“Le donne rimangono
sotto più punti di vista oggetti, mentre gli obiettivi femministi e
delle filosofie femministe non sono stati conseguiti”.Una
riflessione della filosofa Nicla Vassallo.
Nicla Vassallo
Del femminile come
oggetto
Presso i Musei Vaticani,
al cospetto della Scuola di Atene di Raffaello, la presenza
di maschi/uomini risulta netta, netta se non fosse per un “ambiguo”
individuo, a fianco di Parmenide: forse si tratta di Ipazia – non
tutti concordano. Ipazia, certo, non era una donna oggetto, e così
l’hanno brutalmente uccisa. Anche Diotima, prima di Ipazia, non
raffigura, unica donna nel Simposio di Platone,
nient’affatto una donna oggetto. Tuttavia, di tali donne la storia
della filosofia ne ricorda ben poche: le donne sono state martoriate
dai filosofi, con qualche eccezione a parte – Cartesio e John
Stuart Mill, ad esempio.
Prendiamo Aristotele: le
donne rimangono maschi menomati o mutilati; il loro essere femmine si
deve alla mancanza di potenza; la loro femminilità coincide con la
passività, e da passive vanno trattate, al pari di oggetti. E via di
seguito con le generalizzazioni: rispetto agli uomini, le donne si
attesterebbero impulsive, doppie, gelose, petulanti, spudorate.
Avremmo potuto confidare in Tommaso, il santo, che invece in
proposito si fa anche lui portatore dei pregiudizi aristotelici.
Pregiudizi che si
replicano, con variazioni sul tema, nei cosiddetti “grandi”
filosofi: stando a Kant, le donne non risultano in grado di azioni
genuinamente etiche per carenza di senso del dovere (del resto, che
etica può possedere un oggetto?); per Hegel, esse debbono venir
rinchiuse in casa, in quanto prive di ragionamento universale, che si
esige invece in ambito politico e pubblico (del resto, di quale
ragionamento universale dispone un oggetto?); secondo Schopenhauer le
donne permangono “per natura” inferiori rispetto ai maschi, in
quanto, decretate perennemente infantili, manipolatrici e bugiarde,
esse mancano di intelligenza e senso di giustizia (donne, pur sempre,
oggetti); a parere di Nietzsche le donne sono un gingillo, utile solo
a procreare e a rappresentare un mero passatempo per gli uomini (sono
strumenti, proprio come alcuni oggetti).
Le donne simboleggiano
dunque irrazionalità, o, se va bene, una razionalità che dipende
dagli uomini. Non ritengo infatti causale che tra le filosofe si
esaltino (con o senza ragione?) donne legate a filosofi di sesso
maschile: basti menzionare Eloisa (con Abelardo), Simone de Beauvoir
(con Jean-Paul Sarte), Hannah Arendt (con Martin Heidegger).
Alle emozioni, invece,
specie se emozioni legate alla follia, le donne, poetesse, non
filosofe, vengono destinate. Saffo (solo per menzionare qualche
esempio) canta amori sublimi, per poi gettarsi da una rupe. La timida
e sensibilissima Antonia Pozzi, divisa tra amori, sceglie la morte
con barbiturici, a ventisei anni; scrive di eros e thanatos,
con selvagge siepi/di amori: morire è questo/ ricoprirsi di
rovi/ nati in noi. Sylvia Plath si uccide a trent’anni, con la
testa nel forno (la testa della poetessa e il forno della
moglie-madre) dopo aver cantato la morte:
Morire è un’arte, come
qualsiasi altra cosa.
Io lo faccio in un modo eccezionale
io lo faccio che sembra un inferno
io lo faccio che sembra reale.
Io lo faccio in un modo eccezionale
io lo faccio che sembra un inferno
io lo faccio che sembra reale.
Ammetterete che ho
vocazione.
Anne Sexton “sopravvive”
più a lungo, ma a quarantacinque anni in un garage si intossica col
monossido di carbonio. E, infine, non posso che menzionare lei,
Virginia Woolf, non poetessa, bensì scrittrice poetica e folgorante,
che opta a cinquantanove anni per una morte “tecnicamente”
difficile: con le tasche ricolme di sassi, si lascia annegare nel
fiume Ouse. Lei che aveva scritto Al Faro, e di acqua
s’intendeva.
Se le filosofe prima
menzionate si accoppiano e associano a uomini, con le poetesse il
tutto non è immediato. Di Saffo si narra che amasse le donne. Sylvia
Plath cosa c’entrava davvero con Ted Hughes? E chi si ricorda di
Alfred Muller Sexton? Mentre di Virginia Woolf diremmo che nutrisse
una reale passione per il marito Leonard, o per Vita
Sackville-West?
Le donne che rifiutano
categoricamente di essere considerate donne oggetto non hanno forse
alcuna scelta se non il suicidio?
E, invece, gli omicidi?
Si uccide, come distruggono gli oggetti. Prendiamo Dante che nel
Canto V del Purgatorio, con Pia De’ Tolomei, ci porta nel
girone di coloro che, a causa di una morte violenta, trovano il
pentimento, una sorta di riabilitazione, in fin di vita. Che tipo di
pentimento? Di Pia De’ Tolomei, uccisa dal marito, entro un
contesto familiare, ci viene comunicata la dolcezza, insieme alla
volontà di venir ricordata per una qualche sua fede. Benché in
relazione al mondo terreno la sua indifferenza e il suo autocontrollo
rimangano sospetti, perlomeno agli occhi odierni, il suo “ricorditi
di me” ci addolora: Pia suscita in noi un desiderio, una necessità
di protezione. Pia De’ Tolomei invoca aiuto, così come si dovrebbe
fare. Anche se non fosse mai esistita e la sua fama si dovesse solo a
Dante, la Pia rimane l’emblema di un entusiasmo divorato
dalla violenza. Quante e quali Pie incontriamo quotidianamente senza
saper nulla di loro, e senza che nulla ci raccontino? Le sconcertanti
violenze degli uomini sulle donne, nel mondo, specie all’interno
delle mura domestiche, si traducono raramente in denunce. Quali le
loro cause e i loro significati? Se non sei una persona, bensì un
oggetto di mio possesso, mi è lecito far di te quanto mi pare. E le
donne sono persone?
A rispondere
negativamente è una «femminista immutata», Catharine MacKinnon,
che si domanda proprio se le donne siano oggetti o esseri umani, per
concludere seccamente che non sono esseri umani.
Perché? Semplice la
ragione. Se le donne fossero esseri umani, non sarebbero spedite in
container dalla Tailandia ai bordelli di New York, o rapite in
sperduti villaggi nigeriani e gettate poi sulle strade italiane; non
sarebbero sessualmente schiavizzate; non lavorerebbero tutta la vita
senza salario o con salari indecenti, costrette a svolgere mansioni
pesanti, pericolose o avvilenti per troppe ore al giorno; non
verrebbero infibulate, percosse, stuprate; non si pretenderebbe che
sposino il proprio stupratore, né sarebbero accusate di rapporti
sessuali fuori del matrimonio quando denunciano l’uomo in
questione; non sarebbero indotte a suicidarsi per riparare l’onore
della propria famiglia; non dovrebbero nascondersi dietro burka o
simili indumenti; non sarebbero costrette nelle loro case come in
prigioni; non subirebbero molestie sessuali e mutilazioni genitali
(nella sola Africa vi sono tuttora tre milioni di bambine ancora a
rischio di subirle, nonostante l’ONU abbia recentemente e
finalmente bandito dette mutilazioni); non verrebbero messe a tacere,
torturate, lapidate, decapitate, o uccise appena nate (l’infanticidio
delle figlie femmine è ancora praticato). La lezione che occorre
ricavare da questo elenco non è onorevole: le donne rimangono sotto
più punti di vista oggetti, mentre gli obiettivi femministi e delle
filosofie femministe non sono stati conseguiti. «Una stanza tutta
per sé» e «cinquecento sterline annue» rimangono chimere.
MacKinnon si riferisce a
cosa accade nel mondo in generale. Dando un’occhiata a cosa accade
solo nel mondo cosiddetto occidentale, le immagini di donne da cui si
viene bombardati/e sul piano mediatico si condensano troppo spesso in
donne “leggere”, la cui reale consistenza è il corpo, non una
mente ragionante; sono immagini normative che esplicitano chiaramente
“questo è come la donna deve essere”; sono
immagini che certo possono mutare e, difatti mutano, ma che rimangono
sempre centrate sul corpo. Sull’oggetto.
Difficile fuggire dalla
trappola. Non tutte le donne sono intelligenti, d’accordo. Ma molte
tendono effettivamente a esaltare un’apparenza fisica “femminile”.
E se ci pone come “cattiva ragazza”, ovvero si trasgredisce la
norma maschile eterosessuale, nel non corrispondere (almeno in
qualche senso) al concetto di donna vigente, si corre il rischio
dell’esclusione, e l’esclusione non è facile da sostenere.
Il concetto di donna
vigente nella nostra civiltà, specie in Italia, da una parte regala
in effetti mere illusioni di stabilità e d’identità, e dall’altra
è rigidamente monolitico: deve così essere in una società
androcentrica, razzista, eterosessista, votata alla “normalità”.
Come è sostenuto, giustamente a mio avviso, il rimedio alla donna
oggetto non può che consistere nel delegittimare «a
priori l’esplorazione della continuità esperienziale e della
base strutturale comune tra le donne».
Del resto, molte donne,
ma non tutte, cedono a venir meticolosamente assoggettate sotto
diversi profili: economico, legale, politico, professionale,
psichico, religioso, sessuale, sociale, e via dicendo. In modo
diretto o indiretto, in misura maggiore o minore, ogni donna
eterosessuale subisce commerci, devianze, etiche, leggi, identità,
molestie, pratiche, politiche, violenze sessuali, oltre a doveri
erotici, procreativi e riproduttivi, all’insegna di schemi
rappresentazionali dettati da interessi sessuali. Ancora oggi. Che
cosa specificare di più sulle donne oggetto?
Una certa normatività
rimane deleteria e si converte comodamente in forme di vero e proprio
autoritarismo sulla sessualità, in cui a rannuvolarsi rimane la
sessualità delle donne. Diviene allora quasi scontato affermare con
Monique Witting che, per esempio, le lesbiche non sono donne, perché
il concetto di donna giunge a una piena elaborazione e assume un
valore determinato solo nell’ambito di un atteggiamento normativo
che obbliga la sessualità entro i rigidi schemi di
un’eterosessualità in cui le donne vengono categorizzate,
all’unico scopo di essere vessate. Si può anche concedere che si
vessino gli oggetti, non le persone o gli esseri umani.
Ben si sa che, nel caso
in cui non ci si comporti da donne oggetto o ci si consideri con
consapevolezza donne non eterosessuali, sbalordisca sentirsi dire “tu
non sei una donna”. Inquieta perché “tu non sei una donna”
equivale spesso a “tu non sei una vera donna”, ove il termine
“vero” maschera approvazione e disapprovazione. Proprio come
quando affermiamo “la verdura di oggi non è vera verdura”
intendiamo dire che tale verdura non è buona, quando diciamo
“Valeria non è una vera donna” intendiamo dire che Valeria non è
una donna “buona”: biasimiamo certi suoi atteggiamenti,
comportamenti, ruoli che non rientrano nel concetto di donna “valido”
e in uso in una certa cultura, a un determinato tempo, per
considerazioni simili sul termine “real”).
“Tu non sei una vera
donna” comporta essere disapprovate, e lo si è perché non si
corrisponde al concetto di donna vigente, di cui fanno parte parecchi
pregiudizi (e allora che concetto è?) sulle differenze tra donna e
uomo, a partire dalle differenze sessuali. È possibile che tu non
sia una vera donna solo a causa dei tuoi desideri sessuali, che non
corrispondono a quelli che la donna dovrebbe normativamente
nutrire. Dunque, tu non sei una vera donna poiché rifiuti di
oggettificarti.
È allora errato
decretare, se non si esigono donne oggetto, che la differenza
sessuale sia una componente essenziale del desiderio sessuale, è
cioè errato consentire il desiderio sessuale solo tra donna e uomo,
o tra femmina e maschio – tra la donna e l’uomo,
tra ilmaschio e la femmina. Eppure è forse proprio il
fine di circoscrivere il desiderio sessuale al rapporto eterosessuale
che rende la differenza sessuale necessaria al desiderio sessuale, a
partire dal presupposto che il rapporto sessuale deve essere
finalizzato alla riproduzione, piuttosto che all’amore e alle varie
rappresentazioni vissute che dell’amore si possono offrire.
Il punto è che il
maschio e la femmina, l’uomo e la donna hanno poca ragione
d’essere, se con l’articolo determinativo intendiamo richiamarci
a entità universali, al fine di catturare essenze maschili e
femminili, che proseguono a incidere sulle donne rendendole oggetti.
Tali entità/essenze possono trasformarsi in fonti di veri e propri
azzardi, nell’azzerare la comprensibilità tra le tante differenze
che corrono tra femmine e tra donne, così come le tante differenze
che corrono tra maschi e tra uomini. La logore banalità dovrebbe
venir sempre denunciata dalla buona filosofia, a partire dalle
differenze tra femmine e maschi, tra donne e uomini, che la società
rischia vieppiù di enfatizzare indebitamente, allo scopo di
condizionare comportamenti e competenze declinate al “maschile” e
al “femminile”, con donne oggetto in primo piano.
In fondo la donna
rimane pura apparenza, una finzione al servizio dell’androcentrismo,
del razzismo, dell’eterosessismo, della “normalità”, uno
strumento normativo utile per imporre agli esseri umani di
comportarsi in determinati modi, per avallare determinate pratiche e
delegittimarne altre. L’idea che tutte le donne presentino
similarità essenziali serve, per esempio, a legittimare il fatto che
alle donne e agli uomini vengano assegnati ruoli culturali,
professionali, sessuali e sociali distinti, che le donne debbano
attenersi a canoni di genere cognitivamente diversi rispetto a quelli
degli uomini, che i tratti fisici e psicologici delle donne debbano
essere femminei, mentre quelli degli uomini mascolini.
L’essenzialismo ha
senz’altro legittimato un certo convenzionalismo femminile,
costringendo le donne al perbenismo, vietando loro la realizzazione
completa delle loro potenzialità. Del resto, le donne rimangono
oggetti. Ma esso ha soprattutto ratificato il dualismo uomo/donna, da
cui sono aristotelicamente zampillati altri pericolosi dualismi:
mascolino/femmineo, razionale/irrazionale, attivo/passivo,
culturale/naturale, oggettivo/soggettivo, e così via.
Torno ancora, in
conclusione, a MacKinnon sulle donne oggetto, una conclusione dura,
eppure realistica, che tratta di pornografia:
«We define pornography
as the graphic sexually explicit subordination of women through
pictures and words that also includes (i) women are presented
dehumanized as sexual objects, things, or commodities; or (ii) women
are presented as sexual objects who enjoy humiliation or pain; or
(iii) women are presented as sexual objects experiencing sexual
pleasure in rape, incest or other sexual assault; or (iv) women are
presented as sexual objects tied up, cut up or mutilated or bruised
or physically hurt; or (v) women are presented in postures or
positions of sexual submission, servility, or display; or (vi)
women’s body parts—including but not limited to vaginas, breasts,
or buttocks—are exhibited such that women are reduced to those
parts; or (vii) women are presented being penetrated by objects or
animals; or (viii) women are presented in scenarios of degradation,
humiliation, injury, torture, shown as filthy or inferior, bleeding,
bruised, or hurt in a context that makes these conditions sexual».
(Non traduco, poiché questo inglese possiede una forza che in
italiano si smarrirebbe.)
Alle donne la scelta, in
quei luoghi, societari e civili, in cui la ragione è concessa.