E' da poco
disponibile “Umberto Marzocchi”, un'accurata ricostruzione dei
settant'anni di militanza rivoluzionaria del più importante
esponente dell'anarchismo italiano della seconda metà del Novecento.
Il volume è solo l'ultimo tassello di un più generale lavoro di
ricostruzione della storia politica e sociale savonese nel secolo
scorso svolto con grande impegno dall'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età
Contemporanea (ISREC). Un libro importante, da cui riprendiamo larga
parte del contributo di Giacomo Checcucci, giovane e promettente
ricercatore e saggista savonese.
Giacomo Checcucci
Umberto Marzocchi e
il Sessantotto
Umberto Marzocchi è
stato senza dubbio un protagonista della storia del movimento
anarchico italiano, sia durante gli anni tragici della dittatura e
della guerra, sia nei primi mesi, non meno facili, della democrazia.
Il suo ruolo sarà ancora più centrale nella ripartenza del
movimento, dalla fine del periodo di clandestinità al giro di boa
del ‘68.
Gli anarchici,
scarcerati per ultimi dai campi di prigionia fascista, anche in
regime democratico subiscono atti repressivi non molto dissimili da
quelli patiti sotto il dispotismo mussoliniano. Nonostante questo,
con gli anni, l’attività della principale organizzazione anarchica
Fai, Federazione Anarchica Italiana, e successivamente del sindacato
libertario Usi, Unione Sindacale Italiana, riprende vigore e
regolarità, rimanendo però, rispetto ai fasti dell’epoca
pre-fascista, una realtà minoritaria. Il Maggio francese rovescia
questa situazione e ripropone alla ribalta della scena politica e del
dibattito culturale l’afflato anarcoide in senso lato e anarchico
in senso stretto.
Il ’68 infatti non è
solo quello dell’attacco al modello occidentale ma anche quello
della Primavera di Praga, del dissenso verso la politica dell’URSS.
“L’immaginazione al potere” viene quindi coniugata ad una lotta
antiautoritaria indirizzata sia verso il modello americano ed europeo
sia verso quello sovietico e dei paesi satellite. Inoltre la quasi
totalità delle battaglie degli anni ‘60/’70 è di matrice
libertaria: la condanna della sanguinaria guerra in Vietnam e la
critica all’esercito, la lotta per la laicità e le accuse di
oscurantismo alla Chiesa Cattolica e alla famiglia tradizionale, la
difesa dei diritti delle donne e la richiesta dell’istituto del
divorzio. E ancora l’attacco al concetto di patria e di partito.
Visto il terreno
comune, l’atto d’accusa a 360 gradi lanciato dal ‘68 verso ogni
forma di potere, soprattutto se dispotica, avrebbe dovuto trovare
nell’anarchismo classico il primo punto di riferimento e il
naturale interlocutore. Il dialogo tra i “giovani” contestatori,
volenterosi ma talvolta impreparati, e i “vecchi” anarchici,
consapevoli ma talora rigidi, non è stato tuttavia dei più facili.
Si attua uno scontro generazionale non tanto dissimile da quello
vissuto nel resto della società, dalla casa alla scuola.
Non è però solo una
questione anagrafica: la frattura riguarda il linguaggio e le idee.
Si pensi soltanto alla diversità tra i possibili frequentatori di
una sede anarchica degli anni ’60 e le nascenti comunità hippy
dello stesso periodo, intrise, più che di rigorose letture
politiche, di cultura psichedelica, musica rock, e poesia beat.
E' in questa chiave che
vanno valutati i fatti e le parole del Congresso Internazionale del
1968. L’evento si tiene al Teatro degli Animosi di Carrara, tra il
31 agosto e il 3 settembre del 1968, a dieci anni esatti dal
precedente incontro avvenuto a Londra nel 1958. E’ considerato da
alcuni il congresso più importante della storia del movimento
anarchico perché vede la fondazione dell'Internazionale delle
Federazioni Anarchiche (IFA, di cui Marzocchi sarà segretario dal
1971 al 1984), un tentativo di coordinare le organizzazioni
anarchiche di tutto il mondo.
Tuttavia il Congresso
del '68 non rappresenta soltanto un fondamentale evento interno al
movimento: è anche uno dei primi episodi pubblici in cui gli
anarchici “con i capelli bianchi” si sono potuti confrontare in
modo sistematico con la generazione di beatnik, hippy e provos,
insomma con i cosiddetti “capelloni”. L’anello di congiunzione
tra le due culture è svolto dalla FAGI, la Federazione Anarchica
Giovanile Italiana, mentre è quasi totalmente mancante il trait
d’union della generazione dei “quarantenni”, numericamente
troppo esigua.
All'evento sono
presenti 34 delegazioni provenienti da tutto il mondo e intervengo
militanti di ogni organizzazione, tra cui Umberto Marzocchi e Alfonso
Failla (Italia), Guy Malouvier e Maurice Joyeux (Francia),
Jean-Jacques Lebel (Svizzera), Domingo Rojas (Messico), Gerorges
Balkanski (Bulgaria), Masamichi Osawa (Giappone), Michel Cavallier e
Federica Montseny (Spagna). Ma è la partecipazione dei reduci delle
barricate parigine a favorire la massiccia presenza di giornalisti e
fotografi, per la prima volta invitati a documentare l’assemblea.
(…) Oltre ai giornalisti televisivi e della carta stampata
partecipano all’assise intellettuali di caratura internazionale
come Italo Calvino e alcuni membri del Gruppo 63, tra cui Elio
Pagliarani e Nanni Balestrini. (...)
E' in questo contesto
generale che Cohn-Bendit si reca al Congresso nel giorno del debutto
dei lavori. Daniel Marc Cohn-Bendit è un esponente di spicco del
maggio francese e guida del “Movimento del 22 marzo", gruppo
politico nato durante l’occupazione dell’Università di Nanterre
e dirottato successivamente alla Sorbona di Parigi in tumulto. E’
nei suoi primi passi in politica vicino a posizioni anarco-comuniste:
cerca una commistione tra marxismo e anarchismo, evidenziando i punti
di contatto tra le due correnti e accantonandone le distanze.
Il leader studentesco e
i suoi compagni giungono quindi a Carrara con l’obiettivo di
contestare la vecchia guardia e criticare una posizione ritenuta
statica, stantia e settaria. In sala tra i suoi sostenitori è
presente anche Pietro Valpreda, il ballerino animatore del romano
“Circolo anarchico 22 marzo”, nome ispirato proprio al gruppo
francese. Gli anarchici debbono, secondo Cohn-Bendit, far cadere la
pregiudiziale antimarxista e collaborare fattivamente con il resto
del movimento operaio e studentesco contro l’imperialismo americano
e il capitalismo internazionale. (...)
Il primo vero e proprio
intervento del congresso è il discorso di apertura di Marzocchi, che
dando inizio ai lavori e spiegando l’importanza della federazione
internazionale dei gruppi libertari, sostiene che gli anarchici
debbano battersi per un socialismo nella libertà, l’esatto
contrario della forma di governo di Russia, Cina e Cuba.
Cohn-Bendit e Alfonso Failla
La replica dei “nuovi
anarchici” non si fa attendere: poco dopo infatti prende la parola
Jean-Jacques Lebel, della delegazione svizzera e dell’entourage di
Cohn-Bendit. Lebel, assimilando l’imperialismo comunista a quello
capitalista, propone che gli anarchici debbano assegnare il primato
all’azione rivoluzionaria e non alla propaganda. In quest’ottica
il congresso stesso sarebbe un’espressione centralista di un
anarchismo che istituzionalizzandosi tradisce se stesso. Si imputa
quindi alla vecchia generazione di organizzare eventi “borghesi”:
secondo i giovani prefiggendosi di mutare le coscienze prima di
passare ai fatti, si consacra l’anarchismo ad un gradualismo
sterile. La critica principale è quindi al burocratismo delle
strutture libertarie, assimilate ai partiti, e giudicate prive di
vero spontaneismo.
Non appena prende il
microfono il delegato messicano, Domingo Rojas, intervenuto per
rendere onore all’organizzazione libertaria cubana, Cohn-Bendit e
gli altri ragazzi francesi impediscono il suo intervento, inneggiando
rumorosamente a Castro e accusando il relatore di essere affiliato
alla CIA. (…) In questo scontro uno dei più accesi avversari del
contestatore d’oltralpe è l’anarchico Alfonso Failla, storica
colonna della FAI, che nel suo intervento difende la reputazione del
movimento cubano e ricorda tutti i soprusi subiti dagli anarchici sia
per mano fascista che per mano comunista. La sua contrarietà non è
indirizzata solo all’idea di un frontismo tra anarchici e marxisti
ma anche ai modi di Cohn-Bendit, di fatto considerati autoritari
oltre che inopportuni.
La polemica non si
placa a causa del successivo contributo del delegato della
federazione francese, Maurice Joyeux, che, nel rendicontare i fatti
del “maggio parigino”, suscita nuovamente le contestazioni di
Cohn-Bendit e dei suoi seguaci. Nonostante le grida, gli insulti e
qualche botta viene data la possibilità al giovane rivoluzionario di
effettuare un intervento dal palco. Non essendo membro di nessuna
federazione, per poter prendere la parola, si giova di una delega
offerta dall’organizzazione inglese: dagli schiamazzi si passa alle
proposte e le posizioni sono da subito molto chiare e distinte.
Per Cohn-Bendit e i
suoi se il dilemma tra marxismo e anarchismo non sussiste, è
centrale invece l’antinomia tra rivoluzione e rinuncia alla stessa.
L’azione diretta deve prendere il posto dell’analisi teorica che
riduce il movimento all’immobilismo. L’oggetto principale della
critica è, come per Lebel, il carattere burocratico e centralista
dello stesso congresso, organizzato da forze anarchiche ritenute
borghesi e rinunciatarie.
La difesa di Cuba,
lanciata veementemente per slogan, lascia in verità il posto ad una
critica del bolscevismo, posta però in secondo piano rispetto alla
condanna senza appello alle democrazie occidentali. Al contrario per
Marzocchi, e con lui per gran parte degli altri presenti, persiste
sempre il pari e contemporaneo rifiuto della dittatura del capitale e
di quella del proletariato, come valore non negoziabile.
Non si tratta quindi di
una dialettica tra violenti e non violenti, tra extraparlamentari e
legalitari, ma, semmai, tra due modi di intendere il pensiero
libertario e la prassi rivoluzionaria. Tra due strategie differenti:
quella dei giovani animata dal primato dell’azione e dall’unità
rivoluzionaria e quella degli anziani mossa dalla priorità della
maturazione di una coscienza sociale, frutto di studio e
approfondimento. I ragazzi vicini al “Movimento 22 marzo”
giudicano gli anarchici colpevoli di una deriva “socialdemocratica”,
in una complessiva abiura del concetto di rivolta. La vecchia
guardia, a sua volta, considera la nuova generazione vittima di un
confusionario pasticcio para-marxista. (…)
Subissato da fischi di
disapprovazione e accuse di varia natura da parte dell’ala più
tradizionalista della platea, Cohn-Bendit abbandona la sala,
accompagnato alla porta dal servizio d’ordine della Federazione,
composto da granitici cavatori di marmo carrarini del gruppo
Germinal. (…) Una parte delle stesse delegazioni giovanili delle
federazioni anarchiche estere ed italiana lasciano il teatro e
seguono i “ribelli”: con esse le “Leghe operai-studenti”, il
gruppo “Noir et Rouge”, la “Federazione iberica della gioventù
libertaria” e naturalmente il “Movimento 22 marzo”.
Grazie a questo
consenso, sebbene minoritario, dà vita, poco più tardi, ad un
congresso alternativo a Marina di Carrara, dove il suo entourage
viene raggiunto da una grande quantità di giovani di ogni
orientamento politico: tra tende e sacchi a pelo fa capolino anche il
giovane ferroviere Pino Pinelli.(…) In tutto questo marasma
emergono due fattori principali. Da una parte la pacata e saggia
posizione conciliatrice di Marzocchi, che tenta invano ma con
determinazione, di non portare alla frattura definitiva il forte
scontro tra le due fazioni. Dall’altra la poco nota presenza
all’interno del movimento anarchico di correnti di pensiero che
storicamente hanno giudicato il modello comunista o quello
capitalista come “mali minori”, ai quali, se non aderire,
guardare con più simpatia. (...)
Umberto Marzocchi
Umberto Marzocchi,
malatestiano doc, ha svolto il ruolo di figura mediana non solo nei
numerosi episodi puntuali di scontro dialettico e fisico come quello
di Carrara del ‘68 ma anche nel dibattito puramente intellettuale:
tra USA e URSS, tra PCI e DC, tra socialismo autoritario e
autoritarismo capitalista non può considerare nessuno Stato, partito
o sistema economico e sociale come “meno peggio”.
L’aspirazione ad una
società giusta e libera è, in Marzocchi, un anelito simultaneo e
parallelo, per il cui raggiungimento non può sacrificare nessun
valore fondante della sua visione politica. Marzocchi è stato quindi
il custode dell’autonomia libertaria e per certi versi
dell’ortodossia anarchica. Ma, allo stesso tempo, ha rappresentato
la figura più includente e meno settaria del movimento, sempre
pronto al confronto e al dibattito con esponenti delle più diverse
correnti ideologiche.