La presenza politica dei fascisti è stata una costante nella storia repubblicana, fin dall'estate del 1945. Altrettanto costante il loro peso elettorale, stabile attorno ad un 5%. Il vero problema è cosa accadrà in una situazione diversissima dal passato in reazione alla crisi dei partiti, al populismo crescente e al fenomeno inedito di una immigrazione di massa. Un mix che può diventare esplosivo.
Giorgio Amico
Per non dimenticare.
Il fascismo nell'Italia repubblicana dalla nascita del MSI alle
stragi degli anni '70
I recenti avvenimenti che
hanno visto militanti di Forza Nuova e Casa Pound, protagonisti di
azioni intimidatorie o xenofobe pensate in funzione delle ormai
prossime elezioni politiche del 2018, non sono una novità nella
storia della Repubblica. Il neofascismo in Italia fin dai suoi inizi
si presenta sotto il duplice aspetto del manganello e del
doppiopetto: l'azione clandestina terroristica e squadrista da un
lato, accompagnata al tentativo di inserimento con pari dignità
delle altre forze politiche nel quadro istituzionale dall'altro.
Immediatamente dopo il 25
aprile 1945 tra gli ex-combattenti della RSI nascono numerosi gruppi
clandestini, soprattutto a Milano e a Roma, che si propongono, più
che una improbabile conquista del potere, di dimostrare con una serie
di azioni spettacolari che il fascismo non è morto. L'organizzazione
più importante è quella dei Fasci di Azione Rivoluzionaria, gruppo
politico-militare clandestino attivo soprattutto a Roma, guidato da
Pino Romualdi, una delle figure chiave del neofascismo. Tra il 1946 e
il 1951 i FAR compiono decine di attentati a Roma, Napoli, Milano,
Brescia, contro sedi dei partiti di sinistra e del sindacato, case
del popolo, luoghi dove si svolgono attività antifasciste (librerie,
cinema, teatri).
La nascita del MSI
Ma non c'è solo
l'attività militare. I fascisti sono fin dall'immediato dopoguerra
attivissimi anche sul piano politico. In vista del referendum del 2
giugno 1946, che deve decidere la natura monarchica o repubblicana
dello Stato, vengono presi contatti con esponenti dei partiti
antifascisti per trattare la neutralità elettorale degli
ex-repubblichini in cambio di una larga amnistia e dell'accettazione
di un ritorno ad una attività politica legale. A questo scopo
Romualdi tratta con uomini di primo piano della DC, del PSI e
dell'area liberale, mentre Stanis Ruinas si incontra addirittura con
il vicesegretario del PCI Luigi Longo.
E' una vera e propria
richiesta di legittimazione, in attesa della quale i fascisti
iniziano a riorganizzarsi all'interno della formazione politica dell'
“Uomo Qualunque”, il movimento fondato nell‟agosto 1945
dall'ex commediografo Gugliemo Giannini che si caratterizza per
l'insofferenza verso i partiti (considerati tutti ugualmente
corrotti), il rifiuto della politica istituzionale (sostituita
dall'appello alla piazza), la denigrazione della Resistenza e
dell'antifascismo, il rifiuto di ogni distinzione fra destra e
sinistra. Insomma la prima manifestazione di un sentimento
antipolitico , populista e protestatario, che, riassorbito negli
anni Cinquanta in nome dell'anticomunismo dal sistema di potere DC,
riappare alla luce con la crisi della prima Repubblica e
l'instabilità politica degli ultimi trent'anni, in varie forme
(dipietrismo, leghismo, grillismo) ma sempre nel segno di una
sostanziale acquiescenza nei confronti dell'estrema destra.
Il 22 giugno 1946, pochi
giorni dopo la nascita della Repubblica, Togliatti vara l'amnistia
per migliaia di ex-repubblichini, compresi gli autori di atroci
crimini di guerra tra cui il tristemente noto Luciano Luberti, il
“boia di Albenga”, autore di oltre duecento omicidi. “L'amnistia
– si legge in una pubblicazione della casa editrice di estrema
destra il “Settimo sigillo” – fu l'elemento decisivo del
processo di istituzionalizzazione del neofascismo verso la nascita
del nuovo partito”.
Partito che viene alla
luce a Roma nel dicembre 1946 con il nome di Movimento Sociale
Italiano e che si richiama esplicitamente all'esperienza ideale e
storica della Repubblica Sociale, ma che sceglie fin dal primo
Congresso la legalità. Scelta che non impedisce però al nuovo
partito, che già nelle elezioni dell'ottobre 1947 per il consiglio
comunale di Roma ottiene oltre il 4% dei voti e 3 consiglieri, di
continuare a mantenere stretti rapporti con i gruppi clandestini.
Ufficialmente il MSI si dichiara contro l'uso della violenza, ma non
scoraggia chi, gruppi interi o singoli membri del partito,
intraprende azioni di tipo squadristico o terroristico
prevalentemente contro associazioni partigiane e partiti della
sinistra.
Il partito neofascista fin da subito si inserisce nel clima
della guerra fredda e della politica di contenimento del comunismo
finanziata e coordinata dagli USA tramite gli apparati della CIA e
della NATO. Nell'agosto 1952 si tiene indisturbato il primo campo
paramilitare della gioventù missina, significativamente denominato
“Ordine Nuovo”, un nome che ritornerà frequentemente nella
storia dell'eversione nera e dello stragismo degli anni Settanta.
Un polo escluso?
A partire dalla fine
degli anni Ottanta nell'ambito della politica di sdoganamento della
destra fascista che porterà poi alla trasformazione del MSI in
Alleanza Nazionale e all'assunzione di responsabilità di governo di
esponenti ex-missini nell'ambito del “Polo delle libertà”
berlusconiano, si inizia a parlare dei fascisti come di“esuli in
patria” e del MSI come di “polo escluso” dalla vita politica
dell'Italia repubblicana. Un'operazione ideologica, nonostante la
serietà dei contributi di studiosi come Piero Ignazi, perchè in
realtà, nonostante l'apparente marginalità, il MSI per tutto l'arco
degli anni Cinquanta riesce a condizionare in più occasioni il
quadro politico e istituzionale, consentendo, fra il 1953 e il 1960,
con i propri voti la nascita di ben quattro governi a guida
democristiana (Pella, Zoli, Segni e Tambroni), nonché l'elezione nel
1955 del presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Successo
bissato poi nel 1972 con Giovanni Leone.
Favori che non restano privi
di contropartite importanti, come la non applicazione della Legge
Scelba del 1952 sulla riorganizzazione del partito fascista e
l'occhio di riguardo degli apparati di sicurezza e del Ministero
degli Interni verso le attività eversive e violente dei gruppi
giovanili missini e di organizzazioni come Avanguardia Nazionale e
Ordine Nuovo esterne al MSI, ma di fatto legate a filo doppio alla
politica del partito.
La politica di
graduale inserimento del MSI negli assetti di potere dei governi
centristi a guida DC ha una battuta d'arresto solo con la sconfitta
del governo Tambroni, nato con il sostegno determinante dei
parlamentari missini, costretto alle dimissioni dalla rivolta di
Genova del luglio 1960. La stagione dei governi di centro-sinistra,
pure non priva di momenti di tensione dovuti a strategie occulte
interne e internazionali (vedi nel 1964 il progettato golpe De
Lorenzo e nel 1965 il Convegno all'Hotel Parco dei Principi a Roma
sulla “guerra rivoluzionaria”, vero incubatore della strategia
della tensione e dello stragismo), vede un ripiegamento del MSI su se
stesso.
1968 Roma: assalto squadrista all'Università occupata
Gli anni
delle stragi
Gli anni
Sessanta segnano dunque la marginalizzazione politica dell'estrema
destra e il sostanziale fallimento della strategia del “doppio
petto”, rimpiazzata sotto la nuova direzione di Giorgio Almirante
dal ritorno al manganello. Sono gli anni in cui in nome
dell'anticomunismo vengono stretti duraturi legami con apparati dei
Servizi segreti e delle Forze Armate in funzione del condizionamento
da destra della politica italiana sia sul versante di governo (blocco
delle istanze riformistiche del PSI nenniano) sia su quello
dell'opposizione di sinistra (drastico contenimento dell'espansione
elettorale del PCI).
Una strategia
della tensione, sintetizzata nel motto “destabilizzare per
stabilizzare”, mirante a creare un forte sentimento di insicurezza
nell'opinione pubblica in modo da portare consensi alle forze
moderate, che sboccherà dopo il biennio 1968-69 delle lotte
studentesche e operaie nella politica delle stragi: da Piazza Fontana
a Milano nel 1969 (17 morti) alla Stazione di Bologna nel 1980 (85
morti), passando nel 1974 per gli attentati del treno Italicus (12
morti) e di Piazza della Loggia a Brescia (8 morti) e innumerevoli
altri eventi minori fra cui le bombe di Savona del 1974/75.
Un progetto
eversivo che solo la mobilitazione popolare, democratica e di massa
seppe sconfiggere grazie soprattutto all'unità e alle fermezza delle
forze antifasciste. Una mobilitazione dal basso che, come nel caso
delle bombe di Savona, si rivelò il vero antidoto al diffondersi
della paura.
Da: I Resistenti n°3/2017