Negli anni Quaranta
Riwkah Scharf, psicoanalista junghiana, scriveva a prefazione di un
suo studio sulla figura di Satana nel Vecchio Testamento, di vivere
in un tempo in cui “il male ha oscurato il mondo e ha potuto
manifestarsi con una potenza impensata che evoca l'immagine
apocalittica del diavolo scatenato dopo una prigione millenaria”.
Sempre di più ci pare una descrizione adeguata del Novecento.
Rosalba Castelletti
Mamma Olga e il
“Diario dal Gulag” ritrovato
Possedere carta e penna
in un gulag sovietico poteva costare la morte. Tenere un diario era
praticamente impossibile. Eppure è quello che fece una giovane donna
di nome Olga. Per ben due anni, dal 1941 al 1942, riempì 115 pagine
di disegni e rime. Un atto di coraggio. E una rara testimonianza.
La vita nei campi di
lavoro ha ispirato rinomati memoir, come Arcipelago Gulag di
Aleksandr Solgenitsin, tutte composte dopo il rilascio. Il diario di
Olga è il solo scritto durante la prigionia a essere sopravvissuto.
È rimasto sepolto per settant’anni finché nel 2009 una donna non
lo ha consegnato a Zoja Eroshok, giornalista di Novaja Gazeta.
Dell’autrice sapeva
solo il nome: Olga. Per rintracciarne la storia e il destino, Eroshok
ha scavato per otto anni tra le pagine rilegate e negli archivi.
Il diario, oggi esposto
presso il Museo moscovita sulla storia dei gulag, è scritto perlopiù
sotto forma di fumetto.
Racconta le avversità di
un omino stilizzato soprannominato “Diavoletto del Tempo”, alter
ego dell’autrice. Ogni pagina ricorda un episodio: la perdita di un
cappotto o il furto della cena. Olga si rivela una donna colta. I
suoi giochi di parole sono arguti. Cita autori russi o detti latini.
Lo stesso titolo del diario, Le opere e i giorni, ricalca un poema
del greco Esiodo.
In una pagina riporta i
nomi di sei impiegati di una stazione meteo. Una sola donna:
Ranitskaja. «Che sia Olga?», si è chiesta Eroshok. Dopo aver
interpellato invano gli archivi di 15 agenzie segrete di polizia in
Russia, Ucraina e Kazakhstan, ha scritto un articolo. Solo allora è
stata contattata da una nipote di Olga emigrata in Israele e dal capo
degli archivi dell’Fsb che l’hanno aiutata a ricomporre i pezzi
della storia.
Genitori ebrei, Olga
Ranitskaja nacque a Kiev nel 1905. Sposò un funzionario del partito
comunista ed ebbe un figlio, Sasha. Divorziò e si risposò. Fu
arrestata nel 1937, nel pieno delle Grandi Purghe, e condannata a 5
anni in un gulag con l’accusa di spionaggio. Ne scontò 9 in una
stazione meteo nel campo di lavoro di Karlag in Kazakhstan. Dopo
l’esilio forzato, lavorò in una clinica e firmò un libro di
poesie. Morì a Kiev nel 1988.
Aveva dedicato le sue
memorie al figlio Sasha. Che però non le vide mai. Si suicidò a 16
anni: non sopportava gli scherni dei compagni di scuola sulla madre
detenuta. Era il 1942, anno in cui il quaderno si conclude con alcune
pagine vuote numerate, il modo di Olga di esprimere il lutto.
Il diario, sostiene
Eroshok, è la sua vendetta contro Stalin. Le tolse il figlio, la
libertà, ma le pagine vergate l’hanno salvata dall’oblio.
La repubblica – 13
gennaio 2018