrio: la beidana, sorta di machete ricavato da
una roncola, e la colubrina usata da Gianavello. Racconta Rosso
«Giosuè convinse un artigiano a fabbricarne altre per le sue
truppe, ma siccome non pagava, la fornitura si interruppe». Mai
aveva trovato posto nel museo precedente il vessillo seicentesco
della famiglia di Henri Arnaud, in mostra con altre bandiere.
Curiosi e preziosi la
gamba di legno che sostituì l’arto perduto da Beckwith a Waterloo,
il volume dell’Histoire Remarquable des vaudois, gli stendardi
azzurro e oro realizzati in omaggio a Carlo Alberto e a Roma
capitale.
È cronaca tanto più
drammatica nella sua asciuttezza, la sezione che documenta il popolo
valdese negli anni del nazifascismo. L’ultima tappa, gradino dopo
gradino, raggiunge la torretta panoramica affacciata sulle valli,
dove tutto è iniziato e neppure le persecuzioni più feroci hanno
saputo cancellare. Un mondo cui Umberto Eco, cittadino onorario di
Torre Pellice, aveva pensato, nel 1982, di dedicare un romanzo. Non
se ne fece nulla. Ma l’otto per mille che lo scrittore dichiarò di
destinare sempre ai valdesi, rimane comunque una pagina di notevole
valore.
Il Manifesto/Alias – 1 dicembre 2018