TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 11 giugno 2020

Sul Covid-19 e come uscirne migliori


Giorgio Amico

Sul Covid-19 e come uscirne migliori

Da molte parti si afferma che la vita dopo la pandemia da Covid-19 non potrà tornare più come prima. L'affermazione in sè è ambivalente e può essere intesa in modi molto diversi, dal catastrofismo di chi pensa che le basi stesse della società e dell'economia globalizzata siano state compromesse tanto in profondità da impedirne la ripresa. al millenarismo di chi pensa alla nascita di un'umanità nuova moralmente rigenerata dalla tragedia attraversata. Insomma: o tutti rovinati o tutti migliori. In realtà, come sempre accaduto, dalla peste del Trecento alle guerre mondiali del Novecento, le cose non funzionano così. Dopo le grandi tragedie la vita riprende più o meno celermente il suo corso incurante dei lutti e delle rovine e gli uomini dimenticano presto. Lo aveva ben capito Benjamin nelle sue tesi sul concetto di storia:

«C'è un quadro di Klee che si chiama Angelus Novus. Vi è rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca è aperta, e le ali sono dispiegate. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un'unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera, che si è impigliata nelle sue ali, ed è cosi forte che l'angelo non può più chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie davanti a lui. Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera».

Sembra una visione totalmente pessimistica, ma non è così. Poco prima il filosofo aveva annotato:

«Nell'idea di felicità risuona ineliminabile l'idea di redenzione. Ed è lo stesso per l'idea che la storia ha del passato. Il passato reca con sé un indice segreto che lo rinvia alla redenzione. Non sfiora forse anche noi un soffio dell'aria che spirava attorno a quelli prima di noi? Non c'è, nelle voci cui prestiamo ascolto, un'eco di voci ora mute? Le donne che corteggiamo non hanno delle sorelle da loro non più conosciute? Se è così, allora esiste un appuntamento misterioso tra le generazioni che sono state e la nostra. Allora noi siamo stati attesi sulla terra. Allora a noi, come ad ogni generazione che fu prima di noi, è stata consegnata una debole forza messianica, a cui il passato ha diritto».

Se l'idea della storia come progresso è una tragica illusione, l'idea di redenzione resta ineliminabile dalla vita degli uomini, come fonte di senso e di significato. Così come attuale resta l'insegnamento del rabbino Hillel che l'intero sapere della Torah si compendia in due domande fondamentali: Se non noi, chi? Se non ora, quando?

Allora, se è una illusione che la tragedia del Covid-19 possa da sola modificare quelle che sono le leggi di funzionamento dell'attuale società o addirittura rigenerare moralmente l'umanità, è invece assolutamente vero che essa può essere a livello individuale un momento fondamentale di conversione, di riscoperta cioè di quel principio messianico di redenzione di cui parla Benjamin. Sia ben chiaro, a evitare fraintendimenti, conversione pienamente laica ad una religione civile (alla maniera dei vecchi giellisti) basata sulla riscoperta del senso di responsabilità individuale che l'attuale società di massa tende sempre più a soffocare. Responsabilità verso sè stessi in primo luogo, responsabilità verso gli altri, responsabilità verso la natura intesa nel suo senso cosmico di un insieme organico e vivente di elementi di cui facciamo parte integrante. Insomma, quell'ecologia della mente di cui parlava Bateson.
Come in ogni momento epocale di svolta, la pandemia ci interroga ponendoci le stesse domande che sempre sono state poste agli uomini di buona volontà: se non a me, a chi tocca impegnarsi perchè il mondo sia più umano? Se il momento di questo impegno non è adesso, allora quand'è?

Se è del tutto irrazionale, come fa una certa sinistra, in tutto simile in questo ai predicatori medievali che attribuivano la peste al diavolo, associare la pandemia al capitalismo in un rapporto strettissimo di causa-effetto, perchè le grande tragedie di questo tipo hanno motivazioni e cause indipendenti dalle scelte politiche ed economiche degli uomini e tocca semmai alla medicina indagarle e non un marxismo tutto ideologico, presunta scienza delle scienze; ciò non toglie che negli sviluppi di una pandemia come quella scatenata dal Covid-19 e soprattutto nei modi di affrontarla e ancora di più prevenirla, la politica e l'economia c'entrino e non poco. Quanto ha contato, ad esempio, l'ideologia neo-liberista trionfante dagli anni Ottanta del secolo scorso e il conseguente progressivo smantellamento del sistema sanitario pubblico, in Italia, ma anche in Gran Bretagna e nei paesi più sviluppati d'Europa? Quanto ha inciso la sconfitta storica del movimento operaio e il conseguente abbandono un po' ovunque del compromesso socialdemocratico su cui dagli anni del New Deal rooseveltiano si reggevano le società occidentali? Quanto la perdita di centralità sulla scena politica, e non solo in Italia, del ruolo dei sindacati come strumento di partecipazione dei lavoratori all'assunzione delle grandi scelte strategiche? Per non parlare del declino storico della tradizionale forma-partito, sostituita sempre più da forze politiche espressione di lobby ristrette e autoreferenziali se non addirittura proprietà personale di un leader carismatico, presentato come uomo della Provvidenza.
Date queste condizioni, l'assunzione individuale di responsabilità non può non significare che il ritorno ad un rinnovato impegno politico a partire da pochi, chiari, punti:

- Il fallimento dell'attuale modello di sviluppo, incentrato sullo sfruttamento intensivo delle risorse naturali e su di una ideologia consumistica spinta al parossismo.

- La necessità, evidenziata con chiarezza dall'attuale emergenza sanitaria, di un recupero della centralità dello Stato rispetto al mercato soprattutto per quanto attiene le scelte strategiche (anche in termini di investimenti) nei servizi pubblici essenziali: sanità, scuola, assistenza agli anziani.

- La piena regolarizzazione e contrattualizzazione del lavoro soprattutto di quello dei migranti a cui vanno garantite condizioni non solo di lavoro, ma anche di vita degne di un paese civile. Onde evitare il formarsi soprattutto nelle grandi aree urbane di sacche di emarginazione e di miseria e il manifestarsi, certo con il persistere dell'attuale normativa voluta dal governo Salvini-Di Maio, anche da noi di future rivolte come quelle attualmente in corso negli Stati Uniti o nelle banlieu francesi.

- Il potenziamento delle funzioni di controllo da parte della Banca Centrale sulle attività finanziarie sia per riportare ordine in un mondo in preda ad uno stato di anarchia (vedi casi MPS, CARIGE, banche venete e toscane) sia per garantire un reale accesso al credito da parte della piccola e media imprenditoria e delle famiglie. Un dato fondamentale oggi per la ripartenza di un sistema economico ormai in larga parte bloccato dalla forzata sospensione delle attività e dalla chiusura dei mercati internazionali.

- La piena consapevolezza che di fronte a problemi di tali dimensioni l'ambito nazionale si rivela ogni giorno di più drammaticamente insufficiente e dunque il rilancio pieno dell'idea di una Europa unita, democratica, solidale ed inclusiva. E questo a partire da una fiscalità comune che eviti il formarsi di paradisi fiscali (come l'attuale Olanda e Irlanda) e dalla costruzione di sindacati a livello europeo che uniformino forme contrattuali e livelli retributivi ad evitare la pratica della delocalizzazione delle imprese usata dal capitale come strategia per contenere i livelli salariali e massimizzare i profitti.

Ma cosa significa impegnarsi politicamente in un momento in cui la politica ha perso nel pensiero dei più ogni attrattiva e viene vista al massimo come mera gestione dell'esistente, se non addirittura il malaffare eretto a sistema? La risposta è semplice: rilanciare un'idea alta di politica significa oggi ripensare percorsi e modi di partecipazione, la volontà dichiarata di riprendere la parola, di uscire dall'io per tornare al "noi", partendo dal principio basilare che la libertà non è un principio astratto. Pensarlo sarebbe ricadere nella più vieta retorica. La libertà è possibilità concreta di pensare, di agire, di organizzarsi in un contesto e in un momento storico dato. Non a caso nella storia dell'Italia repubblicana il massimo di libertà corrispose alla fine degli anni '60 e all'inizio dei '70 con il massimo di partecipazione. Senza nostalgie o rimpianti è a quella grande stagione che dobbiamo guardare come a un punto di riferimento da cui ripartire. Riprendendo il messaggio profetico di Don Milani che nei primi anni '60 nelle campagne di Barbiana insegnava ai suoi allievi, figli di contadini esclusi dal diritto allo studio, che cittadinanza autentica significava prima di ogni altra cosa partecipazione.