La via della seta. Un
percorso di letture da Alessandro Vanoli e Franco Cardini passando
per Julia M.H. Smith. Per gli autori, la fondazione di grandi empori
urbani lungo questi tracciati ebbe un ruolo importante. La storia
millenaria della strada che congiunge l’Occidente all’Oriente.
Marina Montesano
Incensi e vertigini
per viaggi asiatici
Con una certa frequenza
ci capita di leggere della «nuova via della seta», progetto
strategico cinese per il miglioramento dei collegamenti e della
cooperazione economica tra paesi nell’Eurasia. Partendo dalla Cina,
una rete ferroviaria e marittima dovrebbe unire l’estremo Oriente e
l’estremo Occidente del macrocontinente, con diramazioni che
portano verso le Americhe e l’Africa, dove già i cinesi sono molto
presenti e attivi. L’iniziativa è stata annunciata dal presidente
Xi Jinping già nel 2013, ma inizialmente non ha ricevuto grande
attenzione mediatica, mentre oggi cresce l’interesse per le
prospettive economiche nonché geopolitiche del progetto, che
potrebbe servire (sebbene come ricaduta minore) anche al trasporto
passeggeri. La Cina si farà carico della maggior parte delle spese,
ma Russia e India sono partner di rilievo, e anche molti paesi
euroccidentali, inclusa l’Italia, sono nel progetto, che pare
insomma andare ben oltre la «vecchia» via della seta.
D’altra parte, anche la
vecchia via della seta non va immaginata semplicemente come una
strada che congiungeva la Cina all’Occidente, come spiega bene un
libro pubblicato di recente per le cure di Franco Cardini e
Alessandro Vanoli, La via della seta. Una storia millenaria tra
Oriente e Occidente (il Mulino, pp. 344, euro 16). Alla fine del I
millennio a.C. la Cina era stata unificata dalla dinastia Chin e poi
dalla Han, ma, ampiamente autosufficiente, era rimasta a lungo
isolata anche a causa delle catene montuose dell’Himalaya e del
Karakorum e da deserti sconfinati come quello del Gobi.
È a partire da II secolo a.C. che si cominciarono a costruire passi e strade attraverso tali aree inospitali, utili per instaurare rapporti con le popolazioni di cavalieri nomadi e seminomadi che ne abitavano i confini. Il sistema di fortificazioni che si sarebbe trasformato nella Grande Muraglia era stato costruito per impedirne le incursioni a cavallo, ma allo stesso tempo i sedentari cinesi erano interessati alla formazione di squadroni di cavalieri, e per questo servivano i contatti con il nemico. Dalle necessità della guerra emergevano i primi scambi commerciali e, appunto, la necessità di creare delle vie di collegamento.
Nen corso del II secolo
d.C. si era avviata una lunga fase di raffreddamento climatico
dell’emisfero boreale del pianeta, che sarebbe culminata fra VI e
VII secolo, portando con sé un naturale peggioramento delle
condizioni di resa agricola e quindi dei livelli di alimentazione e
delle condizioni economiche, nonché un aumento delle malattie
epidemiche. Ciò aveva prodotto un progressivo contrarsi dei livelli
demografici e lo spopolamento di alcune aree rurali, mentre fuori dei
confini dell’impero cinese, nell’Asia centrale, interi popoli
nomadi erano costretti a muoversi cercando di spostarsi verso le aree
periferiche dell’Eurasia, favorite da un più mite clima marittimo:
verso la Cina, insomma, e dall’altra parte verso Roma.
Lungo questi percorsi
viaggiavano non solo prodotti agricoli e cavalli ma anche beni
preziosi, simbolo dei quali era la seta. I romani indicavano
l’estremo Oriente col nome di «paese dei seri», cioè dei
produttori di seta. Non c’erano però solo le vie di terra. Insieme
con altri preziosi prodotti, la seta giungeva al Mediterraneo
attraverso la via di commercio marittima che attraversava, sfruttando
il clima monsonico, l’Oceano Indiano e che risaliva la penisola
arabica o il Nilo congiungendosi con la «via delle spezie» e quella
«dell’incenso».
Dopo il crollo della pars
Occidentis dell’impero romano, i regni romano-barbarici davano vita
a un panorama umano e culturale assai differente rispetto al passato,
come racconta Julia M.H. Smith in L’Europa dopo Roma. Una nuova
storia culturale. 500-1000 (il Mulino, pp. 396, euro 16). Non solo la
crisi politica, ma anche la cosiddetta «peste di Giustiniano»
avevano prostrato un’area già in crisi. I secoli dell’alto
medioevo furono un’epoca di adattamenti e ricostruzioni, mentre
Bisanzio restava pienamente erede dell’impero romano, riceveva le
merci dall’Oriente (sebbene avesse cominciato a produrre in proprio
la seta) e le diffondeva nel Mediterraneo.
Anche l'Europa non era
del tutto al di fuori delle rotte commerciali. Le aristocrazie
romano-barbariche erano interessate ai generi di lusso, che quindi
non sparirono completamente. Tuttavia, in questo quadro, la grande
novità è data dall’affacciarsi degli arabi fra Oriente e
Occidente.
Per secoli saranno loro i principali intermediari lungo la via della seta, tanto di terra quando di mare, passando di città in città e di porto in porto.
Per secoli saranno loro i principali intermediari lungo la via della seta, tanto di terra quando di mare, passando di città in città e di porto in porto.
La fondazione di grandi
empori urbani lungo questi tracciati ha un ruolo importante nel
discorso di Cardini e Vanoli, mentre è del tutto secondaria nel
libro di Julia Smith, nonostante anche l’Europa verso la fine del
primo millennio si stesse avviando a un futuro commerciale. Ma nulla
vi era di paragonabile a Baghdad, Samarcanda, Hormuz.
Per vedere viaggiatori
europei sulla via della seta bisogna attendere la cosiddetta
«rivoluzione commerciale» del Duecento in Europa, la creazione
dell’impero mongolo in Asia. Allora sui cammini che erano stati
percorsi per secoli da missionari buddhisti e mercanti musulmani si
affacciarono anche gli occidentali. Francescani come Giovanni di Pian
del Carpine, Guglielmo di Rubruck e Odorico da Pordenone, e laici
come Marco Polo, ma anche tanti altri rimasti anonimi o comunque meno
noti.
Se Il Milione continua a
essere letto da molti, per fortuna, ma oggi disponiamo anche di belle
edizioni degli scritti francescani: ultima uscita, la Relatio de
mirabilibus orientalium Tatarorum di Odorico da Pordenone (edizione
critica a cura di Annalia Marchisio, Sismel, pp. 643, euro 95). Per
noi l’epoca d’oro dei viaggi lungo la via della seta resta quella
fra Duecento e Trecento.
Tuttavia, anche l’età moderna, per la quale siamo maggiormente portati a pensare alle rotte atlantiche, ha nell’Asia un baricentro inossidabile. Cardini e Vanoli conducono infatti il discorso fino all’epoca del Grande Gioco per la spartizione dell’Asia, per chiudere promettendo che «il viaggio ricomincia». O, forse, non è mai finito.
Il Manifesto – 15
dicembre 2017