TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 9 settembre 2018

Giuliano Galletta, II ponte e il porto




Abbiamo aspettato per parlare del crollo del ponte che si placasse l'ondata emotiva e massmediatica. Iniziamo a parlarne oggi con questo intervento di Giuliano Galletta, artista, critico d'arte, storico, ma soprattutto attento e libero osservatore delle trasformazioni in atto. Leggendolo abbiamo pensato che pari pari il discorso valga anche per la Piattaforma Maersk, la discussa struttura in via di costruzione che modificherà in modo irreversibile gli assetti della rada e del territorio di Vado. Ci auguriamo di sbagliare, ma non ci pare di notare negli amministratori vadesi più lungimiranza di quelli di Genova.


Giuliano Galletta

Il ponte e il porto

Molti commentatori hanno osservato che il crollo di Ponte Morandi potrebbe diventare l'occasione per ripensare il futuro di Genova. Ma era necessario sacrificare 43 vite per ripensare il futuro della nostra città? Non credo. In realtà la catastrofe del 14 agosto ha evidenziato in modo tragico proprio l'assenza di tale progettualità. Ipotizziamo, ad esempio, che la società autostrade fosse intervenuta in tempo chiudendo il ponte per restaurarlo o ricostruirlo; i problemi a cui ci saremmo trovati di fronte sarebbero stati esattamente gli stessi di oggi. Nessuno ha mai pensato a un piano B, che prevedesse un'eventualità del genere. Non dico il crollo, ma la semplice chiusura, un'eventualità che veniva considerata probabile se non inevitabile. Tutti sapevano benissimo che una “metropoli” come Genova, il porto più importante d'Italia, era in balia di quel chilometro di calcestruzzo.

Dov'era la classe dirigente, dov'erano i governi, i ministri e i parlamentari ligur, le amministrazioni locali, le organizzazioni imprenditoriali, i sindacati? Per guardare al futuro bisogna sempre analizzare con molta attenzione il passato, altrimenti con l'alibi dell'emergenza, si rischia di perseverare negli stessi errori.

Non sto parlando qui di responsabilità penali o morali, che tutti ci auguriamo vengano chiarite al più presto, ma di responsabilità politiche, dell'assenza di un'idea di città che vada oltre la routine, della sudditanza a interessi particolari, quasi sempre miopi se non irresponsabili. In questo senso la questione cruciale resta (dis)connessione fra porto e città.

Al netto delle inadempienze di manutenzione e di controllo, fra le ragioni dell'usura del ponte c’è, nessuno lo mette in dubbio, l'aumento incontrollato dei tir, carichi o scarichi, e dei container, pieni o vuoti, un peso quasi insostenibile sulle spalle, non solo del Ponte Morandi, ma dell’intera città, degli abitanti, dei lavoratori, trasportatori e portuali, che troppo spesso sull'altare di quegli affari hanno perso la vita.

In questi giorni si è molto parlato di concessioni, a proposito di società autostrade, ma nessuno, mi pare, ha segnalato che anche le banchine del porto sono un bene pubblico dato in gestione ai privati. Sono questi privati a controllare i movimenti delle merci e dovrebbe essere lo Stato, in questo caso l'Autorità portuale, a garantire che il business non sovrasti l'interesse pubblico, non divori la città.

Se non si scioglie questa contraddizione, ma prima è necessario prenderne atto e non occultarla, è difficile pensare a un qualsiasi futuro. il porto è una fonte di ricchezza fondamentale per Genova, come ci viene spesso ripetuto, ma bisognerà finalmente capire e far capire a questa città, aldilà degli slogan e delle dichiarazioni di intenti, di che tipo di ricchezza stiamo parlando e del vero rapporto costi/benefici.

Gli esperti di logistica ci hanno, infatti, da tempo e in modo chiaro, spiegato come negli ultimi vent’anni a Genova, con il passaggio dal porto-emporio al porto industriale, siano aumentati produttività e profitti, ma non si sia incrementata allo stesso modo la ricchezza per la città e l’occupazione. Sono invece cresciuti in modo esponenziale le “servitù”: traffico pesante, incidenti sul lavoro e stradali, inquinamento.

Nella tragedia del ponte si contano 43 vittime, la cui unica colpa e stata quella di fidarsi di Genova; ritengo che la citta abbia il dovere di domandarsi perché e in che modo ha tradito questa fiducia. Fare finta di nulla o scaricare su altri le proprie responsabilità sarebbe una storico errore. Senza verità e consapevolezza collettiva i giusti appelli all’unità di azione non hanno significato.

Il Secolo XIX – 9 settembre 2018