TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 21 dicembre 2018

La storia antica dei Valdesi




Inaugurato il 31 ottobre il nuovo Museo storico valdese, racconta le vicende dei seguaci di Pietro Valdo dal Medioevo al Novecento.

Luciano Del Sette

La storia antica dei Valdesi

Lo scorso anno, secondo il quotidiano Il sole 24ore, oltre cinquecentomila italiani hanno versato l’otto per mille ai valdesi. Un quarto rispetto ai due milioni e più che hanno scelto la chiesa cattolica. Ma in Italia i valdesi dichiarati sono circa ventiseimila, contro i quarantacinque milioni di cattolici.

Perché, allora, guardando la proporzione delle cifre, gli eredi della parola di Pietro Valdo, che anticipò di tre decenni san Francesco nel predicare il ritorno della chiesa alla povertà e di tre secoli e mezzo le Tesi di Martin Lutero, piacciono così tanto a chi pratica un’altra fede, è agnostico, o addirittura ateo?

Nel 2010, sul mensile Micromega, all’interno di un articolo molto polemico nei confronti di quello che definiva «Un balzello clericale che arricchisce la Chiesa gerarchica come Mammona e viola sfacciatamente il principio di laicità dello Stato», il filosofo Paolo Flores d’Arcais scriveva «C’è però già la possibilità, per quanto possa suonare paradossale, di combattere il clericalismo con la religione. Esiste infatti una confessione religiosa che si impegna solennemente – e fornisce tutti gli strumenti di controllo – a utilizzare la sua quota di otto per mille esclusivamente per opere di beneficenza o promozione culturale, puntualmente elencate, e di non spendere neppure un euro per i propri pastori d’anime o per le strutture materiali delle proprie chiese».

I valdesi, appunto, la cui storia lunga otto secoli è storia di scomuniche, stermini, esili, clandestinità, ghettizzazioni, terminati in Italia con la promulgazione, il 17 febbraio del 1848, delle Patenti Albertine, che sancivano: “I Valdesi sono ammessi a godere di tutti i diritti civili e politici de’ Nostri sudditi; a frequentare le scuole dentro e fuori delle Università, ed a conseguire i gradi accademici”.

In un popolo che così tanto e per così tanto tempo aveva lottato per la propria libertà, era dunque naturale germogliasse il seme della solidarietà, della difesa, del soccorso verso i poveri e gli emarginati. E diventasse altrettanto naturale schierarsi dalla parte delle minoranze, contro ogni tipo di discriminazione.

    Torre Pellice. Centro Culturale Valdese

Se anche voi avete firmato il vostro otto per mille a favore dei valdesi, allora vi suggeriamo un viaggio di conoscenza, un piccolo Grand Tour, che ha come meta principale la cittadina piemontese di Torre Pellice, la Ginevra italiana secondo la definizione di Edmondo De Amicis in Viaggio alle porte d’Italia. A Torre, ‘capitale’ delle valli valdesi – Pellice, Chisone e Germanasca – sono molti i nomi delle vie, i monumenti, gli edifici, i dintorni, che raccontano il cammino da Valdo alle Patenti Albertine e ne ricordano i protagonisti: tra di loro il guerrigliero Giosuè Gianavello, XVII secolo, e il benefattore inglese John Charles Beckwith, generale alla battaglia di Waterloo.

Il 31 ottobre del 1517 Martin Lutero affisse sul portale della Schlosskirke di Wittemberg le novantacinque Tesi con cui chiedeva di fermare la scandalosa pratica delle indulgenze. Quella data divenne in seguito celebrazione europea del Giorno della Riforma. Non è perciò un caso che Torre Pellice abbia scelto il 31 ottobre scorso per l’apertura del nuovo Museo Storico Valdese.

In principio, era il 1889, bicentenario del Glorioso Rimpatrio dei valdesi dall’esilio svizzero sotto il comando del pastore combattente Henri Arnaud, il museo venne allestito al secondo piano della Casa Valdese, e cinquant’anni più tardi trasferito nei locali della Foresteria. Qui rimase fino al 1989.

Con il terzo centenario del Rimpatrio, la Tavola Valdese e la Società di Studi Valdesi decisero, infatti, di creare la Fondazione Centro Culturale Valdese, finalizzata a gestire la Biblioteca, l’Archivio fotografico e il patrimonio museale, collocandoli nell’edificio dell’ex Convitto. Con pochissimi mezzi e tanta buona volontà, gli ambienti furono adattati a ospitare ricostruzioni, parte dei cimeli, stampe, foto, materiali documentari e di carattere etnografico. Per dirla in totale franchezza, un modesto museo che si limitava ad adempiere con dignità ai suoi compiti.

Il progetto degli architetti Margherita Bert e Massimo Venegoni, già autori degli interventi sugli spazi espositivi del Forte di Bard, Valle d’Aosta, è andato ben oltre il puro ripensamento estetico e funzionale. Spiega il direttore Davide Rosso «Non ci siamo limitati a un semplice riallestimento basato su strumenti più moderni, ma abbiamo pensato un nuovo museo, rappresentazione della comunità e al medesimo tempo ‘autoriale’, che per ciascun periodo ha avuto uno o più studiosi a curarne i contenuti».

    Beidane

Entriamoci allora, scoprendo subito che il filo narrativo intreccia il proverbiale rigore valdese, in questo caso storico e scientifico, con la capacità di emozionare, sorprendere, incuriosire. Il visitatore attraversa le vicende valdesi dal Medioevo al Novecento avvolto un involucro di architetture, prospettive, colori, luci, vetrine, mappe, immagini, suoni.

Le dimensioni delle sale sono volutamente contenute, volutamente pochi sono i reperti ospitati all’interno di ciascuna insieme ai pannelli didattici. Quasi un invito al raccoglimento per meglio comprendere e apprezzare. Ad esempio la prima edizione della Bibbia di Olivetano, una delle centodieci Cinquecentine della Riforma, parte di un fondo librario donato alla Biblioteca nella seconda metà dell’800 da tale Don Simpsons, la cui identità rimane tuttora sconosciuta.

Poi le armi della resistenza e del Rimpatrio: la beidana, sorta di machete ricavato da una roncola, e la colubrina usata da Gianavello. Racconta Rosso «Giosuè convinse un artigiano a fabbricarne altre per le sue truppe, ma siccome non pagava, la fornitura si interruppe». Mai aveva trovato posto nel museo precedente il vessillo seicentesco della famiglia di Henri Arnaud, in mostra con altre bandiere.

Curiosi e preziosi la gamba di legno che sostituì l’arto perduto da Beckwith a Waterloo, il volume dell’Histoire Remarquable des vaudois, gli stendardi azzurro e oro realizzati in omaggio a Carlo Alberto e a Roma capitale.

È cronaca tanto più drammatica nella sua asciuttezza, la sezione che documenta il popolo valdese negli anni del nazifascismo. L’ultima tappa, gradino dopo gradino, raggiunge la torretta panoramica affacciata sulle valli, dove tutto è iniziato e neppure le persecuzioni più feroci hanno saputo cancellare. Un mondo cui Umberto Eco, cittadino onorario di Torre Pellice, aveva pensato, nel 1982, di dedicare un romanzo. Non se ne fece nulla. Ma l’otto per mille che lo scrittore dichiarò di destinare sempre ai valdesi, rimane comunque una pagina di notevole valore.

Il Manifesto/Alias – 1 dicembre 2018