"In un bello e splendido giorno di aprile del 1840, una elegante carrozza da viaggio tirata da quattro cavalli di posta correva di pien galoppo nella strada della Cornice, famosa fra gli eleganti giramondo: strada, come ognun sa, che percorre da Genova a Nizza tutta la riviera di ponente. Poche strade più belle di questa sono in Europa; - e poche certamente, come questa, riuniscono in sè tre condizioni di bellezza naturale: il Mediterraneo da un lato, dall'altro gli Appennini, e di sopra il puro cielo d'Italia".
Inizia così "Il dottor Antonio" di Giovanni Ruffini, sodale di Mazzini e carbonaro esiliato in Inghilterra, pubblicato nel 1853 in inglese e amato da generazioni di inglesine che in quella cronaca romantico-patriottica di un grande amore infelice vedevano descritta un terra antica e misteriosa, ricca di sole e di una vegetazione quasi tropicale.
Nasceva il mito del paesaggio ligure
Immediatamente generazioni di ricchi inglesi avrebbero iniziato a colonizzare la Liguria, soprattutto quella di ponente, costruendo ovunque ville, giardini, chiesette anglicane, introducendo piante dalle colonie dell'impero che attecchirono benissimo nel nuovo habitat e divennero elementi fondamentali di quel paesaggio.
E' quello che ci racconta Edmondo De Amicis nel passo che pubblichiamo, capitolo di un libro, oggi dimenticato, ma comunque di piacevole lettura.
Da mito letterario la Liguria diventava mito turistico, per tornare poi nel Novecento, nelle opere di quella che sarà chiamata "scuola ligure del paesaggio" mito letterario.
Parliamo di Guido Seborga, vero autore seminale, a partire dal suo "L'uomo di Camporosso" del 1939, e poi della prima stagione di Italo Calvino, di Francesco Biamonti, e dei suoi romanzi dove il paesaggio non è sfondo ma protagonista, e infine di Nico Orengo, Elio Lanteri, Marino Magliani.
G.A.
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