TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 18 ottobre 2011

Da leggere: "Attesa sul mare" di Francesco Biamonti


Il terzo romanzo di Francesco Biamonti. L'ultimo viaggio per mare di un marinaio alla ricerca di sè e del senso della propria vita. Un viaggio solitario e pericoloso, fra bagliori di guerra e scoppi di violenza, nell'attesa dolorosa e lancinante di una risposta che non arriva. Ne presentiamo il primo capitolo.

Francesco Biamonti

Attesa sul mare

Era ormai sulla strada di casa. Riconosceva il mormorio della terra scoscesa, come quando vi giungeva, passato il mare, nel ricordo.
- Arrivi? - gli chiese Luca seduto sul margo, fra ginestre che mandavano odore di dolciastro.
- Non ti fa piacere vedermi?
- Sono molto contento. È più la gente che va che la gente che viene. T'aiuto a portare la valigia?
- Sei più anziano di me, non voglio approfittare.
- Ero abituato a portare pesi.
- Non è una buona ragione. Non so perché, la corriera mi ha lasciato là sotto.
- La strada è stretta e di sopra c'è una frana.
- È piovuti tanto?
- Macché, niente! Ma è franata lo stesso. Tutto il paese è una frana. Non ti siedi?
Edoardo guardò in alto: il paese sembrava addormentato. Prendeva il sole di sbieco. Doveva essere caduto da poco il vento. Le farfalle si alzavano con la delicatezza della polvere.
- Com'era la tua nave? Era bella?
- Non ci crederai, ma era colore del fango.
- No, non ci credo, - disse Luca. Rise. - Una nave di fango non l'ho mai vista. Ho visto paesi di fango.
- Da lontano poteva prendere altri colori, tutti i toni dell'oro.
- Vedi che cambi idea. Da giovane ho sempre sognato di navigare. Ancora adesso farei un viaggio. Potrei essere utile?
- Certo che potresti. Ma è un mestiere da poco, - disse Edoardo. E guardò le terrazze, dove passavano cirri in un volo arioso.
- Di noi abbiamo già parlato troppo, parliamo del paese.
- C'è poco da dire. È sempre uguale.
- Va fin troppo bene, coi tempi che corrono,
- Parliamo del mare, piuttosto.
- Il vico della Palma esiste sempre?
- Il vico esiste, ma la palma l'ha spezzata il vento, una notte di marzo.
- È sempre abitato?
- Sempre le stesse persone. Ma dovresti saperlo. In fondo non manchi mica da tanto. Da qualche anno...
- Andavo e venivo. Non conosco quasi più nessuno.
- Che cosa vuoi sapere?
Edoardo non rispose. Guardava un fragile amalgama: un farfalla su un fiore odeggiante.
A quel vico pensò alla sera, a quel lastrico, all'orto, a Clara che vi abitava. «Domani la vedrò, o dopodomani, o un altro giorno». L'azzurro se ne andava, dietro i picchi.
Non aveva voglia di uscire. Se ne stava alla finestra e guardava: il cielo si staccava dalle colline mano a mano che si oscurava, il mare sempre più scarno tremava in una luce lontana.
Il mattino andò ad aspettarla. C'era il tronco di palma, il glicine, il muro pieno di sole. Non la vide passare.
Arrivò al bar, sedette sul terrazzo. Il mare era alto all'orizzonte. Luminoso tra le rupi, veniva a riva in silenzio. La sua luce tagliava le colline, poi s'inerpicava.
Cercò un telefono, compose il numero di telefono dove lei lavorava. Sentì la voce, un: - Sì - mormorato e sospeso.
- Sono Edoardo, sono tornato.
- Sono così contenta - Si riprese subito: - Dove sei adesso?
- A Pietrabruna.
- Puoi scendere? Sei stanco? - la voce si faceva apprensiva. - Ma no, aspettami! Salgo io a mezzogiorno. Puoi aspettarmi?
- Sono venuto solo per questo.
Fece un giro largo per tornare a casa. (Abitava all'altro capo del paese, al di là della chiesa seicentesca, quasi spagnola). S'inoltrò nel bosco a tramontana.
Sul pendio silenzioso ardeva l'oro delle eriche arboree.
Per terra altre eriche, erbacee, a chiazze viola. Più in là si alzavano «terche», con corvi appollaiati e rosmarini sereni. Si vedeva di nuovo il mare.
A mezzogiorno giunse Clara e osservò quelle eriche.
- Dove le hai raccolte?
- Sotto Pietrabruna, sull'altro versante.
- Il dorato e il viola: i miei preferiti.
- Lo sapevo.
- Dipende anche dai giorni.
Raccolse dal tavolo rami e steli, fece un bel vaso.
In lei tutto dipendeva dai giorni: la gioia, il dolore, le cose più futili e le più intime.
- Andiamo a mangiare fuori?
- Hai fame?
- Non troppo.
- Restiamo, qui allora
Prese il vaso che aveva appena composto, lo sollevò con le due mani, lo collocò sulla credenza. Adesso le eriche infrangevano la piena luce di mezzogiorno.
- Quando sei arrivato?
- Ieri, - disse Edoardo. Aveva pensato a lei tutta la sera in un gorgo di ricordi.
- Perché non mi hai cercata? Ero così stanca di non vederti. È un po' che aspettarti è diventata una sofferenza.
- Forse devo ripartire di nuovo - . Vide i suoi occhi indurirsi. - Dammi tempo ancora una volta. Poi mi fermerò.
Gli si diede senza una parola. Le palpebre ancora abbassate, gli domandò se voleva che si cercasse un altro. Una luce a chiazze le pioveva addosso, dorava una gamba piegata e un braccio posato sul seno. «Guardala, - disse a se stesso, - in questa luce che la cerca, nel suo abbandono. E ricordala». Poi lei si alzò. Lo splendore le scendeva dai capelli lungo la schiena, Andò a rivestirsi in un angolo, in un mosaico d'ombre.
- Ci rivedremo, - disse. - Se non vuoi perdermi sai cosa fare.







Francesco Biamonti
Attesa sul mare
Einaudi 2008 (1994)
12 euro