Come cogliere la
totalità di cui facciamo parte, l'immagine del mondo, la
manifestazione stessa del nostro essere: una genealogia visionaria
che parte dai platonici d'Oriente per arrivare a Walter Benjamin.*
Raffaele K. Salinari
L'angelo dell'anima,
la trama del vivente
«Chi se io gridassi mi
udirebbe mai dalle schiere degli angeli?… Ogni angelo è tremendo»;
così canta Rilke nell’aprire le sue Elegie Duinesi. Ma forse
esistono altri tipi di angeli, meno distanti e terribili di quelli
invocati dal poeta. Nella chiesa di San Martino in Bologna, ad
esempio, è visibile una tela di Francesco Brizzi: è un’immagine
degli Angeli Custodi che li ritrae sorridenti e bellissimi accanto ad
alcuni bambini che giocano, come nel quadro di Antonio Giovanni Galli
detto Lo Spadarino, della scuola di Caravaggio. Osservando questi
dipinti si rimane colpiti dalle fattezze dei bambini e dei loro
Angeli: sono identiche; gli stessi tratti nei volti dei bimbi si
ritrovano in quelli della loro Daēnā.
L’Angelo dell’anima
Chi è la Daēnā? È
l’«Angelo dell’Anima»; così Henry Corbin ne introduce la
figura nel suo famoso saggio sul misticismo iranico Corpo spirituale
e Terra celeste.
«Alla domanda dell’anima
stupefatta che chiede ma chi sei? alla fanciulla che avanza
all’ingresso del Ponte Chinvat e la cui bellezza risplende più di
ogni altra bellezza mai intravista nel mondo terrestre, essa risponde
sono la tua propria Daēnā – ciò che vuol dire: io sono in
persona la fede che hai professato e quella che te l’ha ispirata,
quella per cui hai garantito e quella che ti ha guidato, quella che
ti ha riconfortato e quella che ora ti giudica, poiché io sono in
persona l’Immagine voluta infine da te stesso. Non è nel potere di
un essere umano distruggere la propria idea celeste, ma è in suo
potere tradirla, separarsene, non avere di fronte a sé, all’ingresso
del Ponte Chinvat, che la caricatura abominevole e demoniaca del suo
io abbandonato a se stesso».
Il Ponte Chinvat è il
luogo di passaggio tra la vita e la morte, il momento in cui ognuno
di noi vede la propria Daēnā e comprende, in un istante di
rivelazione suprema, se andrà verso la luce o le tenebre. Ma ad
ognuno, in ogni momento della vita, è possibile averne una
prefigurazione osservando il riflesso di se stessi rispecchiato nel
volto di un Angelo che tutti ci comprende, del quale siamo solo un
tratto del Volto: l’Angelo del Mondo.
L’Angelo dell’Anima
come personificazione e destino delle nostre stesse opere in vita è
dunque la matrice di quella figura della devozione popolare cristiana
che è l’Angelo Custode, oggi ridotto a semplice guida subalterna a
Potenze superiori, nell’originale precristiano, invece, vera e
propria Potenza egli stesso, come risuona ancora nell’etimologia
greca anghelos: cioè il messaggero che mantiene vivo il dialogo tra
noi e l’insieme delle altre manifestazioni che compongono il Volto
dell’Angelo del Mondo; per questo ogni giorno egli ci sussurra lo
stesso messaggio: «Oggi è il Giorno del Giudizio!».
Forse Wim Wenders ha
umanizzato il suo Angelo Custode e messo le ali alla sua trapezista
proprio perché essi meglio svolgessero questo compito. «L’Immagine
che ho creata è quella che accompagnerà la mia morte e in questa
immagine avrò vissuto» dice l’Angelo fattosi uomo mentre
finalmente accompagna nelle sue acrobazie sulla corda la trapezista
angelicata de Il cielo sopra Berlino. Un pensiero che compendia la
visione di se stesso prima come Angelo e poi come uomo di quello
stesso, Daēnā finalmente attualizzata nel Mondo attraverso l’amore
per la figura che, incrociando il suo cammino, si fa Angelo a sua
volta.
E, curiosamente, chi
coglie questo stesso aspetto è un altro scrittore che tratta
anch’esso di pratiche circensi: «Una solitudine mortale… Ma
l’angelo si fa annunciare, devi riceverlo da solo. Per noi l’Angelo
è la sera, scesa sulla pista sfolgorante. Non importa se,
paradossalmente la tua solitudine è in piena luce e l’oscurità
formata da migliaia di occhi che ti giudicano, che temono e sperano
che tu cada: danzerai al di sopra e al centro di una solitudine
desertica, gli occhi bendati, se puoi, le palpebre sigillate.
Ma nulla – soprattutto
non gli applausi o le risate – ti impedirà di danzare per la tua
immagine. Tu sei un artista – ahimè – non puoi sottrarti alla
voragine spaventosa dei tuoi occhi. Narciso danza? Civetteria,
egoismo, amore di sé; no, si tratta di ben altro. Forse della Morte
stessa… La Morte – la Morte di cui ti parlo – non è quella che
seguirà la tua caduta, ma quella che precede la tua apparizione sul
filo…
Tu entri e sei solo.
Apparentemente, perché egli è là. Egli viene non so da dove, forse
lo portavi tu entrando, o lo evoca la solitudine, è lo stesso. È
per lui che fissi la tua immagine».
Così Jean Genet vede
Abdallah, il suo amante funambolo, nel libro omonimo. Un testo nel
quale l’autore ripercorre, non solo la sua storia d’amore per il
giovane, ma le fasi della sua iniziazione all’arte della corda
anche attraverso la figura del suo Angelo Custode.
E dunque l’immagine
della corda tesa come metafora del Ponte Chinvat attraversa entrambe
le scene.
Ma a che serve, in questa
modernità, rivedere la figura dell’Angelo dell’Anima come
manifestazione del nostro stesso essere nel Mondo? O meglio, come
possiamo utilizzare questa Immagine per cogliere il Mondo nella sua
totalità in atto, come un «chi è» del quale facciamo
intrinsecamente parte?
La filosofia occidentale
è stata la scena di ciò che si può definire un «combattimento per
l’Anima del Mondo». Da una parte troviamo, quali «cavalieri»
difensori di questa anima i Platonici, da Platone stesso a Plotino,
sino a Pico della Mirandola e Jacob Boheme e la sua scuola con tutti
coloro che gli sono affini, premoderni potremo definirli, sino a
Walter Benjamin ed alla sua strenua perorazione dell’apocatastasi
rivoluzionaria. Dall’altra parte i suoi antagonisti: dagli Atomisti
ionici a Descartres, sino agli attuali teorici bioliberisti del
«sorvegliare e punire».
Si tratta di un
combattimento definitivamente perduto avendo perso il Mondo la sua
Anima, di una disfatta le cui conseguenze pesano, senza comprensione,
sulle nostre visioni moderne del Mondo? Forse no se proviamo a
dotarci di strumenti immaginali che possano contrastare la
progressiva perdita di senso del nostro esserci col Mondo e non solo
nel Mondo.
In un libro Sul problema
dell’anima, G.T. Fechner l’autore di Nanna o L’anima delle
piante, racconta come un mattino di primavera, mentre una luce di
trasfigurazione cingeva d’aureola la faccia della Terra, fu colpito
non solo dall’idea estetica, ma dalla visione e dall’evidenza
concreta che «la terra è un Angelo, un Angelo così sontuosamente
reale, così simile ad un fiore!». Ma, aggiunge malinconicamente,
un’esperienza come questa passa ai nostri giorni per immaginaria.
Questa perspicua percezione presuppone invece il perfetto esercizio
di quella facoltà di cui Fechner precisamente lamenta la
degradazione ed il rifiuto.
Il fatto che l’esperienza
dell’Angelo della Terra possa essere confinata nell’irreale,
significa e rivela che, al contrario, questa maniera di percepire e
di meditare la Terra è legata ad facoltà noetica affatto
particolare che dobbiamo riscoprire, per valorizzare i mezzi di
conoscenza di cui ancora, nonostante tutto, disponiamo.
E certamente incontrare
la Terra non come insieme di fatti fisici, ma nella persona del suo
Angelo, questo è un accadimento essenzialmente psichico che non può
«aver luogo» né nel mondo della «illusione», né sul piano dei
semplici dati sensibili.
E allora dov’è questo
«luogo» mentale in cui il Mondo può essere visto come un Angelo, e
noi come parte di esso? E ancora, qual è la particolare facoltà
noetica che ci consente di coglierlo? La percezione dell’Angelo
della Terra si compirà nel nostro Mundus Imaginalis, attraverso la
pratica dell’Imaginatio Vera.
Mundus Imaginalis
Ecco, allora, che Corbin
definisce, nel capitolo introduttivo di Corpo spirituale e Terra
celeste, il Mundus Imaginalis come il «luogo» in cui avviene la
percezione del «Mondo come Angelo».
La chiave interpretativa
di questo mondo spirituale come matrice di una visione perspicua
delle connessioni che attraversano il mondo fenomenico si ritrova
nella posizione di coloro che vengono chiamati i «Platonici di
Persia»: gli Ishrāqīyūn del ceppo spirituale di Sohravardī (XII
secolo).
L’espressione Mundus
Imaginalis è l’equivalente latino dell’arabo ‘ālam al-mithāl,
al‘ālam al-mithālī, in italiano «Mondo Immaginale»,
termine-chiave, poiché i termini latini hanno il vantaggio di
fissare le tematiche, preservandole da traduzioni aleatorie. E qui
che agisce la nostra Imaginatio Vera, quella facoltà cognitiva –
Nous Poietikos o Intellectus Agens, in arabo al-‘aql al-fa’āl –
di cui parla anche Aristotele: la capacità dell’intelletto non
solo di cogliere le essenze che accomunano degli oggetti, ma di
attualizzarle, dando forma così alla realtà sui generis che forma
la nostra Geografia Immaginale.
«Da molto tempo la
filosofia occidentale, quella ‘ufficiale’ trascinata nella scia
delle scienze positive, ammette soltanto due fonti del conoscere. Vi
è la percezione sensibile, che fornisce i dati chiamati empirici. E
vi sono i concetti dell’intelletto, il mondo delle leggi che
regolano tali dati empirici. Per essa era pacifico che
l’Immaginazione emette solo dell’immaginario, vale a dire
dell’irreale, della finzione, ecc. A questa stregua non resta
speranza alcuna di ritrovare la realtà sui generis di un mondo
soprasensibile, che non è il mondo empirico dei sensi né il mondo
astratto dell’intelletto».
Nel recuperare le
intenzioni costitutive di questo intento per cui la Terra è
figurata, meditata, e incontrata nella persona del suo Angelo, si
scopre così che si tratta non tanto di rispondere a interrogativi
concernenti la posizione spaziale delle forme, «che cosa è?,
dov’è?», quanto di empatizzare con delle sostanze, dei «chi è?»,
per trovare come ci corrispondono.
Basti solo pensare alla
definizione di Bene Comune che scaturisce da questa visione per
comprenderne la portata: Bene Comune significa qui non che la «cosa
in sé» è a disposizione di noi tutti, ma che siamo noi tutti ad
avere qualcosa in comune con essa, che siamo parti comuni allo stesso
Bene, forme diverse della stessa sostanza.
E questa comunanza, come
dice il Talmud di Gerusalemme, implica delle responsabilità: «Un
giorno renderai conto di tutto ciò che il tuo occhio ha visto e da
cui non hai tratto beneficio e piacere».
Dove gli Angeli esitano
La pratica
dell’Immaginazione Vera è la stessa che troviamo espressa da Jung
nel Fiore d’oro, quando introduce il concetto di «disciplina»
immaginale» in relazione all’osservazione dei mandala; è lo
«sguardo dell’anima» di cui parla Platone nel Sofista (254-B),
cioè la volontà di vedere il numinoso che attraversa e sostiene
tutte le cose, noi stessi inclusi.
E di questa «disciplina»
parla anche Gregory Bateson, nel suo tentativo di creare una nuova
epistemologia per svelare la «struttura che connette» il vivente;
egli propone l’identità essenziale tra tutte le manifestazioni del
Mondo come definizione stessa di ecologia: «Ciò che noi crediamo di
essere, dovrebbe essere compatibile con ciò che crediamo del Mondo
intorno a noi».
Nel suo ultimo libro, che
non a caso si chiama Dove gli Angeli esitano, egli dedica la sua
estrema riflessione alla ricerca di questo «intermondo», cercando
il Volto dell’Angelo nell’evenienza di una «trama che connette»
tutto il vivente attraverso livelli sempre più analogicamente
complessi di comunicazione, che egli definisce come mente, intendendo
con questo ogni sistema capace di scambiare informazioni tra
manifestazioni vitali, qualunque ne sia il livello di sensibilità o
autoconsapevolezza. Una posizione decisamente anticartesiana che
ribalta la distinzione fondamentale del «moderno» tra res extensa e
res cogitans attribuendo ad ogni aggregato materiale una qualche
forma di entità.
In altre parole le
risposte che cerchiamo non sono solo dentro di noi ma giacciono
nell’intelligenza collettiva formata da tutte le manifestazioni
viventi; il Mundus Imaginalis serve come luogo di connessione con
queste Immagini del Mondo in atto che divengono così la guida per il
nostro esserci.
Bateson parla spesso
della responsabilità dei «costruttori di miti collettivi», tra cui
i poeti e gli scienziati, che dovranno lavorare sempre più insieme
per far emergere, alla consapevolezza dell’umanità, non solo i
luoghi dove «si incontrano il mentale ed il materiale», ma anche
che esistono modalità di sensibilità, e vitalità, diverse da
quella umana, ma concorrenti a formare i tratti del Volto dell’Angelo
del Mondo.
Ma, come già
sottolineato da Jung, tutte le operazioni efficaci, inclusa la
pratica dell’Immaginale, fanno correre rischi; Corbin ammonisce su
come sia possibile scivolare facilmente verso un suo utilizzo
distorto, apolitico, sganciato dalle condizioni fattuali di chi abita
il Mondo; potremmo dire new age. L’immaginario può essere innocuo
l’Immaginale non lo è mai.
Lo storico dell’arte
Didi-Huberman, da parte sua, coglie questa opportunità sottolineando
come per portare alla luce una funzione così cruciale – così
antropologicamente formatrice – delle Immagini che connettono,
occorre aprire gli occhi su tutto ciò che avviene, secondo il
concetto benjaminiano dello «storico straccivendolo» che guarda la
realtà anche con gli occhi sbarrati e rivolti all’indietro
dell’Angelo della Storia. Ma occorre anche chiudere gli occhi per
lasciar venire a noi i blocchi di relazioni, le condensazioni, gli
spostamenti, le analogie inosservabili a occhio nudo.
Se è vero che Aby
Warburg, prima di Benjamin, col suo progetto Mnemosyne chiede alla
storia delle immagini di assumersi il «compito di interpretare i
sogni» (die Aufgabe der Traumdeutung) allora si deve accettare che
l’interprete diventi parte ricevente: così, in una sorta di
«principio di indeterminazione» di Heisenberg immaginale, in cui
l’osservatore diviene il fenomeno osservato, il cerchio si chiude.
Alla fine di questa
genealogia visionaria che parte dai platonici di Oriente per arrivare
a Benjamin, il Volto della Daēnā, di volta in volta Angelo
dell’Anima, Angelo Custode, o Angelo della Storia, risulta essere
la figura paradigmatica del nostro stesso volto, la cui
intelligibilità empatica ci conduce alla visione dell’Angelo del
Mondo; alla visione del Mondo come angelofania.
Questa Mappa Mundi
formata dalla nostra Geografia Immaginale è dunque il «luogo degli
avvenimenti dell’anima»; senza, essi non hanno più un luogo: cioè
«non hanno più luogo».E tra gli «avvenimenti dell’anima», ci
dice il nostro Angelo Custode, ci siamo anche noi, poiché nulla di
meno del nostro «luogo» nell’esistenza, il suo senso stesso, è
anima.
Il Manifesto Alias – 3 maggio 2014
* Le immagini sono tratte
dal film Il cielo sopra Berlino