TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 8 gennaio 2011

Jaufré Rudel e la poesia occitana delle origini


E' una lingua (intesa nell'accezione più ampia di cultura) comune che fa di un popolo una nazione. E' l'esistenza di una lingua viva e fiorente che rende l'Occitania una nazione senza Stato. E questo nonostante che per secoli in Francia (e in Italia) si sia tentato di ridurre la lingua d'Oc a un'insieme di dialetti locali, a una mera sopravvivenza del passato condannata all'estinzione. Ma le radici della cultura occitana erano troppo profonde, l'albero era ancora vivo e poteva generare nuove foglie. Di queste radici iniziamo a parlare oggi.

Jaufré Rudel e la poesia occitana delle origini


La poesia lirica dei trovatori fiorì nella Francia meridionale e in Provenza tra la fine del secolo XI e i primi due decenni del XIII secolo: dopo la crociata contro gli Albigesi e la pace di Parigi del 1229 conobbe un rapido tramonto. È difficile individuare le origini della poesia lirica provenzale. C’è chi la collega alla tradizione classica latina di poesia erotica e chi invece a quella araba, né manca chi la riconnette piuttosto alla poesia religiosa di esaltazione della Vergine. Ma nessuna di queste ipotesi può ritenersi definitiva.

La poesia dei trovatori è una delle espressioni della vita di corte: anche se i poeti possono essere grandi signori e feudatari, come Guglielmo IX d’Aquitania, per lo più provengono dalle fila della piccola nobiltà (sono cavalieri poveri) oppure sono ministeriales, cioè dipendenti non nobili del signore. Essi, in cambio del loro canto di lode e di devozione, chiedono amore o almeno protezione alla moglie del signore. Si va da un massimo di ritualizzazione, astrazione, formalizzazione tipico del trobar clus [poetare “chiuso” e difficile] a un’apertura alla concretezza, all’amabilità e alla levità della vita, ben espressa dal trobar leu [poetare “lieve”]; dal più raffinato e idealizzato amor de lonh [amore da lontano], cantato da Jaufré Rudel, uno dei più noti poeti provenzali, alla descrizione anche sensuale della donna e degli incontri d’amore.

Nella poesia, che pure in genere canta il momento di joi [gioia] dato dalla fin’amor [amore perfetto], non manca il motivo della sofferenza d’amore per l’inaccessibilità della donna, provocata dalla sua lontananza o dalla sua superbia. Accanto a questi sentimenti, analizzati con grande sottigliezza psicologica, nel testo lirico si possono incontrare riflessioni sulla poesia stessa, sul rapporto fra tecnica impiegata e teorie dell’amore, con dichiarazioni di poetica che rivelano l’alta coscienza della propria arte che ebbero i poeti provenzali. La forma principale di poesia lirica è rappresentata dalla canzone di 4, 5 o 6 strofe, costruite secondo lo stesso schema, in versi ottosillabici in rima, e una chiusa formata da uno o più congedi.

La canzone d’amore è estremamente formalizzata, sia nella struttura metrica che in quella tematica: esordisce con un topos che descrive la natura (mostrando per esempio la corrispondenza tra amore e primavera), poi rappresenta la donna e ne canta le lodi, infine introduce la figura del rivale o dei maldicenti che possono danneggiare l’amante; la chiusura è affidata a un congedo che spesso contiene una decisione dell’innamorato in relazione alla sua vicenda d’amore. Altri sottogeneri tipici della poesia provenzale sono il sirventese, il partimen, il planh, l’alba, la pastorella.



Le poesie liriche erano trasmesse per via orale e destinate alla recitazione con accompagnamento musicale. Poiché però il trovatore affidava al giullare un testo scritto che conteneva anche la melodia, ne è rimasta una relativamente ampia documentazione. Nel XIII secolo, i testi sono stati poi raccolti in canzonieri contenenti anche vidas e razos. Il primo poeta provenzale fu Guglielmo IX duca d’Aquitania. Di lui ci sono rimaste dieci poesie in cui si incontrano temi realistici, sensuali e burleschi, ma anche un’ispirazione cortese volta a cantare la fin’amor.

Rientra in questo secondo tipo la canzone Ab la dolchor del temps novel [Per la dolcezza della nuova stagione], che è una delle più belle poesie medievali e che costituisce un modello cui si rifarà tutta la poesia provenzale. Fra i poeti successivi, la differenza che separa il trobar clus e il trobar leu è bene espressa dall’opposizione fra Raimbaut d’Aurenga, che segue la prima tendenza, e Bernart de Ventadorn, servo d’amore di Eleonora d’Aquitania, il quale segue invece la seconda. Entrambi sono attivi fra il 1150 e il 1180. I due presentano tesi opposte anche sull’amore cortese: Raimbaut lo esalta nei suoi aspetti antimatrimoniali giungendo a proporre l’inganno nei confronti del marito e a prendere come modello Tristano, Bernart lo respinge, arrivando a rifiutare la propria condizione di amante, giacché l’amore gli si presenta solo come sofferenza e negatività assoluta.

La generazione seguente è rappresentata soprattutto da Bertran de Born (poeta guerriero, canta soprattutto la guerra), Guiraut de Bornhel e Arnaut Daniel, maestro del trobar clus. Tutti e tre, attivi negli ultimi decenni del secolo XII e all’inizio del XIII, sono ammirati da Dante (nella Commedia si parla sia di Bertran sia di Arnaut). Appartiene a questa generazione anche Raimbaut de Vaqueiras, il quale reagisce al convenzionalismo che rischiava di rendere accademica la poesia provenzale e anticipa così l’analogo atteggiamento di Folquet de Marseille (anch’egli presente nella Commedia di Dante) e di Peire Cardinal, entrambi attivi fra il 1210 e il 1250. Il fatto che la poesia provenzale sia stata così ben conosciuta da Dante non deve stupire: i poeti provenzali influenzarono profondamente sia la poesia lirica tedesca dei Minnesänger, sia quella gallego-portoghese della penisola iberica, sia infine quella italiana dalla Scuola siciliana allo Stil novo sino, appunto, a Dante.

(Da: http://www.parodos.it/letteratura/breve/46.htm)



Jaufré Rudel (1125-1148)

"Jaufres Rudels de Blaia si fo mout gentils hom, princes de Blaia. Et enamoret se de la comtessa de Tripol, ses vezer, per lo ben qu'el n'auzi dirc als pelerins que venguen d'Antiocha. E fez de leis mains vers ab bons sons, ab paubres motz. E per volontat de leis vezer, et se croset e se mes en mar, e pres lo malautia, en la nau, e fo condug a Tripol, en un alberc, per mort. E fo fait saber a la comtessa et ella venc ad el, al son leit e pres lo entre sos bratz. E saup qu'ella era la comtessa, e mantenent recobret l'auzir al flairar, e lauzet Dieu, que l'avia la vida sostenguda tro qu'el l'agues vista; et enaissi el mori entre sos bratz. Et ella lo fez a gran honor sepellir en la maison del Temple; e pois, en aquel dia, ella se rendet morga, per la dolor qu'ella n'ac de la mort de lui. "


Jaufre Rudel de Blaia era uomo molto nobile, principe di Blaia. E si innamorò della contessa di Tripoli, senza averla mai vista, per il bene che ne sentiva dire dai pellegrini che venivano da Antiochia. E su di lei compose molti vers con buone melodie, ma con parole mediocri. E per il desiderio di vederla si fece crociato e si mise per mare, e sulla nave lo prese una malattia, e fu condotto a Tripoli, in un albergo, e dato per morto. E fu fatto sapere alla contessa, ed ella venne da lui, al suo capezzale e lo prese fra le braccia. Ed egli si rese conto che si trattava della contessa e di colpo recuperò l'udito e l'odorato e si mise a lodare Dio di avergli concesso di vivere tanto da poterla vedere; e così morì tra le sue braccia. Ed ella lo fece seppellire con grande pompa nella casa del Tempio; e poi, in quel giorno, si fece monaca per il dolore che provava per la sua morte.

Lanqan li jorn son long en mai


1. Lanqan li jorn son long en mai
m'es belhs dous chans d'auzelhs de lonh,
e quan me sui partitz de lai
remembra.m d'un amor de lonh;
vau de talan embroncx e clis,
si que chans ni flors d'albespis
no.m platz plus que l'iverns gelatz.

2. Ja mais d'amor no.m jauzirai
si no.m jau d'est'amor de lonh,
que gensor ni melhor no.n sai
ves nulha part, ni pres ni lonh;
tant es sos pretz verais e fis
que lay, el renh del Sarrazis,
fos ieu per lieys chaitius clamatz!

3. Iratz e jauzens m'en partrai
s'ieu ja la vei, l'amor de lonh:
mas no sai quoras la veyrai,
car trop son nostras terras lonh:
assatz hi a pas e camis,
e per aisso no.n suy devis:
mas tot sia cum a Dieu platz!

4. Be.m parra joys quan li querrai,
per amor Dieu, l'alberc de lonh;
e s'a lieys platz, albergarai
pres de lieys, si be.m de lonh:
adoncs parra.l parlamen fis,
quan drutz lonhdas er tan vezis
qu'ab bels digz jauzira solatz.

5. Be tenc lo Senhor per verai
per qu'ieu veirari l'amor de lonh;
mas per un ben que m'en eschai
n'ais dos mals, quar tan m'es de lonh.
Ai! car me fos lai pelegris,
si que mos fustz e mos tapis
fos pels sieus belhs uelhs remiratz!

6. Dieus que fetz tot quant ve ni vai
e formet cest'amor de lonh
mi don poder, que cor ieu n'ai,
qu'ieu veya cest'amor de lonh,
verayamen, en tals aizis,
si que la cambra e.l jardis
mi resembles tos temps palatz!

7. Ver ditz qui m'apella lechai
ni deziron d'amor de lonh,
car nulhs autres joys tan no.m plai
cum jauzimens d'amor de lonh,
mas so qu'ieu vuelh m'es atahis,
qu'enaissi.m fadet mos pairis
qu'ieu ames e no fos amatz.

8. Mas so qu'ieu vuelh m'es atahis,
qu'enaissi.m fadet mos pairis
qu'ieu ames e no fos amatz.


1. Allor che i giorni sono lunghi a maggio, mi piace il dolce canto degli
uccelli di lontano, e quando mi sono partito di là mi ricordo di un amor
lontano. Vado per il desiderio imbronciato e a capo chino, così che né
canto né fior di biancospino mi giovano più dell'inverno gelato.

2. Mai d'amore io godrò se non godo di questo amor lontano, perché non
conosco (donna) più nobile e buona in nessun luogo, vicino o lontano; tanto
è il suo pregio verace e fino che là, nel regno dei Saraceni, fossi io per
lei tenuto prigioniero!

3. Triste e gioioso me ne partirò, dopo averlo visto, l'amore lontano: ma
non so quando la vedrò, perché le nostre terre sono troppo lontane: vi sono
molti valichi e strade, e perciò non posso indovinare (quando la vedrò): ma
sia tutto secondo la volontà di Dio!

4. Mi sembrerà certo gioia quando io le chiederò, per amore di Dio,
l'albergo lontano, e, se a lei piaccia, abiterò presso di lei, anche se di
lontano: dunque sarà fino il parlare, quando l'amante lontano sarà tanto
vicino, che sarà consolato dalle belle parole

5. So bene che il Signore è veritiero, per questo io vedrò l'amor lontano;
ma per un bene che ne traggo ne ho due mali, tanto sono lontano. Ahi!
perchè non sono andato laggiù da pellegrino, così che il mio bordone e la
mia schiavina fossero visti dai suoi begli occhi!

6. Dio che fece tutto ciò che viene e va e creò questo amor lontano mi dia
la possibilità, che io certo lo voglio, di vedere questo amor lontano;
veramente, con tale agio che la camera e il giardino mi ricordino sempre
dei palazzi!

7. Dice il vero chi mi chiama ghiotto e desideroso dell'amor lontano, che
null'altra gioia tanto mi piace come il godere dell'amor lontano. Ma ciò
che voglio mi è negato, che così mi dette in sorte il mio padrino, che io
amassi e non fossi amato.

8. Ma ciò che voglio mi è negato, che così mi dette in sorte il mio
padrino, che io amassi e non fossi amato.

(Da: http://www.accademiajr.it/jaufr/canzjr.html)