Festa solstiziale del
sole e della luna, San Giovanni è anche la la festa del fuoco e
dell'acqua. In questo capitolo tratteremo dell'accensione e del
significato dei falò. Antichissimi riti agrari, ancora oggi
praticati in molte parti d'Europa e nelle nostre valli alpine
collegati ai tempi della transumanza.
Giorgio Amico
I fuochi di San
Giovanni
II. Il Fuoco e l'Acqua
L'accensione dei falò
“Li hanno fatti
quest'anno i falò? - chiesi a Cinto.
Noi li facevamo sempre.
La notte di S. Giovanni tutta la collina era accesa.
Poca roba, - disse lui. -
Lo fanno grosso alla Stazione, ma di qui non si vede. Il Piola dice
che una volta ci bruciavano delle fascine. (...)
Chissà perché mai, -
dissi, - si fanno questi fuochi.
Cinto stava a sentire.
Ai miei tempi – dissi –
i vecchi dicevano che fa piovere... Tuo padre l'ha fatto il falò? Ci
sarebbe bisogno di pioggia quest'anno... Dappertutto accendono i
falò.
Si vede che fa bene alle
campagne, - disse Cinto, - le ingrassa.” (53)
Non lasciamoci trarre in
inganno dalla semplicità delle parole di Cinto. Pavese conosce molto
bene il significato dei fuochi nella notte di San Giovanni (54) e la
sintetica spiegazione che il contadino langarolo dà dei falò va
diritto alle radici di quel rito antichissimo. Rito di fertilità,
l'accensione dei fuochi nella notte del solstizio d'estate ha
un'origine che si perde nella notte dei tempi. Riti della stessa
natura si ritrovano in tutta Europa dalla Scandinavia al
Mediterraneo, sempre con le stesse caratteristiche e lo stesso
corredo di credenze mitiche. Quello dell'accensione dei falò al
solstizio d'estate è un rito magico legato alla fertilità della
terra, degli animali, degli uomini, ma anche un rito di purificazione
e di protezione. Un uso così radicato nella cultura dell'Europa
occidentale che lo vediamo rispuntare ovunque, anche dove meno ce lo
aspetteremmo come nel caso di un romanzo poliziesco di grande
successo uscito in Francia qualche anno fa. Il protagonista, un
poliziotto non più giovane, porta la famiglia in gita sul monte
Canigou sui Pirenei alle spalle di Perpignano:
“Di lassù la vista era
splendida. Sullo stretto picco roccioso erano almeno una ventina a
fare un picnic intorno alle ceneri di un gigantesco braciere. Da
qualche anno la tradizione del falò di San Giovanni era tornata in
auge. Alcuni giorni prima della cerimonia i più coraggiosi portavano
fino in cima ceppi, tronchi di vite e fascine di sarmenti. Li
ammassavano a piramide, quasi a voler ulteriormente innalzare la
montagna. La notte del 23 giugno la cima prendeva fuoco, e se le
condizioni atmosferiche lo permettevano la flama del Canigò poteva
essere vista in tutto il Roussillon”. (55)
Siamo in presenza di riti
antichissimi, risalenti almeno al Neolitico e alla grandiosa
rivoluzione agraria che permise agli uomini, fino ad allora
cacciatori e raccoglitori, di superare la fase del nomadismo e di
costruire i primi insediamenti stabili. Riti che non escludevano
sacrifici anche umani e che sono sopravvissuti per millenni
nonostante le trasformazioni della società. Riti contadini secondo
Frazer che per primo li studiò in modo sistematico:
“Da tempo immemorabile
i contadini d'ogni parte d'Europa hanno usato accendere dei falò, i
cosiddetti fuochi di gioia, in certi giorni dell'anno, ballarvi
intorno e saltarvi sopra. Vi sono testimonianze storiche del Medioevo
sull'esistenza di questi usi e forti prove intrinseche dimostrano che
la loro origine si deve cercare in un periodo molto anteriore alla
diffusione del Cristianesimo. Anzi le prime tracce o prove della loro
esistenza nell'Europa settentrionale ci vengon date dai tentativi dei
sinodi cristiani del secolo VIII di abolirli in quanto riti pagani.
Non è raro che in questi fuochi si ardano dei fantocci o che si
finga di ardervi una persona viva; e c'è ragione di credere che
anticamente vi fossero davvero bruciati degli esseri umani.” (56)
Con il passare del tempo
il rito divenne meno cruento e al posto degli uomini vennero
sacrificati animali. Secondo Frazer un uso ancora vivo nella Francia
del XVII secolo tanto che “era l'uso nel passato, per i fuochi di
S. Giovanni che si accendevano nella Place de Grève a Parigi, di
bruciare un cesto, un barile, o un sacco pieno di gatti vivi sospeso
da un'antenna in mezzo al falò: qualche volta si bruciava una volpe.
Il popolo raccoglieva la cenere e la bragia del fuoco credendo che
portassero fortuna e le conservava in casa. I re di Francia spesso
assistevano allo spettacolo e talvolta accendevano il fuoco con le
loro mani. Nel 1648 Luigi XIV, incoronato di rose e recandone in mano
un mazzo, accese il falò, gli ballò intorno e prese parte al
banchetto nel palazzo del Comune,” (57)
Un atto per noi orribile,
ma che si spiega con il carattere della festa. Abbiamo già visto
come il solstizio rappresenti un punto di svolta dell'anno, segnato
dal progressivo declino del sole sulla linea dell'orizzonte. L'astro
sembra perdere forza e deperire. Un fenomeno percepito come
potenzialmente pericoloso che deve essere contrastato con riti
adeguati. I falò devono servire a sostenere l'astro, ad aiutarlo a
mantenere la sua forza generativa, allontanando le forze avverse che
ne minano la potenza. Un rito protettivo che tramite la magica forza
del fuoco permette di espellere o tenere lontano tutto ciò che può
essere dannoso a uomini, luoghi, piante, animali. Un rito di
purificazione e di rigenerazione, di morte e rinascita e dunque di
fertilità.
Matisse, La danza
Festa contadina
dell'amore e della gioventù
Ancora una volta
constatiamo come la festa di San Giovanni abbia un carattere
misterico e ambivalente. Si tratta della principale festa della luce,
ma ha il suo epicentro nella notte; è una festa del fuoco (simbolo
del principio maschile), ma anche dell'acqua (simbolo del principio
femminile). Nei riti i due elementi, il maschile e il femminile, sono
strettamente congiunti. Durante la festa il sole (fuoco) si sposa
con la luna (acqua); da questa unione sacra derivano tutte le
credenze relative al potere vivificante dei falò e della rugiada
tramandate dalla tradizione contadina e popolare.
Che la festa di San
Giovanni sia festa della luce lo scriveva già, poggiandosi
sull'autorità di Agostino, Jacopo da Varagine nella sua Leggenda
aurea, testo cardine della letteratura religiosa medievale, che non
parla di falò, ma di fiaccole accese e portate in giro ricordo della
consuetudine romana di portare fiaccole accese nei campi e per le
strade il Dies Lamparum, cioè il 24 giugno:
“Portavasi anche le
faccelline accese, perchè San Giovanni fue lucerna ardente e
rilucente; e la ruota del sole si volge però che 'l sole scende
allora nel cerchio a significare la nominanza di san Giovanni, il
quale era creduto che fosse Cristo, secondo che elli medesimo ne
diede testimonianza, quando dice: “Me conviene menomare e lui
crescere” Questo fue significato, secondo che dice santo Agostino,
ne li loro nascimenti e ne le loro morti. Ne li loro nascimenti, però
che intorno a la natividade di santo Joanni cominciano i di a
minimare; intorno alla natividade di Cristo cominciano a crescere,
secondo che dice uno verso: “Solstitium decimo Christum praecit
atque Johannem”. Anche ne la loro morte, però che il corpo di
Cristo fu levato in alto e l'corpo di Giovanni fu menomato il capo.”
(58)
La funzione protettiva
dei falò riguardava tutti gli aspetti della vita di quelle comunità
contadine. I fuochi di San Giovanni servivano infatti a proteggere i
raccolti, aumentare la fertilità delle donne e agevolare la
formazione delle coppie, proteggere gli animali domestici, la
salute dei contadini e le case. Tante erano le credenze in merito al
carattere benefico dei falò: saltare tre volte le fiamme o correre
in mezzo a due falò assicurava un raccolto abbondante. Spargere le
ceneri nei campi preservava il raccolto dai parassiti. Far correre
una ruota in fiamme attraverso i campi o i vigneti li fertilizzava.
Passare attraverso il fuoco rendeva fertile una coppia senza figli,
così come agevolava il parto alle donne gravide. Quella notte
giovani dei due sessi ballavano attorno al fuoco portando corone di
artemisia e di verbena. Le ragazze lanciavano corone di fiori
attraverso il falò, gli innamorati dovevano prenderle. Poi ogni
coppia si prendeva per mano e saltava per tre volte attraverso le
braci. Da come saltavano si prediceva se si sarebbero sposati presto
o no. Il bestiame veniva fatto passare attraverso il fumo o le ceneri
per immunizzarlo dalle malattie e dai malefici. Le ceneri poste nei
nidi garantivano che le galline avrebbero fatto molte uova. Saltare
il falò preservava il contadino dal mal di reni. Gettando erbe
particolari come la verbena nel fuoco si allontana la malasorte. In
casa veniva spento il fuoco e poi riacceso con le braci del falò. Un
tizzone spento veniva messo sul tetto della casa per proteggerla dal
fulmine e dagli incendi.
Feste del fuoco e
transumanza
Senza andare molto
lontano in Europa, basta recarsi in Piemonte, in alta Valle Susa, per
trovare ancora riuniti insieme tutti gli elementi magico-religiosi
della festa. Come leggiamo in una recente ricerca relativa alla zona
di Bardonecchia :
“Come per i riti di
propiziazione e di ringraziamento, anche per le celebrazioni legate
ai trapassi stagionali, quali possono essere le feste di inizio
Estate, si assiste ad una sovrapposizione dei rituali cristiani su
antichi culti pagani modificati. I passaggi di stagione rivestivano
ovunque una grandissima importanza poiché scandivano i ritmi della
vita dell’uomo nel corso dell’anno, ma erano ancor più
importanti soprattutto in una regione ad economia essenzialmente
agricola e pastorale come quella alpina, dove la sopravvivenza stessa
dipendeva dall’abbondanza e dalla buona conservazione dei raccolti.
Il passaggio dalla stagione fredda alla breve stagione calda,
coincidente con il solstizio d’Estate e, a livello religioso, con
la festa di San Giovanni Battista, segnava in particolare uno dei
momenti di maggiore attività per la famiglia contadina: si procedeva
infatti in quei giorni all’avvio del bestiame verso gli alpeggi più
elevati, dove sarebbe rimasto sino alle soglie dell’autunno.
L’usanza più tipica
legata alla pratica della monticazione e all’inizio del periodo di
permanenza in alpeggio, ancora oggi in vigore, era quella
dell’accensione dei fuochi sulle montagne nella notte tra il 23 e
il 24 giugno, vigilia della festa di San Giovanni Battista, allo
scopo di allontanare le forze del male. Come per gli altri paesi,
poi, la mattina della festa del santo la cenere era fatta
attraversare dagli animali diretti a monte. Come affermato in
precedenza, a rendere taumaturgica la cenere prodotta dai falò era
la sua commistione con la rugiada del mattino: l’insieme di fuoco e
acqua, di cui la cenere e la rugiada erano considerati derivati,
poteva infatti simboleggiare una sorta di unione del Sole con la
Luna.
A queste credenze si
collegava una serie di tradizioni molto radicate in tutta la conca di
Bardonecchia: per esempio, era usanza della mattina di San Giovanni
quella di bagnarsi gli occhi con l’acqua delle fontane, ritenuta
benedetta, o con la rugiada, per preservare la vista. Allo stesso
modo, vi era la convinzione che le piante e le erbe irrorate dalla
rugiada del mattino di festa incrementassero il proprio potere
curativo: per questo motivo molte persone comuni, ma anche gli
erboristi, si dedicavano alla raccolta delle erbe all’alba di
questo giorno.” (59)
Non è un caso, dunque,
che in molte realtà la festa di San Giovanni Battista e poi quella
di San Giovanni Decollato il 29 agosto siano collegate alla
transumanza delle mandrie o delle greggi, all'andata o al ritorno
dagli alpeggi estivi. In questi casi la festa era celebrata con la
benedizione degli animali e lo svolgimento di fiere, momento
importantissimo di incontro fra gli abitanti delle valli soprattutto
nei periodi in cui più accentuato è stato l'isolamento delle
comunità alpine.
53. Cesare Pavese, La
luna e i falò, in Tutti i romanzi, II, Torino, La Stampa, 2008, pp.
235-236.
54. Proprio mentre
scriveva La luna e i falò, Cesare Pavese curava per Einaudi
l'edizione italiana de Il ramo d'oro a dimostrazione di un interesse
per i temi antropologici e il mito che troverà sbocco maturo negli
scritti di Dialoghi con Leucò. L'opera prediletta che Pavese portava
sempre con sé, rileggendola e annotandola, tanto che una copia del
libro fu trovato accanto al corpo dello scrittore nella stanza
d'albergo dove si era ucciso.
55. Philippe Georget,
D'estate i gatti si annoiano, Roma, Edizioni e/o, 2012, pag. 70.
56. James G. Frazer, Il
ramo d'oro, Torino, Einaudi, 1950, vol. II, pag. 325.
57. Ivi, p. 393
58. Jacopo da Varagine,
Leggenda Aurea, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1925, pag.
706.
59. V. Bonaiti - D.
Ferrero - L. Gatto Monticone - A. Zonato, Tempi del sacro tempi
dell'uomo. Il calendario tradizionale contadino nella conca di
Bardonecchia, Susa, Jonas, 2007, pp 71-75.
7.
continua