TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 27 dicembre 2012

Il diario di un ribelle. "Occhio folle occhio lucido" di Guido Seborga




Ritorna in libreria il diario di Guido Seborga, una lucida riflessione sulla vita e sulla morte, sull'arte e la politica. Le pagine di un uomo libero, ribelle alla convenzioni e ai compromessi. Un libro da leggere.

Francesco Improta

Lucida sregolatezza e voglia di libertà
Il diario di Seborga

Dopo una lunga assenza, giunge in libreria, per i tipi dello Spoon River, il diario di Guido Seborga, a completamento di quell’opera di riscoperta voluta fermamente dalla figlia Laura e da M. Novelli. Il titolo “Occhio folle Occhio lucido”, apparentemente ossimorico, allude in realtà a quella lucida sre­golatezza, a quella volontà di essere fuori degli schemi e di rivendicare un’insopprimibile esigenza di libertà. 

È un diario in fieri che raccoglie riflessioni ed emozioni di un quinquennio (‘64-68) denso di fatti e di fermenti. Sono gli anni della guerra nel Vietnam, del risveglio della classe operaia, del Maggio Francese e della Primavera di Praga. Ma sono anche gli anni in cui Seborga assiste per mesi e mesi all’agonia della madre, malata di cancro. Ed è allora che avverte dentro di sé l’idea della morte, che a poco a poco diventa un’ossessione così angosciante da fargli desiderare di non essere mai nato o di poter scegliere la sua morte come gesto di suprema libertà. Successivamente si radicalizza in lui l’idea della rivolta che è la spia della forza dell’uomo, un uomo che non serve nessuno e che rifiuta persino d’integrarsi con se stesso

Sempre in questo periodo matura la sua rivoluzione linguistica, l’uso, cioè, di un linguaggio diverso, non più verbale ma visivo. Abbandona la parola, in cui aveva fermamente creduto lui che aveva conosciuto la disperazione del silenzio al tempo della dittatura fascista e della guerra, per sostituirla con i segni ideografici.

Guido, pur lacerato da forti e insanabili con­traddizioni, rimane fedele all’utopia che, in una società imperfetta come la nostra, crea pur sempre una tensione di qualità e a una concezione dinamica della realtà che si crea e si rinnova continua­mente nell’esercizio della libertà. Molte delle sue opinioni sono oggi superate ma rimane intatto il sapore dell’anarchia che si respira nelle sue pagine, quella voglia di indignarsi, tanto più necessaria oggi che la nostra indifferenza e la nostra prona sottomissione rende possibile e legittima ogni arbitrio e prepotenza da parte di chi gestisce il potere o meglio dei poteri occulti che vi sono dietro.

(Da: http://www.corrierenazionale.it)