TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 9 gennaio 2010

In morte di François Fontan 1979-2009


François Fontan

Nel dicembre 1979 moriva improvvisamente a Frassino, dove viveva in volontario esilio fra gli occitani d'Italia, François Fontan, teorico dell'etnismo e fondatore del Partito Nazionalista Occitano (oggi Partito della Nazione Occitana). Aveva solo cinquant'anni. Lo ricordiamo a trent'anni dalla scomparsa pubblicando un articolo scritto in occasione della sua morte.


Pierre Maclouf

In morte di François Fontan

In questo 21 dicembre 1979, nella neve che copre il paese di Frassino, siamo a piangere. François Fontan, il nostro amico, il nostro maestro, è stato sepolto. Riposa ora sotto la terra e sotto la neve, nella parte più orientale di questa terra occitana che ha tanto amato. Non siamo molti, un pugno di fedeli venuti da ogni parte d'Occitania: i popoli vinti non raccolgono masse per piangere i loro morti, anche se questi sono dei capi. Tuttavia non siamo soli. Ci sono anche questi uomini e queste donne vestite di nero, questo popolo occitano d'Italia, venuti ad accompagnare alla sepoltura quest'uomo che, da quasi vent'anni, venuto dalla lontana Guascogna, viveva fra loro e giorno dopo giorno chiariva loro che facevano parte di una stessa nazione.
(...)
François Fontan è stato il padre della rinascita occitana moderna, colui senza il cui lavoro noi non saremmo ciò che siamo oggi. « Io ho inventato l'Occitania », mi ha detto un giorno e aveva ragione. Era il giorno, alla fine degli anni 50, in cui, in seguito ad un incontro con Pierre Bec, egli ebbe l'idea di ciò che doveva significare l'esistenza "oggettiva" di uni lingua occitana : « se non si tratta di un semplice dialetto del francese, ma di un'altra lingua che è l'occitano, ciò significa che esiste una nazione occitana, e che essa deve diventare indipendente. » Egli, per primo, avvertito con forza che tra Bayonne e Mentone esisteva una società, una società originale, dominata, colonizzata, la rimozione della quale si traduceva in molte manifestazioni di alienazione. Dietro il patois c'era una lingua, dietro la lingua una società, e dietro ancora un popolo e una nazione, Che erano una cosa diversa rispetto al contesto generale francese, anche se essi non sapevano più cosa e chi fossero. Questo popolo balbettante, privo di un del desiderio di una storia propria; François Fontan sentiva questo desiderio. Questa Occitania, di cui ha ritrovato i confini, l'ha pensata, l'ha progettata, l'ha sentita. L'ha sentita più di tutto: egli amava più la gente che le cose, i sentimenti che le astrazioni, gli occitani più che l'Occitania. Per lui un villaggio era soprattutto delle persone, esattamente come un Paese per lui era prima di tutto un Popolo. Delimitare i confini dell'Occitania: sappiamo con quale emozione ci parlava di Montgarri, quest'ultimo villaggio occitano della Val d'Aran, ai piedi del Montvallier, sull'antica mulattiera che da Salau conduce a Viella, ma già sul versante catalano, là dove nasce la Noguera Pallaresa. Il vecchio può aiutare il nuovo: in un paese dove tutto sembre deciso può così nascere la Storia. (…)
François tu hai avuto per primo l'audacia che mancava per osare pensare che ciò che ci prende allo stomaco era politica. Il mondo di oggi è quello delle vie nazionali: la Francia gollista, le rivoluzioni cubana, algerina o vietnamita, il comunismo nazionale rumeno o ancora la lotta del Quebec, dei baschi o dei corsi. Fontan vedeva in tutto questo la prova politica della necessità di una via occitana. E ha cercato di cercarne le fondamenta nel tessuto sociale del nostro paese. E' a questo scopo che egli fonda nel 1959 il Partito Nazionalista Occitano, il cui scopo era di indicare la via nazionale occitana verso la liberazione sociale. PNO che a tutt'oggi è stato, secondo me, l'espressione politica più profonda di questa Occitania dominata. Egli non pensava a un'Occitania generica e astratta. E' di una nazione occitana vivente e moderna, indipendente e liberata che egli parlava. Ci diceva talvolta che il giorno in cui l'Occitania fosse stata indipendente, la prima cosa che il PNO avrebbe dovuto fare sarebbe stata di sciogliersi per diventare un Partito Comunista Occitano. Occitania libera e comunista; il comunismo di François Fontan somiglia più a quello di Mao Tse-Tung giovane che a quello del vecchio Breznev. UnMao sconosciuto, quello della « Società per la creazione degli uomini nuovi» in seno alla quale il futuro liberatore della Cina cercava di articolare in un unico progetto comunismo, omosessualità e volontà di trasformare i rapporti fra uomini e donne.

François Fontan fu chi, dieci anni prima del Maggio '68, ci insegnava insieme l'idea di un' Occitania libera e le teorie di Wilhelm Reich; egli aveva esitato tra la creazione del P.N.O. e l'avvio di un'azione rivoluzionaria omosessuale, quando gli omosessuali non erano ancora altro che dei “pederasti” costretti alla clandestinità (…).

Ma Fontan è stato indubbiamente sempre prigioniero della sua più grande contraddizione: la sua teorizzazione del nazionalismo da una parte, implicante la creazione di Stati nazionali indipendenti e socialisti - e dunque la ricerca di modi di sviluppo che potevano sfociare su logiche autoritarie alla Khmer-rossi - e dall'altra il suo vissuto libertario. Perché egli era libertario fino nel più profondo del suo cuore. Egli amava prima di tutto la gioventù; è ai giovani che aveva dedicato il suo libro Etnismo: « alla gioventù d'Occitania, perché osi essere, per la prima volta dopo 700 anni, la gioventù del mondo». Sulla sua scheda di adesione al P.N.O. Aveva scritto: «l'umanità è la cosa che vale di più nell'universo, ma la gioventù è ciò che c'è di più bello nell'umanità». Fontan amava la gioventù, e la gioventù lo contraccambiava. Egli amava la purezza, la foga, il disinteresse e la capacità di assoluto dei giovani. Uno degli avvenimenti che gli fecero più piacere fu la rivolta dei liceali contro la legge Debré, nella primavera 1973. Egli aveva preso parte alle manifestazioni di Tolosa, sfilando con il gruppo che l'aveva più colpito: quello in cui sventolavano insieme le bandiere rosse con la croce dalle dodici perle [il vessillo nazionale occitano, nota nostra] e quelle nere degli anarchici.

François Fontan non fu solo l'Occitania. Fu certo anche una profonda identificazione con la causa di ogni popolo dominato nel mondo. Fu anche e forse soprattutto un pensiero. Un pensiero che si voleva con forza globale e totalizzante, costruito attorno all'idea secondo la quale la storia dell'umanità non è riducibile alla lotta delle classi, ma che essa è egualmente fatta della lotta tra le nazioni, tra i sessi e le generazioni, il senso profondo della storia umana risiedendo nella liberazione di ogni società e di ogni gruppo da tutte le forme di oppressione derivanti da queste contraddizioni. L'idea secondo la quale esiste una pluralità di fili conduttori della storia, diversi campi di contraddizioni fondamentali, autonomi e interagenti, è oggi una banalità. Per non parlare di quella secondo cui il “socialismo reale” è dominato da una classe di tecno-burocrati. Nell'Occidente in crisi e in declino, la critica revisionista del marxismo sviluppata da François Fontan ha ceduto il passo alle più fantastiche regressioni, dalle teorie dei “nuovi filosofi” al ripiegamento sulla coppia, la famiglia, e le diverse varianti del “privato”. Oggi, confrontato con i Beria pentiti e i Lenin d'operetta in ritiro riscoprenti le virtù del liberalismo e perfino del cristianesimo, Fontan farebbe la figura del marxista-leninista duro e puro. Manteneva in effetti l'idea di un determinismo sociale, di contraddizioni oggettive fra gruppi sociali antagonisti e della necessità della presa del potere statale. Molto influenzato dalle analisi del gruppo Socialisme ou barbarie", fu senza alcun dubbio uno dei precursori delle correnti critiche marxiste e post-marxiste che si sviluppano oggi e che rivestono un'enorme importanza per una società dominata dalla disperazione. Il dramma è che fu perseguitato per le sue idee.

Pochi uomini furono così tanto e così ingiustamente calunniati, e con lui quelli che lo seguirono. Egli lo fu nella maniera più intollerante, più stupida, più abbietta, anche in seno al movimento occitano. Egli lo fu in seguito da parte dei gauchistes del dopo '68, e spesso proprio da quelli che , non contenti di sviluppare a loro volta le stesse idee, oggi che sono divenute banali, si adagiano mollemente nella rinuncia alla trasformazione radicale e globale dei rapporti sociali.
(...)
Ci si può chiedere perché quest'uomo fu maledetto a tal punto. Credo che egli cumulasse troppi elementi di marginalità: nazionalista occitano in un paese che non sapeva neppure ancora pronunciare il proprio nome, omosessuale in un movimento occitano largamente dominato dalla patologia sessuale dei popoli colonizzati, revisionista convinto in un contesto ideologico segnato dalle peggiori forme di dogmatismo marxista, vivente in uno stato di semi-mendicità e di miseria in una società dominata dai criteri della riuscita sociale, autodidatta che si avventurava in domini riservati agli universitari. Troppo marginale: è per questo che egli ha vissuto più felice e rispettato fra la gente semplice delle valli occitane delle Alpi italiane che nel mondo dei militanti, occitani e no. I marginali trovano più facilmente la loro collocazione fra i poveri, gli oppressi, quelli che non hanno più voce perchè coloro che sono stati imbavagliati sanno riconoscere chi parla per loro. Maledetto per la sua vita e per le sue idee, per le quali si sarebbe fatto uccidere piuttosto che rinunciarvi. Che fosse nel più sperduto villaggio di Guyenne o nel quartiere latino, egli cercava per delle ore di convincere i suoi interlocutori, per i quali aveva sempre pronto un volantino o una brochure nella sua vecchia cartella. Troppo da sopportare.

Così egli è morto della vita che ha vissuto. Quella che sia la nostra tristezza, ed è immensa, noi sappiamo anche, noi, i suoi discepoli, i suoi amici, che egli ha condotto fino alla fine la vita che gli è sembrata essere la più giusta ed è questo quello che conta.
Devo dire infine che François Fontan è stato colui che ha permesso a molti di noi di diventare noi stessi. (…) Perché è lui l'uomo a cui dobbiamo una parte della nostra vita, come uomini, e della nostra volontà di lotta come nazionalisti e rivoluzionari occitani, non attardiamoci. Questa opera incompiuta ci mostra un mondo da trasformare e da costruire.


(Da: Volem Viure Al Pais – décembre 1979 / février 1980)