Dalla Bibbia a Dante, da Goethe a Bulgakov il maligno è al centro di infinite narrazioni. Perché
incarna e spiega il lato oscuro dell'esistente.
Alberto Manguel
Le relazioni
pericolose tra Dio e il Diavolo
Se quella che chiamiamo
coscienza sia nata da quella che chiamiamo immaginazione, o se sia
esattamente il contrario, poco importa: sta di fatto che sin dagli
albori della nostra civiltà abbiamo iniziato a raccontare storie per
cercare di spiegare la nostra esistenza, e abbiamo immaginato un
essere divino, una parola magica, un drago, una collisione di materia
e antimateria come nostro "C'era una volta". Pascal la
descriveva come la "spintarella" gentilmente fornita da un
Creatore primordiale: da allora, le storie possono svilupparsi per
conto loro.
Le storie che raccontiamo
hanno la loro ombra: all'inizio corrisponde la fine, così come al
giorno corrisponde la notte e alla veglia il sonno. Ogni trama ha
almeno due interpretazioni e ogni personaggio ha almeno due facce.
Sopra una delle porte di una piccola chiesa, nel nord del Québec,
c'è la statua di una donna: vista di fronte ha un aspetto
aggraziato, ma la parte di dietro è un ammasso di vermi e larve che
strisciano attraverso viscere e costole esposte. Tutto quello che
immaginiamo ha un punto debole.
Lo scandalo provocato dal
giudaismo quando ridusse i tanti dei antichi a una singola divinità
onnipresente e onnisciente dovette apparire troppo squilibrato a
un'umanità assuefatta a un pitagorico universo binario. Ben presto
un secondo personaggio venne introdotto sul palcoscenico delle sacre
scritture. Anche lui era onnisciente e onnipresente, anche se in fin
dei conti soggetto alla volontà divina, e tuttavia abbastanza
scaltro da mettere alla prova perfino l'Onnipotente, come nei
racconti ammonitori di Giobbe e Abramo.
Era l'oscurità che faceva da
contraltare alla luce di Dio, una forza distruttiva opposta alla Sua
energia creativa, una verità alternativa alla Verità. Gli furono
dati molti nomi, fra cui Satana, Lucifero, Mefistofele, Belzebù,
Mastema (nei primi testi rabbinici), Iblis (nel Corano) o
semplicemente il Diavolo (dal greco diàbolos, che significa
"calunniatore").
Nel Libro dei Giubilei
(che fa parte dei testi apocrifi) si dice che quando Geova, dopo il
Diluvio, decise di espellere gli angeli ribelli e liberare il genere
umano dalla tentazione, il Diavolo convinse Dio a lasciargli tenere
sulla terra il dieci per cento di quello stormo di angeli caduti, per
continuare a mettere alla prova la fede degli esseri umani. Per la
sua abilità nel mentire, Gesù definì il Diavolo «padre della
menzogna».
Non contento di questa
divisione assoluta fra il Bene Supremo e il Male Supremo, il poeta
sufi al-Ghazali immaginò un alibi per il Diavolo e scrisse che
quando gli angeli, su ordine di Dio, si prostrarono davanti al
neocreato Adamo, soltanto il Diavolo si rifiutò, dicendo che il
comando di Dio era un modo per metterli alla prova, perché «il
Cielo proibisce a tutti di adorare chiunque non sia l'Onnipotente».
Al-Ghazali non dice come Dio ricompensò il suo fedele servitore, ma
in altre religioni il Diavolo continua a essere il nemico implacabile
del genere umano.
Sant'Agostino pensava che
desse deliberatamente il cattivo esempio e argomentava che «quando
l'uomo vive secondo l'uomo, non secondo Iddio, è simile al diavolo».
Ancora prima, nel II secolo, Apelle disse che il Diavolo era un
demiurgo che aveva ispirato i profeti dell'Antico Testamento. Dante
saggiamente collocò il Diavolo proprio al centro della Terra, dove
il più bello degli angeli era caduto dopo la ribellione, inducendo
le terre dell'emisfero australe a ritrarsi inorridite e lasciando un
mondo acquatico «senza gente».
Lutero (come Sant'Antonio prima di
lui) vedeva il Diavolo come un molesto tentatore e com'è noto gli
lanciò contro un calamaio, lasciando una macchia sulla parete dello
studio nel castello di Wartburg, che un secolo fa era ancora
visibile. Milton immaginava il Diavolo come una specie di nastro di
Möbius («Come fuggir l'inferno? Io son l'inferno»). Goethe, con
una punta di compassione, suggeriva che forse il Diavolo tenta gli
umani perché è infelice e solamen miseris socios habuisse doloris
(in sostanza: l'infelicità ama la compagnia).
Senza dubbio il Diavolo è
ancora tra noi. Ancora oggi, in Austria, Baviera, Croazia, Repubblica
Ceca, Ungheria, Slovacchia, Slovenia e parti del Nord Italia, il
Diavolo (noto in questa regione come il Krampus) accompagna Babbo
Natale nei suoi giri, cercando di spingere i bambini cattivi in un
sacco per fustigarli con fasci di rami di betulla. Il Diavolo-Krampus
è una brutta creatura cornuta antecedente al cristianesimo, che si
trascina dietro delle catene per mostrare che adesso è legata al
volere della Chiesa. In altre occasioni il Diavolo assume l'aspetto
di un barboncino, di un serpente, di un drago o perfino di un
gentiluomo.
Dante (di nuovo lui)
sosteneva che tutto nell'universo è frutto dell'amore di Dio,
compreso il peccato. Seguendo questa idea, il Diavolo può essere
visto come colui che corrompe o dirotta questa proiezione divina,
spingendo gli uomini ad amare troppo (lussuria o avarizia) o troppo
poco (superbia, invidia, accidia e ira) o a dirigere il proprio amore
verso oggetti inappropriati (cupidigia e gola).
San Bonaventura scrisse
che il nostro smarrimento di fronte a sofferenze inspiegabili mostra
semplicemente la nostra mancanza di fede nella giustizia perfetta di
Dio, e deriva dal fatto che non conosciamo interamente il suo
disegno.
Chiamiamo in causa il
Diavolo per cercare di spiegare i turpi eventi che ci affliggono
quotidianamente, ora e sempre. Il Diavolo (diciamo) ci sussurra alle
orecchie cose orribili e ispira le nostre peggiori azioni.
È il Diavolo (insistiamo
noi) il responsabile delle malattie, delle guerre, delle carestie;
dell'ascesa al potere di Caligola, di Stalin, di Hitler; della
tortura, dell'omicidio e dell'abuso di minori. Il diavolo è la
confusa giustificazione dei nostri incubi e azioni da incubo, ma
sfortunatamente la tesi della sua responsabilità non convince fino
in fondo. Se il lavoro del Diavolo può essere visto come il lato
oscuro delle fatiche di Dio, l'infelicità onnipervasiva del mondo
potrebbe essere interpretata come una sorta di penuria di energia
divina, come l'inconcepibile prova di una spossatezza
dell'Onnipotente.
I cassidici raccontano questa storia: in uno
sperduto oscuro villaggio della Polonia centrale, c'era una piccola
sinagoga. Una notte, mentre faceva i suoi giri, il rabbino entrò e
vide Dio seduto in un angolo buio. Si prostrò faccia a terra ed
esclamò: «Signore Iddio, che cosa ci fai Tu qui?». Dio non gli
rispose né con un tuono né con un turbine di vento, ma con una voce
flebile: «Sono stanco, rabbino, sono stanco da morire».
(Traduzione di Fabio
Galimberti)
La repubblica – 3
gennaio 2008