La sua immaginazione creatrice si illuminava grazie a quella che chiamava la sua "piccola sensazione". Un attaccamento al mondo esteriore che non ha uguali se non nel distacco del pittore nei suoi confronti. Questa padronanza di sé lo portava a un sempre minor livello di imitazione.
Cézanne, La montagna Sainte-Victoire
Spesso scrivendo mi dico, quando sono io in una impasse, in un vicolo cieco e vedo che s'affastellano troppe parole e non si vede più niente: "Come vedrebbe Cézanne?". Tuttavia è arbitrario dire così. Forse Cézanne vedrebbe solo questo dorato e questo blu.
I pittori sono come fari che illuminano il buio della notte dell'espressione, i fari baudelariani. Ognuno ha i suoi fari, che però cambiano di continuo.
(...)
Non si può scrivere se non si sono visti Cézanne, gli impressionisti e gli astratti. La veduta non è più quella dell'Ottocento, che fa da scenario. E' una visione di partecipazione. Ma è già un proseguimento del correlativo oggetto dello stato d'animo che c'è nella poesia ligure, come anche nella poesia di Valéry o di Eliot. Si parla del paesaggio per parlare di se stessi. Il paesaggio diventa quasi un autoritratto, ma questa è l'influenza di Cézanne e degli informali, di tutta la pittura della modernità che trova in Cézanne il suo pilastro più forte. Dopo si allucina in De Stael e in Fautrier.
(Da: Paola Mallone, "Il paesaggio è una compensazione", Itinerario a Biamonti, De Ferrari, Genova 2001, pp.55-56)