Un libro ricostruisce
l'abbigliamento tradizionale contadino nella Media Valle Susa
inserendolo nel suo contesto storico e sociale.
La Roba Savouiarda
La tradizione non
consiste nel conservare le ceneri ma nel mantenere viva una fiamma.
Jean Jaurès
Queste parole ben
sintetizzano il libro La roba Savouiarda. Molto spesso si crede
che l’abito tradizionale sia quello che si vede indossato in
qualche festa paesana, esposto all’interno di un museo, o sfoggiato
in occasione di qualche mostra. In realtà ciò che in questi casi
viene presentato al pubblico è una ricostruzione dell'abito di una
certa località che sarà chiamato costume. Solitamente vengono così
riproposti quelli più belli, abbastanza ben conservati, corredati da
preziosi ornamenti; si tratta in genere di abiti festivi o
cerimoniali, di sicura attrattiva per l’osservatore.
Il libro vuole
sottolineare che la storia dell’abbigliamento rurale non si ferma
ad una visione così unilaterale, incentrata tutta sul puro aspetto
estetico. L’abito con cui si lavorava in casa e nei campi,
dall’alba al tramonto, usato fino ad essere riciclato come
straccio, non lo si mostrava ad estranei, ma, in realtà, era il vero
testimone di un’esistenza fatta anche di stenti e sofferenze.
Riscoprire, anche, questi indumenti, significa investirli della
giusta importanza scientifica: sono loro i portatori di qualificate
testimonianze sul rapporto abbigliamento-territorio.
Nelle società contadine
del secolo scorso il vestiario, quotidiano o festivo, non era solo un
puro oggetto destinato all’ammirazione estetica, o, più
semplicemente il modo di prendersi cura del proprio corpo
proteggendolo e coprendolo. La sua esistenza era strettamente
connessa al ciclo economico, per lo più agro-pastorale e al
conseguente sviluppo delle reti viarie per il commercio e delle
locali manifatture specializzate. Ci preme sottolineare, pertanto, il
suo rispecchiare i valori della comunità che lo adottava e il
divenirne il baluardo dell’identità etnica e culturale.
Il periodo in cui il
vestito festivo inizia ad essere considerato abito tradizionale, o,
come comunemente detto, costume, si può identificare nella seconda
metà del 1800. Pittori e fotografi si dilettano a ritrarre le
contadine nei loro abiti, magari, anche in pose vezzose. Spesso
rappresentano costumi fantastici avulsi dalla realtà. Vengono
documentate le feste, soprattutto, quelle patronali e le Processioni,
mentre di rado, anzi, quasi per nulla, l’interesse si volge alla
vita e al vestire quotidiano.
Per noi è fondamentale
ribadire che l’abito, seppur festivo, seppur conservato con cura,
adottando tutti gli accorgimenti che il sapere orale delle comunità
mette a disposizione, nel corso dei secoli si deteriora
irrimediabilmente. Ecco, allora, che quello “vero”, non c’è
più. Per indossarlo bisogna confezionarne uno nuovo., suffragando la
sua autenticità attraverso il raffronto con il materiale
iconografico, con i pezzi originali e le conoscenze orali.
La cucitura del vestito,
della cuffia e del grembiule, la frangiatura dello scialle sono
lasciate alla mano d’opera di donne paesane che possiedono ancora
memoria storica dei pezzi su cui devono lavorare. Pezzi che a loro
volta diventeranno insostituibili strumenti di confronto e
valutazione, perché è con queste modalità che l’abito
tradizionale sopravvive e si rinnova adeguandosi ai tempi.
Se la sua confezione,
infatti, è rimasta pressoché immutata nel corso degli anni,
avvalendosi solo dei nuovi ritrovati tecnologici , non così è per
l’uso delle materie prime.
Le stoffe oggi si
acquistano tutte, alcune di quelle usate in origine, soprattutto,
quelle tessute in paese, non esistono più, o sono state sostituite
da pezze simili. Le sete, le lane e i velluti presentano
caratteristiche tessili e consistenze diverse. Gli accessori seguono
anche loro le esigenze di mercato: i nastri della cuffia si allargano
e si restringono nel corso degli anni. Questa è la via per cui si è
passati dall’abito della festa, già divenuto abito tradizionale,
al Costume.
In conclusione l'
abbigliamento costituisce un sistema di comunicazione assimilabile al
linguaggio. Come questo può avvalersi di metafore e simboli, ma è
soggetto a mutare nel tempo, così l'abito tradizionale, nonostante
le sue valenze simboliche, è influenzabile dai gusti di chi lo
confeziona e di chi lo indossa.
Alla fine tutto torna:
come l’eredità di una tradizione non può essere vista un mero
ritorno al passato, ma anzi, un suo sviluppo, così un costume va
calato nelle dinamiche della società attuale: un serbatoio di
materiale antico vissuto nel contemporaneo.
La roba savouiarda è
termine usato per nominare il vestito tradizionale dei comuni di
Ferrera Moncenisio, Novalesa, Venaus, Giaglione nelle valli Cenischia
e Susa. In alta Maurienne: nei comuni di Bramans, Termignon, Aussois,
Lanslebourg, Lanslevillard, Bessans e Bonneval è detto anche La
Mauriennaise.Gli abiti di Gravere, Meana, Mattie e Mompantero,
anch'essi inclusi nel nostro lavoro, innestano su una base
“savoiarda” elementi del confinante mondo occitano: uso costante
della cuffia bianca, tipica del Delfinato o aree circostanti, scialli
e grembiuli dai colori più vivaci.
http://www.chambradoc.it/