Guido Seborga
Abbiamo cominciato, poi si vedrà
In una curva spezzata Genova appare con le sue case alte e grigie. Un sole invernale illumina le colline. Il fumo delle fabbriche e del porto blocca il sole nel cielo e in alto mare; non permette ai raggi di penetrare nel porto, le vecchie case dell'angiporto di sottoripa sono nere. In porto l'acqua è dominata dai ponti dalle banchine dalle calate; le navi stanno nell'acqua pigre e stanche; le grues svettano al cielo, in questa grande sacca nera dall'acqua stagnante melmosa, non c'è riposo. Silos, vagoni, carrelli, rotaie, opifici, bar, cassoni, sacchi, balle, ceste; ed in mare chiatte, rimorchiatori, vapori, navi, petroliere; e tanti tanti uomini in lavoro.
Un uomo anziano che conosceva tanta vita passata: «Tirano il colpo di farci ritornare al tempo dello "scrollino".»«Sta a noi di non permetterlo!» - esclamò il console. Questo era un punto sul quale tutti avrebbero dato battaglia.
Il console disse: «Giocano sul fattore psicologico della libertà, leggete certi giornali, cosa dicono? È tanto semplice! È assurdo - dicono - che non si possa scegliere liberamente il lavoratore
Alcuni cadono nel tranello, per fame (…). Occorre che nella propaganda, nei nostri giornali, spieghiamo chiaramente a tutti cos'era l'epoca dello «scrollino», quando il lavoro veniva tirato a sorte con un soldo, quando non c'erano tariffe precise di lavoro e orario stabilito.»
«Ormai molti sanno.»
«Sì, ma non tutti sanno: dobbiamo insistere con convinzione.»
Giovanni affermò: «E soprattutto su questo punto che i lavoratori vanno mobilitati, (...)siamo-noi dalla parte del giusto, la Costituzione ci dà ragione, così possiamo batterci bene.»
Un sindacalista che dirigeva un giornaletto del porto, redatto dai portuali, disse: «Ci accusano di essere noi con i costi a far salire i prezzi del porto, imbarchi, sbarchi, noli... Questo è falso. Scriveremo articoli contro questa fandonia.».. (...)
Uomini si raggruppavano di fronte alla casetta della Compagnia, altri erano già dentro presi da discussioni lunghe e mai finite... (...). Quella loro casetta se l'erano conquistata il 25 Aprile, quando nel porto c'erano i nazifascisti, e avevano difeso sempre il porto rendendo difficile la vita agli invasori; attaccarono con coraggio i reparti occupanti, e diedero nuovamente vita alle loro organizzazioni sindacali, democraticamente ammesse dalla Legge.
Il Console in agitazione diceva ai lavoratori: «Dobbiamo essere prudenti, e non dimentichiamo che la legge è dalla nostra parte!»
I più anziani lo guardavano stupiti, non credevano neppure che esistesse una legge, per loro del resto non era mai esistita, alcuni giovani forse afferravano meglio la situazione. (Essi meglio capivano i nuovi tempi, che poi nella sostanza tanto rassomigliavano al passato, un passato che molti pensavano defunto, ma che poi molto spesso rinasceva, anche per la mancanza d'intelligenza e di fantasia di un capitale, che troppo spesso sapeva essere solo prepotente e drastico. La vita scorreva già in altro modo nel cuore e nel sangue della maggioranza degli uomini. Così nasceva una contraddizione grave, un conflitto stringente (...)
Forse si attendevano i risultati di questa discussione. Sulla libera scelta non si poteva cedere: la discussione sarebbe stata dura estrema; l'oltraggio subito con quella pretesa legge era stato troppo infamante, l'umiliazione bruciava la pelle di tutti, i ricordi riaffioravano per renderla ancora meno accettabile. (...)
Palazzo Tursi e Roma tacevano complici. (...)
Si attendevano notizie da Palazzo Tursi dove si continuava a trattare.
Poi si seppe che nulla era stato concluso, lo sciopero doveva continuare, forse estendersi ad altre compagnie, ad altre fabbriche.
La giornata non era troppo fredda e non spirava la tramontana. Ma il cielo era coperto, grigio e basso, e si concentrava nell'aria una grande quantità di fumo e di polvere, così l'esasperante attesa diventava ancora più triste. Il tempo non riusciva ad infrangersi, pareva d'essere chiusi in un sacco, e come le risoluzioni non giungevano, si passò ad una certa abulia angosciata, che opprimeva. Un grande quotidiano settentrionale, un giornale borghese, scriveva che il porto doveva essere tutto riorganizzato, che non era un fatto genovese, ma nazionale, che non era più all'altezza degli altri porti europei, e che la causa dei costi alti non erano i salari. E si richiedevano migliori collegamenti col Piemonte e la Lombardia in modo particolare. Non erano mai arrivati tanti rottami di ferro per le acciaierie, mai tanti tronchi di mogano o di teck per i mobili razionali italiani delle nuove costruzioni; non erano mai partiti tenti tessuti, tante automobili, tanto vino. Ogni giorno entravano nel porto non meno di cinquanta navi, e una ventina stavano aspettando per giorni di poter attraccare. Nuove banchine, nuove ferrovie, nuove strade.Verso sera nacque un'umidità spessa e avvolgente, e gli uomini si sentirono invadere da fremiti di freddo, poi cominciò a cadere una pioggerellina fitta e penetrante, coperte e impermeabili apparirono numerosi, gli agenti erano stufi e stanchi, i lavoratori cercarono di asserragliarsi tutti nella sede, ma il posto mancava, molti andarono a casa a dormire, si aveva la sensazione che almeno per il momento non sarebbe accaduto nulla, e le volontà si allentavano un poco. 'I dirigenti impartivano disposizioni per la notte, una notte di catrame e di acqua molle e puzza di marcio. I bar dell'angiporto erano pieni di marittimi e di operai, molti incappucciati negli impermeabili lucidi e neri venivano a curiosare e s'informavano di cosa stava accadendo, a palazzo, Tursi la discussione notturna continuava, chi era andato a dormire a casa si sentiva un po' in colpa, e dopo poche ore tornava, tutti sarebbero ritornati al mattino, anche i più stanchi o semplicemente i più pigri.
«Abbiamo cominciato, poi si vedrà...» Questa frase correva sulla bocca di molti
Guido Seborga
Morte d'Europa/Ergastolo
Spoon River, 2009
15 euro