TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


mercoledì 26 gennaio 2011

Da leggere: Marino Magliani, La spiaggia dei cani romantici

E' da pochi giorni in libreria l'ultimo libro di Marino Magliani. Ne pubblichiamo l'incipit.



Marino Magliani

La spiaggia dei cani romantici


Alla fine di febbraio a Lincoln finiva anche l’estate. Con la negra i posti dove farci a pezzi si riducevano a due o tre. Negra solo perché era ordinaria, a Lincoln se uno è ordinario è negro anche se è biondo, ma scura di pelle la negra lo era davvero. Per me era semplicemente negrita e la cominciai a chiamare così prima ancora di impalmarla. Questa parola che sentirete parecchio da qui in avanti non significa mica sposarla, da noi si impalma quando a una donna le si conosce il cuoio, e si scende al presepe.
Non credo che la negra se la prendesse per come la chiamavano, forse perché a Lincoln, come dappertutto, non c’è niente di peggio che incazzarsi se ti danno un nome. E quando lo capisci è tardi.
Quell’anno avevo deciso che sarei andato in Europa. Tolti i dieci mesi trascorsi tra caserma, guerra e ospedale militare, il resto della mia vita era marcato pampa, aveva l’odore delle sgommate e della benzina bruciata sul Falcon del vecchio, per le strade larghe di avenida Rivadavia, a dar di retromarcia contro i pali della luce per vedere se se ne muoveva uno, o quello di borotalco delle carte, le sere passate al club a farmi spellare, e l’odore della negra, quando ho smesso di andare a manuela.
Ventidue anni così, e ogni estate, durante il periodo della raccolta, una settimana di vacanza all’estancia, a centoventi chilometri da casa, tra Lincoln e Chacabuco, dove abbiamo i campi; così il vecchio poteva tenere d’occhio gli asalariados che non ci rubassero il raccolto. Eppure siamo una delle migliori famiglie di Lincoln e la gente come noi d’estate se ne va un mese a Mar del Plata. Ma noi siamo i Dronero, siamo dei pidocchiosi. E lo sanno tutti. Dietro casa il nonno piantava la verdura e papà ha mantenuto l’usanza. A Lincoln non glielo perdonano, per la gente se pianti i pomodori sei un tirchione che non vuol dar vita al verdurero…
E questa è Lincoln.
Dicevo che la negra non si è mai incazzata ma il nome non gliel’hanno tolto lo stesso. Come a me che da bambino mi chiamavano Almeja, ostrica, perché avevo poco collo, poi il collo m’è cresciuto e mi hanno continuato a chiamare Almeja.
In Europa mi chiameranno matado o colgado, che significano entrambi morto di fame, ma ora in Europa devo ancora andarci.
Impalmerò un mucchio di donne in Europa, ucciderò militari inglesi, venderò dragoni ai soldati americani, e molto altro. Così dicono. Sarà vero?
Non ho cominciato dalla soledad di Lincoln per parlarvi di questa storia e della fine dell’estate, ma solo perché quando muore l’estate in Sudamerica ne comincia una in Europa. E poi anche da voi, certamente, i posti più tristi non sono mica quelli turistici, i litorali pieni di gelaterie e spiagge che a un certo punto restano deserti, ma i posti come Lincoln dove tutto finisce, anche l’estate, senza mai iniziare.
Eppure a Lincoln, credete a me che non ci torno da mille anni, e non so neanche più se ci sia ancora qualcosa che si chiama così, avvengono lo stesso delle cose speciali che fanno dire addio all’estate. Non parlo dei bambini che un giorno rivanno a scuola, o del primo vento tra gli alberi del parque o della chiusura della piscina pubblica, ma dei chicos piola, la banda di perdigiorno nata e cresciuta in queste strade che alla fine di febbraio, regolarmente, ogni anno, riattraversa la pozzanghera ed emigra in Europa.
Un giorno questo me l’ha detto anche mio padre, con quel tono severo e misurato che usa quando crede d’inventare qualcosa di importante per l’economia argentina: «L’estate, Almeja» mi chiama così anche lui, «a Lincoln termina quando spariscono dalle strade i chicos piola».
Dovete sapere che questa dei chicos piola (significa «i ragazzi all’occhio» e sono una decina in tutto) è una cosa nata solo qualche anno fa: e da allora, quando i chicos piola tolgono le tende, la gente vive la loro partenza come un cambio climatico.
Rumbo Europa. Fanno Baires-Madrid-Las Palmas. Si fermano marzo e aprile a Playa del Inglés, Gran Canaria, o a Tenerife, o a Lanzarote, e a maggio si trasferiscono a Lloret de Mar, sulla Costa Brava.
Vivono praticamente di notte e d’estate, pare, e si mantengono lavorando nelle discoteche.
Cosa facciano in realtà lo scoprirò fra poco.
Una cosa è certa: ce li ritroviamo ciclicamente a Lincoln a novembre, con il primo caldo australe, e allora siamo tutti lì che ci facciamo dire com’è andata, quante ne hanno impalmate, gli scoli che hanno preso.
E chiediamo loro di farci registrare la musica nuova e mostrarci come si balla quest’anno in Europa.

Gennaio 1983, l’altr’anno ci sono stati i mondiali, persi da stupidi, e quest’estate, oltre alla musica e alla collezione di camicie colorate da putos e alle pastiglie che fanno ridere e vedere i dragoni, i chicos piola si sono portati a Lincoln Gregorio, un italiano, un tano, come vi chiamiamo noi in Argentina, che a Lloret de Mar lavora con loro.
Diciamo pure che per non contraddirsi i chicos piola dal l’Europa non potevano che portarsi dietro un apparato del genere, uno per cui il mondo ha la forma della fica e il resto si esaurisce in erba da fumare.
Una sera i chicos piola e il tano Gregorio sono venuti a mangiare la pizza dove vado anch’io, da Romero Morsa. Il tano, con la sua camicia variopinta, i pantaloni di pelle, la faccia pesta e le labbra gonfie che si aprono storte, passa dal mio tavolo e mi saluta militarmente. Forse qualcuno gli ha detto che sono stato alle Malvinas. Gli faccio un gesto di interrogazione, lui alza le spalle. Vengo a sapere poi dal cameriere che i milicos l’hanno menato per farsi dire chi vende l’erba e se c’è davvero qualcuno, come gira voce, che intende portarsi in Spagna qualche etto di coca rosada boliviana.
Il tano non sapeva nulla e così hanno insistito, poi l’hanno dovuto rilasciare perché della faccenda se ne sono occupati il padre e lo zio di Julio Pantelic, un ragazzo amico dei piola, gente mezzo mischiata con la junta.
Quando i chicos piola vanno in pizzeria o nei bar, paga sempre la gorda Raja, una bestiona di Lincoln che gira con loro, studentessa in farmacia, i genitori grandi proprietari terrieri, forse ancora più dei miei. La gorda la impalma un piola, il Gatto Luque, tipo alto e secco che in Europa gira voce svuoti i portafogli delle donne.
Il Gatto Luque se ne sta abbracciato alla gorda, circondato dai chicos piola, aspettano la pizza e bevono caraffe di vino mendocino. Anch’io da Romero Morsa bevo mendocino, lo mischio a gaseosa o Coca-Cola, una moda giunta dalla Spagna.
Ogni tanto il tano Gregorio si alza, mi passa accanto, mi saluta militarmente e rientra nel cesso a guardarsi la faccia gonfia allo specchio.
Il tano si sta impalmando un’amica della gorda Raja, la Carmen Botti, figlia del fabbro che vende lotteria illegale.
Ma del tano gira voce che non scende al presepe e la Carmen di questa cosa ne ha parlato alla gorda Raja, come fanno le donne, sapete, e questa alle amiche. Ora lo sa tutta Lincoln: il tano Gregorio al presepe non ci scende.
Così son tutti che gli danno addosso, specie i chicos piola, che hanno un’immagine da difendere: «Tano» gli dicono, «vergüenza, alle argentine se non ci scendi al presepe le lasci zoppe!» La voce è arrivata fino al fabbro Botti, e gli hanno chiesto se sua figlia era zoppa. Sono dovuti intervenire i milicos…
È la peggior pizzeria della pampa questa di Romero Morsa, un vino pessimo, e quella della moda europea di tagliarlo con Coca-Cola o gaseosa è una buona scusa per farlo scendere.
Non so perché ci vengo. Perché ci sono i chicos piola immagino, sono loro l’attrazione.
Sono entrati attirando subito gli sguardi, con le loro camicie e le loro battute in inglese, e Romero Morsa, che è stato anche lui a Lloret de Mar una stagione – poi il padre, per farlo rimanere a Lincoln, gli ha aperto la pizzeria.





Marino Magliani (Dolcedo, Imperia, 1960), scrittore e traduttore, ha soggiornato a lungo in Spagna e in America Latina prima di stabilirsi in Olanda, dove attualmente vive e lavora. Ha pubblicato: L'estate dopo Marengo (Philobiblon 2003), Quattro giorni per non morire (Sironi 2006), Il collezionista di tempo (Sironi 2007), Quella notte a Dolcedo (Longanesi 2008), La tana degli alberibelli (Longanesi 2009) e, con Vincenzo Pardini, Non rimpiango, non lacrimo, non chiamo (Transeuropa 2010). Con La tana degli alberibelli ha vinto la prima edizione del Premio Frontiere-Biamonti "Pagine di Liguria".

Marino Magliani
La spiaggia dei cani romantici
Instar Libri, 2011
€ 14,00