Giorgio Amico
Il senso delle cose: a proposito di Marchionne e... Cechov
Le esternazioni dell'amministratore delegato della Fiat hanno colpito anche noi non tanto per la loro arrogante banalità quanto per l'assoluta insensibilità mostrata verso le donne e gli uomini costretti per vivere a lavorare nei suoi stabilimenti. Marchionne ragiona come i generali che a tavolino pianificano battaglie che costeranno migliaia di vite. Lo stesso disprezzo per la vita degli altri, la stessa noncuranza. Come per i generali i soldati esistono solo per combattere, così per Marchionne gli operai vivono solo per produrre. La loro vita, i loro problemi non interessano, non contano nelle scelte. Non sono uomini e donne, portatori di diritti sogni e speranze, ma semplici pedine sulla scacchiera del mercato e dunque sacrificabili a piacere.
Ascoltavamo le frasi di Marchionne, assistevamo a questa esibizione arrogante di potere e ci tornavano in mente le domande che si poneva molto tempo fà un autore non “schierato” come Anton Cechov, forse il più “borghese” dei grandi autori russi, che ad uno dei suoi personaggi, il dottor Koriolov, faceva dire mentre attraversava il cortile di una fabbrica diretto alla casa padronale:
Qui c'è un malinteso, di certo... pensava. […] Millecinquecento, duemila operai lavoravano senza riposo, in un ambiente malsano, fabbricando un cattivo cotone stampato, non si tolgono la fame e solo ogni tanto, alla bettola, si riscuotono da quest'incubo; un centinaio di persone sorvegliano il lavoro e tutta la vita di questi cento se ne va nel segnar multe, in ingiurie e ingiustizie, e soltanto due o tre, i cosiddetti padroni, godono dei vantaggi, benché non lavorino affatto e disprezzino il cattivo cotone. […] E ne viene dunque che tutti questi cinque corpi di fabbrica lavorano e sui mercati orientali si vende un cattivo cotone stampato perchè Christina Dmitrievna possa mangiare storioncini e bere madera.
(A. Cechov, Anima cara, Rizzoli 1957, p.23)