Nel suo ultimo libro
Marino Magliani raccoglie i fili sparsi del suo percorso esistenziale
e artistico. Attraverso il Ponente ligure, la Spagna, l'Olanda si
dipanano le tappe di un viaggio quasi iniziatico alla ricerca di un
tempo forse perduto o forse ancora da vivere. Un libro intenso e
poetico, senza nostalgie consolatorie, scritto con la rude tenerezza
di chi, proprio come i nostri vecchi in eterna lotta con una terra
povera ed aspra, vive senza illusioni, consapevole della durezza della
condizione umana.
Guido Festinese
Nugoli vorticosi di
insetti, ovvero moscerini assai danzanti
In Liguria, su certe
mulattiere rose dagli anni e da milioni di zoccoli a volte può
ancora capitare di vedere la protezione «a coltello». Sono certe
lamine affilate e lisce di pietra che stanno le une accanto alle
altre, come menhir in miniatura, in punti ventosi, dove la furia
dell’aria porterebbe detriti e foglie ad occupare il sentiero. Così
è la lingua accorta che usa nei suoi romanzi e racconti Marino
Magliani: affilata, precisa, liscia. A protezione. Per salvare il
salvabile di quanto può ancora essere detto in modo asciutto e
sgombro di qualsiasi cascame retorico, sentimentale o ideologico che
possa essere.
La memoria si,
l’autobiografia composta e ricomposta da mille prospettive e
stimoli indotti da un paesaggio – specchio sì. Il compatimento
mai. Sono queste le impressioni che rimangono, forti, appena chiuse
le pagine del suo ultimo romanzo – memoir, titolo al solito
incantante e foriero di curiosità: L’esilio dei moscerini
danzanti giapponesi (Exòrma).
Nel penultimo Carlos
Paz e altre mitologie private lo scrittore ligure da molto tempo
con base olandese, in un luogo che è una sfida all’anima, aveva
mostrato di padroneggiare registri stilistico – linguistici
disparati, come una sorta di supercoordinamento di arti
diversificarti in un unico grande corpo narrativo.
Qui la riflessione torna
invece a concentrarsi, a trovare un centro ossessivo di riflessione
che allarga cerchi concentrici: è l’ «esilio del titolo». La
condizione di chi, come Magliani, fa parte di quella generazione di
persone che hanno fatto in tempo a vivere scampoli significativi di
anni Sessanta e Settanta, e da allora vivono la lacerazione non
pacificata del proprio paesaggio interiore affettivo con una continua
dromomania, l’ossessione dell’essere continuamente in movimento,
di spostarsi per esorcismo personale.
Per Magliani, dopo le
esperienze di vita e mestieri duri in mezzo mondo un pendolo continuo
tra il paesino della sua Liguria di Ponente e Zeewijk, Olanda, dove
il paesaggio è fatto di dune sabbiose, di silenzi spettrali, di
freddo e di case ricostruite ogni vent’anni.
I Moscerini danzanti
giapponesi ci sono davvero, lì: sono le nuvole di insetti che,
migrati dall’Oriente, da mezzo secolo hanno colonizzato le coste
sabbiose del Nord. Si muovono assieme in aria disegnando segni,
facili prede degli uccelli, in una sorta di balletto sacrificale.
L’esilio non perdona, ma lascia posto per un’ultima danza
elegante
il Manifesto – 23 giugno 2017