TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


lunedì 29 gennaio 2018

Prima di Marco Polo. Francescani e mercanti lungo la via della seta.



La via della seta. Un percorso di letture da Alessandro Vanoli e Franco Cardini passando per Julia M.H. Smith. Per gli autori, la fondazione di grandi empori urbani lungo questi tracciati ebbe un ruolo importante. La storia millenaria della strada che congiunge l’Occidente all’Oriente.

Marina Montesano

Incensi e vertigini per viaggi asiatici

Con una certa frequenza ci capita di leggere della «nuova via della seta», progetto strategico cinese per il miglioramento dei collegamenti e della cooperazione economica tra paesi nell’Eurasia. Partendo dalla Cina, una rete ferroviaria e marittima dovrebbe unire l’estremo Oriente e l’estremo Occidente del macrocontinente, con diramazioni che portano verso le Americhe e l’Africa, dove già i cinesi sono molto presenti e attivi. L’iniziativa è stata annunciata dal presidente Xi Jinping già nel 2013, ma inizialmente non ha ricevuto grande attenzione mediatica, mentre oggi cresce l’interesse per le prospettive economiche nonché geopolitiche del progetto, che potrebbe servire (sebbene come ricaduta minore) anche al trasporto passeggeri. La Cina si farà carico della maggior parte delle spese, ma Russia e India sono partner di rilievo, e anche molti paesi euroccidentali, inclusa l’Italia, sono nel progetto, che pare insomma andare ben oltre la «vecchia» via della seta.


D’altra parte, anche la vecchia via della seta non va immaginata semplicemente come una strada che congiungeva la Cina all’Occidente, come spiega bene un libro pubblicato di recente per le cure di Franco Cardini e Alessandro Vanoli, La via della seta. Una storia millenaria tra Oriente e Occidente (il Mulino, pp. 344, euro 16). Alla fine del I millennio a.C. la Cina era stata unificata dalla dinastia Chin e poi dalla Han, ma, ampiamente autosufficiente, era rimasta a lungo isolata anche a causa delle catene montuose dell’Himalaya e del Karakorum e da deserti sconfinati come quello del Gobi.

È a partire da II secolo a.C. che si cominciarono a costruire passi e strade attraverso tali aree inospitali, utili per instaurare rapporti con le popolazioni di cavalieri nomadi e seminomadi che ne abitavano i confini. Il sistema di fortificazioni che si sarebbe trasformato nella Grande Muraglia era stato costruito per impedirne le incursioni a cavallo, ma allo stesso tempo i sedentari cinesi erano interessati alla formazione di squadroni di cavalieri, e per questo servivano i contatti con il nemico. Dalle necessità della guerra emergevano i primi scambi commerciali e, appunto, la necessità di creare delle vie di collegamento.

Nen corso del II secolo d.C. si era avviata una lunga fase di raffreddamento climatico dell’emisfero boreale del pianeta, che sarebbe culminata fra VI e VII secolo, portando con sé un naturale peggioramento delle condizioni di resa agricola e quindi dei livelli di alimentazione e delle condizioni economiche, nonché un aumento delle malattie epidemiche. Ciò aveva prodotto un progressivo contrarsi dei livelli demografici e lo spopolamento di alcune aree rurali, mentre fuori dei confini dell’impero cinese, nell’Asia centrale, interi popoli nomadi erano costretti a muoversi cercando di spostarsi verso le aree periferiche dell’Eurasia, favorite da un più mite clima marittimo: verso la Cina, insomma, e dall’altra parte verso Roma.

Lungo questi percorsi viaggiavano non solo prodotti agricoli e cavalli ma anche beni preziosi, simbolo dei quali era la seta. I romani indicavano l’estremo Oriente col nome di «paese dei seri», cioè dei produttori di seta. Non c’erano però solo le vie di terra. Insieme con altri preziosi prodotti, la seta giungeva al Mediterraneo attraverso la via di commercio marittima che attraversava, sfruttando il clima monsonico, l’Oceano Indiano e che risaliva la penisola arabica o il Nilo congiungendosi con la «via delle spezie» e quella «dell’incenso».


Dopo il crollo della pars Occidentis dell’impero romano, i regni romano-barbarici davano vita a un panorama umano e culturale assai differente rispetto al passato, come racconta Julia M.H. Smith in L’Europa dopo Roma. Una nuova storia culturale. 500-1000 (il Mulino, pp. 396, euro 16). Non solo la crisi politica, ma anche la cosiddetta «peste di Giustiniano» avevano prostrato un’area già in crisi. I secoli dell’alto medioevo furono un’epoca di adattamenti e ricostruzioni, mentre Bisanzio restava pienamente erede dell’impero romano, riceveva le merci dall’Oriente (sebbene avesse cominciato a produrre in proprio la seta) e le diffondeva nel Mediterraneo.

Anche l'Europa non era del tutto al di fuori delle rotte commerciali. Le aristocrazie romano-barbariche erano interessate ai generi di lusso, che quindi non sparirono completamente. Tuttavia, in questo quadro, la grande novità è data dall’affacciarsi degli arabi fra Oriente e Occidente.
Per secoli saranno loro i principali intermediari lungo la via della seta, tanto di terra quando di mare, passando di città in città e di porto in porto.

La fondazione di grandi empori urbani lungo questi tracciati ha un ruolo importante nel discorso di Cardini e Vanoli, mentre è del tutto secondaria nel libro di Julia Smith, nonostante anche l’Europa verso la fine del primo millennio si stesse avviando a un futuro commerciale. Ma nulla vi era di paragonabile a Baghdad, Samarcanda, Hormuz.

Per vedere viaggiatori europei sulla via della seta bisogna attendere la cosiddetta «rivoluzione commerciale» del Duecento in Europa, la creazione dell’impero mongolo in Asia. Allora sui cammini che erano stati percorsi per secoli da missionari buddhisti e mercanti musulmani si affacciarono anche gli occidentali. Francescani come Giovanni di Pian del Carpine, Guglielmo di Rubruck e Odorico da Pordenone, e laici come Marco Polo, ma anche tanti altri rimasti anonimi o comunque meno noti.


Se Il Milione continua a essere letto da molti, per fortuna, ma oggi disponiamo anche di belle edizioni degli scritti francescani: ultima uscita, la Relatio de mirabilibus orientalium Tatarorum di Odorico da Pordenone (edizione critica a cura di Annalia Marchisio, Sismel, pp. 643, euro 95). Per noi l’epoca d’oro dei viaggi lungo la via della seta resta quella fra Duecento e Trecento.

Tuttavia, anche l’età moderna, per la quale siamo maggiormente portati a pensare alle rotte atlantiche, ha nell’Asia un baricentro inossidabile. Cardini e Vanoli conducono infatti il discorso fino all’epoca del Grande Gioco per la spartizione dell’Asia, per chiudere promettendo che «il viaggio ricomincia». O, forse, non è mai finito.

Il Manifesto – 15 dicembre 2017