Il
testo che segue uscirà come introduzione ad una raccolta di poesie e
racconti di prossima pubblicazione.
Giorgio
Amico
Ha
ancora senso scrivere?
Introdurre
una raccolta di poesie e testi come questa, risultato della
partecipazione ad un premio letterario, non è facile. Una domanda
nasce spontanea già da una prima scorsa delle pagine qui raccolte,
complessivamente di buon livello, alcune di notevole qualità. Che
cosa significa scrivere? Perchè si scrive?
Vecchia,
eterna domanda a cui ogni epoca e ogni cultura ha cercato di
rispondere. Ma così la domanda è malposta, forse, tutto sommato,
sarebbe meglio chiedersi "per chi"si scrive. Così
formulata, la questione ci pare più semplice. Nipotini di Freud e di
Jung, la risposta sgorga spontanea e limpida come acqua di fonte: si
scrive innanzitutto per se stessi. Per dare senso, ordine e
significato alle proprie esperienze, al proprio vissuto, al proprio
mondo interiore.
Ma
a complicare tutto giunge la considerazione che da parte di chi
scrive tale significato si vuole poi condividere con gli altri, far
diventare patrimonio collettivo. Elemento in sé positivo che fa sì che scrivere sia anche atto pubblico e dunque già solo per questo
politico. Scrivere è testimoniare, ma su questo ritorneremo. Ciò
che ci importa ora è vederne le conseguenze. Perchè questa
legittima aspirazione determina, è ovvio, la spinta a pubblicare. E
a questo punto le cose si complicano, perchè entrano in gioco le
leggi del mercato e del profitto. Perchè pubblicare significa quasi
sempre sottostare a regole non scritte, ma non per questo meno
costrittive. E il mercato editoriale italiano non fa eccezione,
soprattutto in momenti di crisi accentuata come l'attuale con il
tracollo delle piccole librerie e della piccola editoria militante e
indipendente ad aggravare la situazione.
Sappiamo
di andare controcorrente e che la nostra affermazione potrà suonare
strana a molti, ma riteniamo fermamente che pubblicare non sia una
conseguenza naturale dello scrivere, ma solo un suo possibile, ma non
necessario, sviluppo. Per noi l'atto creativo vale in sè e in sè si
esaurisce. Di questo siamo certi. Scrivere è prima di tutto
intraprendere un viaggio alla ricerca di sè. Impresa certo non
facile e comunque pericolosa, perchè (ed è la lezione grande del
surrealismo) chi vi si accinge entra in un campo di forze che non è
possibile controllare, alle quali ci si deve comunque abbandonare se
si vuole essere davvero creativi. Perchè qualunque sia la storia
narrata o il pretesto del verso è sempre di altro che si scrive, è
sempre ad un altrove che si rimanda.
Ma
tutto quanto finora detto non esauirisce il tema. Perchè scrivere è
anche un lavoro, o meglio un'arte, che ha le sue regole e i suoi
segreti. Un'arte che comporta un non facile apprendistato. E dunque
scrivere è faticoso e riempire una pagina stanca. Lo ricordava Beppe
Fenoglio in una lettera a Italo Calvino, polemizzando con chi a
proposito dei suoi racconti parlava di felice e spontaneo realismo:
"Scrivo per un'infinità di motivi. Non certo per
divertimento. Ci faccio una fatica nera. La più facile delle mie
pagine esce spensierata da una decina di penosi rifacimenti."
Ma
poichè non si vive isolati come monadi leibniziane, scrivere è
infine testimoniare di un'epoca e di un mondo che non è, ma potrebbe
essere. Qui narrare diventa costruzione inesausta del mito e si
salda con quanto già detto in apertura. Perchè il mito, c'è l'ha
insegnato Eliade, non è il contrario della realtà, ma prima di
tutto un racconto la cui funzione è rivelare in che modo qualcosa è
avvenuto, non più a livello individuale, ma collettivo. E allora
scrivere significa comporre una narrazione capace di contenere un
universo di significati assai utile per comprendere il mondo, grande
e terribile, avrebbe detto Antonio Gramsci, in cui viviamo.
E
l'uomo moderno, che troppo spesso è visto come collocato nella
dimensione unica della tecnologia, ama come i suoi predecessori,
almeno dalla rivoluzione del neolitico in avanti, sentire raccontare
delle storie e raccontarne, perchè questo è ancora il modo più
efficace per sentirsi parte di un mondo articolato e significante. E
in questo nulla è cambiato dai tempi di Omero.