TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 3 febbraio 2011

Giuliano Arnaldi, Arredo rituale africano



Crediamo nell'amicizia, nel rapporto profondo e libero che lega gli esseri umani al di là di ogni calcolo di interesse e di convenienza. Per questo, nel momento in cui Giuliano Arnaldi viene fatto oggetto di un attacco mediatico da cui siamo certi saprà difendersi nelle sedi adeguate, come Vento largo ribadiamo la nostra stima profonda e la nostra fraterna amicizia nei suoi confronti e lo facciamo pubblicando questo suo intervento, di cui condividiamo ogni parola.
Un abbraccio, caro amico e ancora grazie per averci insegnato ad amare la bellezza delle arti primarie e a comprenderne il senso profondo.

Giuliano Arnaldi

Arredo rituale africano


Credo che uno degli aspetti più significativi della nostra quotidianità sia la perdita di consapevolezza del rito. In realtà ogni gesto che l 'uomo compie contiene una dimensione rituale: essa rende trascendente l'azione che si compie e la sua funzione pratica.
Trovarsi attorno a una tavola per cibarsi era fino a non molto tempo fa un rito che rinnovava dimensione della famiglia, un'eucarestia non a caso posta al centro delle tradizioni cristiane ed ebraiche. Vestirsi significava indossare una "pelle dell'anima" che comunicava il nostro stato , la nostra partecipazione a eventi comunitari, la nostra appartenenza ad una comunità.
La fabbricazione, il decoro, il colore stesso degli oggetti parlavano dell'origine e della funzione del rito a cui erano destinati: il bianco degli abiti da sposa come il nero degli abiti indossati nei funerali ancora oggi rimandano (con sempre minore coscienza) ad una dimensione valoriale trascendete che si materializzava e si riconosceva nelle caratteristiche dell'oggetto usato.

Essere consapevoli dell'aspetto rituale dei gesti consente di compenetrare il mistero che si tenta di governare con l'azione compiuta. La sequela di gesti fatti durante un pranzo, un matrimonio o un funerale ( per rimanere nell 'ambito degli esempi citati e che sono direttamente riferiti al mistero della vita con l 'amore che la genera, la morte che la trasforma e l'assunzione di ciò che la mantiene) aiuta a misurasi con la profondità incomprensibile di ciò che ci accade. La materia necessaria al compimento di tali gesti - sia essa composta del cibo che nutre, dei tessuti indossati , del legno o dei metalli di cui sono fatti gli strumenti usati- è plasmata, trasformata dall'uomo per aiutarlo a governare la "materia dei sogni" , l'essenza del mistero della vita. Mentre la nostra civiltà si strozza con l'apparire e smarrisce il senso dell'origine delle cose, le culture primarie continuano a nutrirsi con il mistero, e plasmano la materia in funzione della loro necessità di "vedere l'invisibile". Ciò accade nella totalità dell'esistenza , nei gesti eccezionali come in quelli di ogni giorno, perchè ogni istante vive in una dimensione insieme concreta e trascendente con cui non si smette mai di misurarsi. Ecco perchè ogni gesto è "linguaggio", comunicazione e costruire un oggetto significa materializzare la parola, custodirne l'efficacia e potenziarla.
"Le parole si fanno cose" dice Ivan Bargna ( "Arte Africana" Jaca Book Milano 2003 p.57) " e le cose si fanno segno". Infatti la "parola del mondo" secondo i Dogon è muta, e gli uomini devono tradurla nel loro codice per significarla.
Bisogna pensare agli arredi creati dalle culture africane In questo contesto . Essi accompagnano sempre la persona , e sono - come i tessuti- formidabili strumenti di comprensione, dialogo e difesa verso il mondo "altro" che è compagno inseparabile in ogni istante dell'esistenza.

Dice sempre Bargna" Il seggio africano non è un oggetto d'arredo, ma un'estensione della persona: i seggi non si dispongono intorno ad un tavolo, su di essi non ci si può liberamente sedere, ma seguono la persona come la sua ombra o sono posti al sicuro con la stessa cura che si presta alla propria incolumità. Presso gli Ashanti , ad esempio, si ritiene che il seggio racchiuda parti della persona che lo possiede. I lavaggi periodici di cui è fatto oggetto non sono così effettuati solo per igiene e decoro ma perchè contribuiscono alla propria purificazione; inversamente il lasciar deperire il proprio seggio conduce alla perdita di se. Diviene allora ben comprensibile perchè non vi si possa far sedere un altro o perchè quando non sia utilizzato venga capovolto: non si vuole che uno spirito malevolo vi si installi, penetrando per tale via dentro di sé."


Invece i Dan della Costa d'Avorio usano spesso forme coniche sovrapposte per il loro sgabelli, simboleggiando nella parte superiore il cielo o l'aldilà e nella base la terra: i ragazzi che rientravano dopo i riti di iniziazione nella montagna sedevano su sgabelli di questa forma ( imm. pag 105). Sempre presso l'area culturale Wé ( Liberia e Costa D'Avorio, popoli Dan, Guéré, Wobé) i piccoli sgabelli "Gandè" normalmente nella disponibilità dei notabili di sesso maschile, giocano un ruolo nei riti di iniziazione delle giovani donne, che ne chiedono l'uso durante le danze che segnano le tappe cruciali della loro vita: ottenerne la disponibilità è segno di appartenenza. e riconoscimento di rispetto e dignità da parte del clan ( M.N. Vergel-Févre, Siéges d'afrique Noir, Milano 2003).

Nell'area Congolese la donna che si prepara al passaggio ad un grado iniziatico superiore si pone in piedi sullo sgabello del marito, che resta al suo fianco. (op. citata p.55).
La raffigurazione antropomorfa, zoomorfa o antropozoomorfa , come sempre accade nei linguaggi delle arti primarie, consente di acquisire all'oggetto ( e al suo proprietario) le caratteristiche salienti dell'animale raffigurato o della figura evocata. Il seggio assume quindi un'identità precisa: nell'area culturale del Burkina Faso, ad esempio, gli sgabelli a tre gambe sono maschili, e spesso una delle gambe raffigura esplicitamente il pene.

E' utile notare anche la grande funzionalità concreta e la essenzialità del design di questi oggetti: gli sgabelli dei Senufo, ad esempio sono molto pesanti perchè capovolti servono come portabiancheria per portare al fiume i panni da lavare. Il peso li mantiene ancorati nell'acqua bassa e le donne Senufo li usano come lavatoi battendoci sopra i panni.
Sorprende la modernità essenziale e archetipica delle grandi scale dei Dogon come dei piccoli poggiatesta dell'area Sudanese, vere e proprie sculture: esse rendono evidente il fatto che la monumentalità si misura con l'armonia e non con il metro.
Sorprende il bisogno di bellezza che spinge i Nupe della Nigeria a incidere la loro complessa cosmologia su oggetti di semplice uso quotidiano come i portapacchi che portano sulla testa.
Sospesi tra terra e cielo, questi oggetti ci parlano di un mondo con una profondità di campo, un'orizzonte dell'essere dove la materia è amica rispettata e com-presa, strumento di conciliazione e di connessione con quell'Altro con cui ogni persona è chiamata prima o poi a doversi misurare.


Giuliano Arnaldi vive e lavora a Savona. Sovrintendente Generale del MAP, Museo di Arti Primarie di "Saona". Appassionato ed esperto di arte primarie, prevalentemente africane: ideatore e coordinatore del format culturale TRIBALEGLOBALE, ha curato eventi in luoghi diversi : 2000 -London, Black Soul, Nice 2004 Africa Anima del mondo in contempornea in diversi spazi museali e archeologici privati e pubblici, Il Padiglione della Marginalità nell'ambito della 52 Biennale di Venezia , la riapertura ( dopo ven'anni di chiusura) nel 2004 della casa Museo Jorn ad Albissola Marina.