Uno degli aspetti
più terribili della Shoah fu l'utilizzo dei deportati nella gestione
dei campi. A parte le guardie, tutto il personale dei lager era
infatti composto di prigionieri. Uomini e donne che, se sopravvissuti, vivranno schiacciati dai sensi di colpa per aver in qualche modo collaborato allo sterminio dei propri compagni.
Andrea Tarquini
Il segreto di “Lale”
tatuatore dei nazisti
Era il tatuatore di Auschwitz, l’uomo selezionato per caso dai nazisti tra tanti prigionieri per incidere loro il numero di matricola sull’avambraccio. Per anni trasformò in numeri persone destinate alla morte. Poi s’innamorò di una giovane prigioniera che aveva tatuato. Nel dopoguerra si ritrovarono e si sposarono. Visse una vita nel rimorso e nel senso di colpa, e solo dopo la morte della moglie, nel 2003 si decise a parlare prima di morire tre anni dopo. Ora la drammaturga neozelandese Heather Morris, che dal 2003 al 2006 ha raccolto le sue memorie, narra tutto in un libro.
Una vita tranquilla da coppia che invecchia bene insieme in un sobborgo della metropoli australiana Melbourne, e insieme per lui una vita col senso di colpa come un macigno sul cuore. Alla nascita nel 1916 in Slovacchia si chiamava Ludwig “ Lale” Eisenberg, era ebreo. Dopo la guerra cambiò nome in Lale Sokolov. Gita, la ragazza che conobbe ad Auschwitz tatuandola, fu la compagna della sua vita. « L’orrore del campo, l’orrore di essere sopravvissuto, gli dettero una vita di rimorso paura e paranoia » , dice Heather alla Bbc.
Rimorso per aver
degradato persone in numeri con quei dolorosissimi tatuaggi che
impresse a centinaia di migliaia, paura di essere scoperto e
perseguito come criminale nazista. Solo alla fine, si decise a
vuotare il sacco. Lale aveva 26 anni quando fu deportato ad
Auschwitz. Giovane e prestante, si offrì per i lavori più duri
sperando di salvare dalla morte i suoi genitori: sapeva che erano
anche loro deportati da qualche parte. Era già divenuto un numero
egli stesso: 32407. Si ammalò di tifo, fu curato da un tale Papen,
medico francese allora tatuatore nel campo della morte. Papen lo
prese sotto la sua protezione, gli insegnò il “ mestiere”, ne
fece il suo assistente, gli insegnò a tacere sempre.
Un giorno Papen sparì
misteriosamente, allora i nazisti scelsero Lale — anche perché
parlava slovacco, tedesco, russo, francese, ungherese e polacco —
come tatuatore capo di Auschwitz- Birkenau, dipendente del “
dipartimento politico delle SS”. Sempre sorvegliato, sempre vivendo
nel terrore. Mengele, il medico della morte, veniva spesso a vedere
quali tatuati poteva scegliere per i suoi esperimenti, e più volte
gli disse «un giorno toccherà anche a te». Lale visse anni nel
terrore che l’indomani fosse l’ultimo giorno, ma aveva privilegi.
Pranzava nell’edificio dell’amministrazione, aveva razioni extra
e tempo libero.
I tatuaggi,
dolorossimi quanto umilianti — esseri umani ridotti a numero come
bestiame da macello — prima venivano eseguiti con timbri metallici,
poi con aghi a punta doppia, narrò Lale a Heather. Nel luglio 1942,
i nazisti gli portarono una ragazza, Gita Hurmannova, cui toccava il
tatuaggio 34902. Lui non dimenticò mai gli occhi di lei imploranti
di dolore. Negli anni di Auschwitz, faceva di tutto per aiutarla a
sopravvivere. Potendo uscire dal campo, vendeva gioielli tolti ai
deportati in cambio di cibo per quella ragazza e altri deportati. Nel
1945,coi nazisti in fuga davanti all’Armata rossa, Lale perse le
tracce di Gita. A lungo la cercò invano.
Dopo la liberazione,
tornò fortunosamente in treno a Bratislava. E alla stazione,
riconobbe quegli occhi sorridenti: era lei, ritrovata per caso. Si
sposarono, aprirono un negozietto ma il regime comunista al potere
dal 1948 li espropriò, arrestò ed espulse perché Lale raccoglieva
collette in sostegno al neonato Stato d’Israele. Vienna, Parigi,
infine l’Australia furono le tappe del loro esodo. Vissero a
Melbourne tutta la vita, Gita a volte tornò in Europa, Lale mai.
Dopo la morte di lei, Lale trovò in Heather Morris la persona che
raccolse i suoi ricordi. Avrebbero dovuto diventare anche un film.
Film Victoria, un ente pubblico australiano, finanziò ricerche sul
caso. E così si scoprì che i genitori di Lale erano stati
assassinati ad Auschwitz un mese prima della deportazione del figlio.
Lale non lo apprese mai.
La Repubblica – 9
gennaio 2018