Continua la discussione aperta dal film Agorà. Gabriella Freccero si confronta con la figura di Ipazia dal punto di vista del pensiero della differenza di genere.
Gabriella Freccero
Ipazia di Alessandria o della cancellazione della libertà di parola femminile
Il rinnovato interesse per la figura di Ipazia di Alessandria mostra la vicinanza tra la sua epoca e la nostra, entrambe caratterizzate da un profondo riassetto del potere, tra quarto e quinto secolo la definitiva sostituzione dei vescovi cristiani ai legati imperiali nel dominio del territorio dell'ormai disfatto impero romano; oggi gli immani spostamenti di popoli prodotti dalla globalizzazione sotto la guida di un impero mondiale delle holdings economiche che ha intrapreso la strada della
liquidazione degli stati nazionali sulle scelte fondamentali della produzione e distribuzione delle risorse, lasciando poi beninteso a loro la gestione degli effetti della collisione di culture e di mondi che questo spostamento provoca.
I tempi attuali sono maturi per un più vasto dibattito , ma il pensiero femminista italiano si è molto interessato ad Ipazia già da tempo, producendo elementi di riflessione che tornano oggi utili per la discussione. Il testo guida per la riflessione rimane l'insuperato Ipazia di Alessandria pubblicato nel 1993 dalla
filosofa Gemma Beretta ,sua tesi di laurea poi ampiamente rielaborata e prodotta nel solco del pensiero filosofico e politico della differenza sessuale. L'idea fondamentale è che Ipazia si trovò al centro di un conflitto di autorità che era sì quello tra il mondo pagano e quello cristiano, ormai irriducibili ad una visione del mondo condivisa, ma anche di un conflitto tra autorità femminile e maschile, che dovette risolversi con la tragica cancellazione della libertà di parola femminile su cui il potere politico ed ecclesiastico trovarono da lì in poi una alleanza ferrea che ha effetti ancora oggi , se pensiamo alla difficoltà delle donne di giocare
liberamente nel mondo un ruolo di potere che non sia la pura imitazione delle modalità maschili.Parresìa veniva chiamata nel mondo greco la capacità e possibilità di esprimersi pubblicamente senza censure, e dopo di lei la Chiesa applicherà con più attenzione la prescrizione di Paolo diTarso che le donne tacciano in assemblea e che non esercitino un pubblico insegnamento. Tanto zelantemente fu applicato il principio che ancora nella dichiarazione dei diritti universali delle donne proclamata nella prima assemblea femminista internazionale di Seneca Falls del 1848 le donne inserirono il diritto di insegnamento pubblico e di libera parola nelle assemblee.
Ipazia giocò il suo ruolo in Alessandria come maestra riconosciuta e punto di riferimento per i pagani, ma come libero punto di ascolto anche per i cristiani e per tutti coloro che avessero voluto sentirla spiegare Platone o Aristotele o qualunque altro filosofo, come raccontano le fonti.L'eterogeneità della provenienza dei suoi allievi, messa anche in luce dal film di Amenabar, che comunque non vi comprende donne, cosa che invece dovette essere possibile se non frequente, se
pensiamo alla notevole quantità di donne e maestre nelle scuole neoplatoniche dell'epoca, era la testimonianza di un atteggiamento suo non semplicemente o non solo illuminato, ma frutto di una deliberata interpretazione della dottrina neoplatonica che essa coltivava a fianco ed a completamento esistenziale della sua attività di astronoma: la convinzione che il nutrimento della filosofia dovesse essere portato al di fuori delle scuole nelle piazze e fra la gente (si gettava quindi il mantello dei filosofi sulle spalle e faceva le sue uscite per la città, ricordano gli storici), riconoscendo quindi un ruolo essoterico e politico della filosofia di contro alla scelta esoterica e magica propria del neoplatonismo orientaleggiante, cui pare anche il padre Teone fosse più incline,che portava la dottrina ad essere produzione e fruizione di una ristretta cerchia di iniziati.
Il neoplatonismo alessandrino, che aveva in Plotino un maestro indiscusso, tramite lei assunse quella peculiare equidistanza sia dal magismo ed irrazionalismo propria della scuola ateniese che dal violento anticristianesimo, conservò l'attitudine alla via maestra del ragionamento per gradi, da una affermazione ritenuta vera al passo successivo, che era poi la tecnica maieutica di Socrate, passo per passo partire da opinioni spesso erronee ed arrivare a verità quasi solo intravvedute, alla cui piena comprensione avrebbe portato solo un perfezionamento individuale lungo e rigoroso, una strada di iniziazione a misteri sempre più profondi che nell'idea di Ipazia avrebbero dovuto aprire la comprensione alla perfetta corrispondenza delle leggi fisiche e cosmiche con quelle metafisiche e spirituali.
Berger, il trionfo di Astrea (1851)
Maestra nei gesti carichi di potenza simbolica, quando mostrò i panni del mestruo all'allievo per distoglierlo dall'infatuazione verso di lei, non intese tuttavia denigrare il corpo femminile o svilirlo; rimise al suo posto il dato corporeo, che così come viene al mondo in forma maschile o femminile non significa di per sé nulla in particolare ma è solo puro fatto, nulla di per sé legato a bellezza o bruttezza o qualsiasi significato, che viene solo dopo. Fermarsi alla bellezza di un corpo significa precludersi, come esponeva già Socrate nel Simposio platonico, il passaggio ad apprezzare tutti i corpi belli e dai corpi belli passare al bello nelle istituzioni, alle scienze,alla scienza del bello in sé.Ipazia venne ad incarnare l'ideale della Vergine Astrea , ripreso nell'epigramma di Pallada
« Quando ti vedo mi prostro davanti a te e alle tue
parole,
vedendo la casa astrale della Vergine,
infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto
Ipazia sacra, bellezza delle parole,
astro incontaminato della sapiente cultura. »
quella vergine portatrice di giustizia pace e abbondanza sulla terra di cui già Virgilio vagheggiava il ritorno nella quarta egloga delle Bucoliche assieme alla mitica età dell'oro di Saturno, a sua volta attingendone la storia mitica da Le opere e i giorni di Esiodo; nel fare questo ridava vigore al complesso simbolismo delle dee mediterranee ed egizie, da Maat che impersonava l'ordine stesso del cosmo e che in Grecia portava il nome di Themis, a Iside celeste , a Nut signora della volta stellata, alla fenicia Astarte signora dei luoghi alti, con un complesso coinvolgimento nel mito che sarà eguagliato solo da un'altra eccezionale interprete di Astrea, Elisabetta I di Inghilterra, la regina Vergine. In ambito cristiano lo stile di vita della verginità aprì alle donne per un breve periodo una forma di realizzazione diversa dagli obblighi riproduttivi familiari e ne fece le interlocutrici privilegiate dei padri fondatori del Cristianesimo.Socrate Scolastico la riconosce quale vera erede della tradizione filosofica che da Platone passava per Plotino; genealogia non condivisa già in antico quando Ierocle non la nomina nemmeno riconoscendo una tradizione che da Ammonio Sacca passa a Plotino poi a Porfirio e Giamblico e a Plutarco di Atene. Questa via intermedia al neoplatonismo fu dunque opera sua ,in cui il tentativo di praticare una via dall'universo sensibile a quello metafisico può avvenire tramite l'opera faticosa ma insostituibile della dialettica, l'arte di accedere per gradi alla verità senza miracoli e senza sofismi, alla ricerca di quel dritto canone di verità cui dedicò la vita.
Gabriella Freccero, laureata in Storia ad indirizzo antico, da sempre attivamente impegnata nel movimento femminista, vive e lavora a Savona. Collabora con numerose riviste fra cui Donne e conoscenza storica, Senecio, Dominae, Leggere donna, La Civetta.
Maestra nei gesti carichi di potenza simbolica, quando mostrò i panni del mestruo all'allievo per distoglierlo dall'infatuazione verso di lei, non intese tuttavia denigrare il corpo femminile o svilirlo; rimise al suo posto il dato corporeo, che così come viene al mondo in forma maschile o femminile non significa di per sé nulla in particolare ma è solo puro fatto, nulla di per sé legato a bellezza o bruttezza o qualsiasi significato, che viene solo dopo. Fermarsi alla bellezza di un corpo significa precludersi, come esponeva già Socrate nel Simposio platonico, il passaggio ad apprezzare tutti i corpi belli e dai corpi belli passare al bello nelle istituzioni, alle scienze,alla scienza del bello in sé.Ipazia venne ad incarnare l'ideale della Vergine Astrea , ripreso nell'epigramma di Pallada
« Quando ti vedo mi prostro davanti a te e alle tue
parole,
vedendo la casa astrale della Vergine,
infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto
Ipazia sacra, bellezza delle parole,
astro incontaminato della sapiente cultura. »
quella vergine portatrice di giustizia pace e abbondanza sulla terra di cui già Virgilio vagheggiava il ritorno nella quarta egloga delle Bucoliche assieme alla mitica età dell'oro di Saturno, a sua volta attingendone la storia mitica da Le opere e i giorni di Esiodo; nel fare questo ridava vigore al complesso simbolismo delle dee mediterranee ed egizie, da Maat che impersonava l'ordine stesso del cosmo e che in Grecia portava il nome di Themis, a Iside celeste , a Nut signora della volta stellata, alla fenicia Astarte signora dei luoghi alti, con un complesso coinvolgimento nel mito che sarà eguagliato solo da un'altra eccezionale interprete di Astrea, Elisabetta I di Inghilterra, la regina Vergine. In ambito cristiano lo stile di vita della verginità aprì alle donne per un breve periodo una forma di realizzazione diversa dagli obblighi riproduttivi familiari e ne fece le interlocutrici privilegiate dei padri fondatori del Cristianesimo.Socrate Scolastico la riconosce quale vera erede della tradizione filosofica che da Platone passava per Plotino; genealogia non condivisa già in antico quando Ierocle non la nomina nemmeno riconoscendo una tradizione che da Ammonio Sacca passa a Plotino poi a Porfirio e Giamblico e a Plutarco di Atene. Questa via intermedia al neoplatonismo fu dunque opera sua ,in cui il tentativo di praticare una via dall'universo sensibile a quello metafisico può avvenire tramite l'opera faticosa ma insostituibile della dialettica, l'arte di accedere per gradi alla verità senza miracoli e senza sofismi, alla ricerca di quel dritto canone di verità cui dedicò la vita.
Gabriella Freccero, laureata in Storia ad indirizzo antico, da sempre attivamente impegnata nel movimento femminista, vive e lavora a Savona. Collabora con numerose riviste fra cui Donne e conoscenza storica, Senecio, Dominae, Leggere donna, La Civetta.