TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 24 gennaio 2010

Guido Seborga, E' arrivato "Ulisse"


Guido Seborga

Oltre che giornalista, romanziere, poeta, drammaturgo e pittore, Guido Seborga fu anche attento osservatore dei fenomeni letterari del suo tempo. Formatosi a Parigi a contatto con quanto di più avanzato il movimento surrealista stava esprimendo, egli si trovò sempre un po' a disagio negli ambienti letterari nostrani così tanto ancora intrisi di provincialismo. Non lo nascose e non gli fu perdonato.

Guido Seborga

E' arrivato “Ulisse”


(...) In inglese, in francese questo testo ci ha tormentati quando eravamo giovani. Joyce ad un certo punto ha cercato di giocare un po' la parte, che Picasso ebbe nella pittura, per il romanzo. Un passaggio obbligato, un'esperienza insostituibile e un fenomeno decisivo.
Ma oggi ancora meglio di prima vediamo che non si tratta di due fenomeni analoghi o lo sono solo in apparenza nella distruzione della forma. Picasso la distrugge sino a mutare profondamente il contenuto, basti pensare a Guernica; non per nulla vicino a lui, ed in numerose piccole pubblicazioni di gusto, che spesso non sono giunte in Italia, ci fu un poeta della qualità di Eluard uniti da un'amicizia intellettuale ed umana per anni.
Joyce non mutò il contenuto come Picasso, come Eluard, ma restò ad un mondo decisamente ottocentesco, come Eliot, come Hemingway, ma fu anche il più grande di tutti, anzi forse il solo grande ed inimitabile. Con il suo Ulisse, che in verità nella sostanza del contenuto è assai più un Amleto ottocentesco che un Ulisse, con la sua superiore mistificazione che esauriva, senza la minima ripresa, il mondo ottocentesco borghese, per non dire dei suoi mirabili racconti che Hemingway tanto imitò, ma volgarizzandoli molto spesso sul piano di un giornalismo cosmopolita piuttosto banale, e che già ci accorgiamo, assai poco resiste al tempo.
Pound con la sua ginnastica virtuosa sino al parossismo, perse ogni presenza umana, divenne astratto sino a non comprendere più la realtà della vita, e si perse, non per nulla oggi certi poetucoli d'imitazione ne fanno cosa quasi ridicola e pensano di poter far poesia con i loro piccoli ricalchi astratteggianti, del tutto privi di una situazione di vita nuova, piccola letteraturina per provinciali in ritardo che vogliono aggiornarsi, ed hanno perduto le radici con la vita e la conoscenza del paese, della realtà tutta. Scambiano il loro breve cosmopolitismo con realtà e novità di parola.
Eliot resta un alto fenomeno di poesia realmente cristiana, Joyce uno dei narratori più compiuti, si pensi al Ritratto, dove appunto la vita di un uomo trova la più ferma e sicura rappresentazione nella sua prosa introspettiva al massimo, che doveva portare l'angoscia e la disperazione di un mondo borghese in agonia.
Sarà Sartre a suonare la ripresa del mondo borghese, che certo non è ancora morto, dandogli un nuovo valore critico, e assicurando che c'era ancora qualcosa da dire di significativo in questo campo. Ma la frattura vera fu segnata da Eluard e non certo da Pound.
Da noi in Italia due grandi scrittori, Alvaro e Jahier, con minore polemica e più sostanza ci stavano offrendo i loro libri migliori, e la profonda misura di un sostanziale rinnovamento intellettuale ed umano, che nella sua portata ci pare, non fu ancora da molti capito, se sempre possiamo assistere a molti pietosi ritorni, a esperimenti meccanici gratuiti dall'inglese, dal francese, dal dialetto, e si dà a questi testi troppa importanza, perdendo invece la situazione storica precisa che stiamo riferendo e determinando con la parola, con la vita.
Certo oggi il grande mito di Ulisse è sempre vivo, ma dovrebbe essere chiaro che certe mitologie, compresa la mistificazione su Ulisse, appartengono decisamente al passato, non è tempo per amletiche questioni, ma per portare al massimo della sua esasperata possibilità la conoscenza estrema e integrale della realtà. Proprio oggi che tanto si mente con i giochi neorealistici in superficie e i ritorni a un gelido neoclassicismo di maniera.

(Da. La Fiera letteraria, n.1, gennaio 1961)