Giorgio Amico
Sul
Covid-19 e come uscirne migliori
Da molte parti si afferma
che la vita dopo la pandemia da Covid-19 non potrà tornare più come
prima. L'affermazione in sè è ambivalente e può essere intesa in
modi molto diversi, dal catastrofismo di chi pensa che le basi stesse
della società e dell'economia globalizzata siano state compromesse
tanto in profondità da impedirne la ripresa. al millenarismo di chi
pensa alla nascita di un'umanità nuova moralmente rigenerata dalla
tragedia attraversata. Insomma: o tutti rovinati o tutti migliori. In
realtà, come sempre accaduto, dalla peste del Trecento alle guerre
mondiali del Novecento, le cose non funzionano così. Dopo le grandi
tragedie la vita riprende più o meno celermente il suo corso
incurante dei lutti e delle rovine e gli uomini dimenticano presto.
Lo aveva ben capito Benjamin nelle sue tesi sul concetto di storia:
«C'è un quadro di Klee
che si chiama Angelus Novus. Vi è rappresentato un angelo che sembra
in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I
suoi occhi sono spalancati, la bocca è aperta, e le ali sono
dispiegate. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il
viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una
catena di avvenimenti, egli vede un'unica catastrofe, che ammassa
incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi.
Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i
frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera, che si è impigliata
nelle sue ali, ed è cosi forte che l'angelo non può più chiuderle.
Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli
volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie
davanti a lui. Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera».
Sembra una visione
totalmente pessimistica, ma non è così. Poco prima il filosofo
aveva annotato:
«Nell'idea di felicità
risuona ineliminabile l'idea di redenzione. Ed è lo stesso per
l'idea che la storia ha del passato. Il passato reca con sé un
indice segreto che lo rinvia alla redenzione. Non sfiora forse anche
noi un soffio dell'aria che spirava attorno a quelli prima di noi?
Non c'è, nelle voci cui prestiamo ascolto, un'eco di voci ora mute?
Le donne che corteggiamo non hanno delle sorelle da loro non più
conosciute? Se è così, allora esiste un appuntamento misterioso tra
le generazioni che sono state e la nostra. Allora noi siamo stati
attesi sulla terra. Allora a noi, come ad ogni generazione che fu
prima di noi, è stata consegnata una debole forza
messianica, a cui il passato ha diritto».
Se l'idea della storia
come progresso è una tragica illusione, l'idea di redenzione resta
ineliminabile dalla vita degli uomini, come fonte di senso e di
significato. Così come attuale resta l'insegnamento del rabbino
Hillel che l'intero sapere della Torah si compendia in due domande
fondamentali: Se non noi, chi? Se non ora, quando?
Allora, se è una
illusione che la tragedia del Covid-19 possa da sola modificare
quelle che sono le leggi di funzionamento dell'attuale società o
addirittura rigenerare moralmente l'umanità, è invece assolutamente
vero che essa può essere a livello individuale un momento
fondamentale di conversione, di riscoperta cioè di quel principio
messianico di redenzione di cui parla Benjamin. Sia ben chiaro, a
evitare fraintendimenti, conversione pienamente laica ad una
religione civile (alla maniera dei vecchi giellisti) basata sulla
riscoperta del senso di responsabilità individuale che l'attuale
società di massa tende sempre più a soffocare. Responsabilità
verso sè stessi in primo luogo, responsabilità verso gli altri,
responsabilità verso la natura intesa nel suo senso cosmico di un
insieme organico e vivente di elementi di cui facciamo parte
integrante. Insomma, quell'ecologia della mente di cui parlava
Bateson.
Come in ogni momento
epocale di svolta, la pandemia ci interroga ponendoci le stesse
domande che sempre sono state poste agli uomini di buona volontà: se
non a me, a chi tocca impegnarsi perchè il mondo sia più umano? Se
il momento di questo impegno non è adesso, allora quand'è?
Se è del tutto
irrazionale, come fa una certa sinistra, in tutto simile in questo ai
predicatori medievali che attribuivano la peste al diavolo, associare
la pandemia al capitalismo in un rapporto strettissimo di
causa-effetto, perchè le grande tragedie di questo tipo hanno
motivazioni e cause indipendenti dalle scelte politiche ed economiche
degli uomini e tocca semmai alla medicina indagarle e non un marxismo
tutto ideologico, presunta scienza delle scienze; ciò non toglie che
negli sviluppi di una pandemia come quella scatenata dal Covid-19 e
soprattutto nei modi di affrontarla e ancora di più prevenirla, la
politica e l'economia c'entrino e non poco. Quanto ha contato, ad
esempio, l'ideologia neo-liberista trionfante dagli anni Ottanta del
secolo scorso e il conseguente progressivo smantellamento del sistema
sanitario pubblico, in Italia, ma anche in Gran Bretagna e nei paesi
più sviluppati d'Europa? Quanto ha inciso la sconfitta storica del
movimento operaio e il conseguente abbandono un po' ovunque del
compromesso socialdemocratico su cui dagli anni del New Deal
rooseveltiano si reggevano le società occidentali? Quanto la perdita di centralità sulla scena politica, e non solo in Italia, del ruolo
dei sindacati come strumento di partecipazione dei lavoratori
all'assunzione delle grandi scelte strategiche? Per non parlare del
declino storico della tradizionale forma-partito, sostituita sempre
più da forze politiche espressione di lobby ristrette e
autoreferenziali se non addirittura proprietà personale di un leader
carismatico, presentato come uomo della Provvidenza.
Date queste condizioni,
l'assunzione individuale di responsabilità non può non significare
che il ritorno ad un rinnovato impegno politico a partire da pochi,
chiari, punti:
- Il fallimento
dell'attuale modello di sviluppo, incentrato sullo sfruttamento
intensivo delle risorse naturali e su di una ideologia consumistica
spinta al parossismo.
- La necessità,
evidenziata con chiarezza dall'attuale emergenza sanitaria, di un
recupero della centralità dello Stato rispetto al mercato
soprattutto per quanto attiene le scelte strategiche (anche in
termini di investimenti) nei servizi pubblici essenziali: sanità,
scuola, assistenza agli anziani.
- La piena
regolarizzazione e contrattualizzazione del lavoro soprattutto di
quello dei migranti a cui vanno garantite condizioni non solo di
lavoro, ma anche di vita degne di un paese civile. Onde evitare il
formarsi soprattutto nelle grandi aree urbane di sacche di
emarginazione e di miseria e il manifestarsi, certo con il persistere
dell'attuale normativa voluta dal governo Salvini-Di Maio, anche da
noi di future rivolte come quelle attualmente in corso negli Stati
Uniti o nelle banlieu francesi.
- Il potenziamento delle
funzioni di controllo da parte della Banca Centrale sulle attività
finanziarie sia per riportare ordine in un mondo in preda ad uno
stato di anarchia (vedi casi MPS, CARIGE, banche venete e toscane) sia
per garantire un reale accesso al credito da parte della piccola e
media imprenditoria e delle famiglie. Un dato fondamentale oggi per
la ripartenza di un sistema economico ormai in larga parte bloccato
dalla forzata sospensione delle attività e dalla chiusura dei
mercati internazionali.
- La piena consapevolezza
che di fronte a problemi di tali dimensioni l'ambito nazionale si
rivela ogni giorno di più drammaticamente insufficiente e dunque il
rilancio pieno dell'idea di una Europa unita, democratica, solidale
ed inclusiva. E questo a partire da una fiscalità comune che eviti
il formarsi di paradisi fiscali (come l'attuale Olanda e Irlanda) e
dalla costruzione di sindacati a livello europeo che uniformino forme
contrattuali e livelli retributivi ad evitare la pratica della
delocalizzazione delle imprese usata dal capitale come strategia per
contenere i livelli salariali e massimizzare i profitti.
Ma cosa significa
impegnarsi politicamente in un momento in cui la politica ha perso
nel pensiero dei più ogni attrattiva e viene vista al massimo come
mera gestione dell'esistente, se non addirittura il malaffare eretto
a sistema? La risposta è semplice: rilanciare un'idea alta di
politica significa oggi ripensare percorsi e modi di partecipazione,
la volontà dichiarata di riprendere la parola, di uscire dall'io per
tornare al "noi", partendo dal principio basilare che la
libertà non è un principio astratto. Pensarlo sarebbe ricadere
nella più vieta retorica. La libertà è possibilità concreta di
pensare, di agire, di organizzarsi in un contesto e in un momento
storico dato. Non a caso nella storia dell'Italia repubblicana il
massimo di libertà corrispose alla fine degli anni '60 e all'inizio
dei '70 con il massimo di partecipazione. Senza nostalgie o rimpianti
è a quella grande stagione che dobbiamo guardare come a un punto di
riferimento da cui ripartire. Riprendendo il messaggio profetico di
Don Milani che nei primi anni '60 nelle campagne di Barbiana
insegnava ai suoi allievi, figli di contadini esclusi dal diritto
allo studio, che cittadinanza autentica significava prima di ogni
altra cosa partecipazione.