Giorgio Amico
Ma quanto erano civili
questi Longobardi...
Povegliano Veronese è un
paese di circa 7000 abitanti a pochi chilometri da Verona. Nei
dintorni del paese nel 1985 è stata ritrovata una vasta necropoli
longobarda contenente 164 tombe di quasi un millennio e mezzo fa,
scavata in due campagne nel 1986 e nel 1992-93 e finora nota per la
cosiddetta tomba del cavallo: una sepoltura rituale contenente un
cavallo decapitato tumulato su un fianco con due cani accucciati
vicino. Probabilmente la sepoltura di un importante guerriero e
grande cacciatore.
Depositati preso
l'Università la Sapienza di Roma i reperti di Povegliano godono oggi
di nuova fortuna dopo la pubblicazione delle ricerche effettuate su
quella che in termini tecnici è chiamata la sepoltura "T US
380", contente i resti di un guerriero di età compresa tra i 40
e 50 anni di cui i ricrcatori utilizzando avanzatissime tecniche in
3D hanno ricostruito anche il volto.
La cosa straordinaria,
che ha suscitato l'interesse degli studiosi, è che l'uomo ha vissuto
per anni con un coltello come protesi dell’avambraccio destro a
causa di un’amputazione dopo una caduta o una ferita in battaglia.
Al guerriero longobardo mancano infatti la mano destra, il polso e
parte dell’avambraccio, sostituiti da una lama ritrovata disposta
orizzontalmente sul bacino. Gli archeologi sono certi che si tratti
di una protesi perchè di norma le armi venivano sepolte a fianco del
cadavere e per una serie di altri indizi di cui parleremo.
Tomba del cavallo e dei cani
"Il braccio destro -
ha spiegato l'archeologa Ileana Micarelli, era piegato a 90
gradi, con radio e ulna tagliati di netto", segno che
"l'amputazione è avvenuta senza anestesia con un colpo unico,
inclinato di 31 gradi verso il cntro del corpo".
Al posto della mano del
guerriero c'era una fibbia metallica e tracce di materiale organico,
pelle o legno, che probabilmente sono dei residui di un sistema per
il fissaggio della protesi, costituita da un manicotto su cui era
inserita una lama ed era tenuta ancorato al braccio da legacci in
cuoio. Tracce di cuoio sono state ritrovate anche tra i denti, a
dimostrazione che il guerriero si applicava da solo la
protesi-pugnale, con il solo utilizzo della mano sinistra e dei
denti.
Quello che ha colpito di
più i ricercatori è lo stato di buona salute del corpo. "T US
380", o "Capitan Uncino" come è stato subito definito,
rappresenterebbe dunque la testimonianza di una amputazione
perfettamente guarita e di pratiche di cura moderne in un’epoca
pre-antibiotica. All’epoca non c’erano antibiotici ma il
guerriero longobardo non aveva riportato infezioni. Gli studiosi
ritengono altamente probabile che l’uomo sia stato curato con
prodotti a base di erbe per bloccare l’emorragia e balsami
disinfettanti.
“Sopravvivere alla
perdita di un avambraccio – scrive la coordinatrice della ricerca -
in un’epoca in cui gli antibiotici non sono disponibili, mostra un
forte senso di attenzione e cure costanti da parte della comunità:
privilegi che si avvicinano all’idea di welfare moderno” Perchè,
nota ancora la dottressa Micarelli, T US 380 “era un individuo
svantaggiato. Ma è sorprende quanta solidarietà abbia ricevuto”.
Un aiuto che gli ha permesso non solo di sopravvivere all'amputazione, ma di
continuare la sua vita nonostante la menomazione con un buon grado di
autonomia,