TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 4 maggio 2021

L'angolo di Bastian Contrario: Se Bordiga assomiglia a Pol Pot...

 


Giorgio Amico

Se Bordiga assomiglia a Pol Pot che speranza c'è di una società di liberi e eguali?


Un amico ha postato su Fb una pagina in cui Primo Levi riflette sul concetto di totalitarismo in rapporto alla situazione concreta del lager. Proprio la sera prima avevo letto, devo dire con sgomento, un lungo saggio del 1958 di Amadeo Bordiga in cui si esplicitava come essenza del comunismo fosse “l'annullamento della persona singola come soggetto economico, titolare di diritti ed attore della storia umana”. Si, avete letto bene, Bordiga scrive proprio così: il comunismo è l'annullamento di tutto quello che rende un uomo un uomo e non il semplice componente di una specie. E questo spiega perché ho parlato di sgomento. Ma avrei potuto dire anche orrore, perché questo scritto è del 1958 e dunque quando ben conosciuto era “l'annullamento” di milioni di “persone singole” da parte dei totalitarismi nazista e staliniano. Ma questo non turbava Bordiga che anzi, proprio all'inizio del suo scritto, esalta lo sterminio per fame dei contadini russi, quella carestia di ‘Povolzhye” che fra la fine del 1921 e il 1922 fece 5 milioni di morti. Scrive Bordiga:

«Di questo passo di Lenin raccogliamo la nozione del sottoconsumo. Molte epoche hanno presentato questo fenomeno, a cui ha reagito la decimazione della popolazione. L'epoca capitalista mostra di aborrirne, ed insegue il mito della sovrapproduzione, per cui le occorre sovraconsumo e sovrappopolazione. È ora di liberarci da un altro complesso imitativo della forma borghese: la rivoluzione proletaria non può esitare a traversare, se necessario per travolgere il capitalismo, una epoca di sottoconsumo. La rivoluzione di Lenin or sono quarant'anni insegnò che non bisognava esitare; ma il traguardo doveva essere la vittoria del sistema socialista; e non di quello capitalista. Resta tuttavia un grande insegnamento per il proletariato e il suo partito: la dittatura rivoluzionaria avrà il carattere di una dittatura sui consumi, sola via per disintossicare i servi del Capitale moderno, e liberarli dalla stimmate di classe che esso ha loro stampata nelle carni e nella mente.»

Dunque, in nome del comunismo vittorioso e della rieducazione della popolazione ai nuovi valori vigenti, anche la carestia, pudicamente definita “sottoconsumo”, può essere un utile strumento di governo. Pol Pot non avrebbe potuto meglio esprimere la sua identica visione del comunismo.

Marx, ne sono assolutamente certo, sarebbe inorridito scoprendo cosa veniva teorizzato (e purtroppo anche compiuto) in suo nome. Proprio lui che, leggendo la stampa dei socialisti francesi che pure erano lontani anni luce da queste aberrazioni, ci tenne a precisare che, avendo scoperto che alcuni in Francia si dichiarano marxisti, lui non era né tanto meno era mai stato “marxista”.

Di qui la risposta, con qualche aggiustamento formale, al post del mio amico.

«Si riproduceva così, all'interno del Lager, in scala più piccola ma con caratteristiche amplificate, la struttura gerarchica dello Stato totalitario, in cui tutto il potere viene investito dall'alto, ed in cui un controllo dal basso è quasi impossibile. Ma questo "quasi" è importante : non è mai esistito uno Stato che fosse realmente "totalitario" sotto questo aspetto. Una qualche forma di retroazione, un correttivo all'arbitrio totale, non è mai mancato, neppure nel Terzo Reich ne' nell'Unione Sovietica di Stalin : nell'uno e nell'altra hanno fatto da freno, in maggiore o minor misura, l'opinione pubblica, la magistratura, la stampa estera, le chiese, il sentimento di umanità e giustizia che dieci o vent'anni di tirannide non bastano a sradicare. Solo entro il Lager il controllo dal basso era nullo, ed il potere dei piccoli satrapi era assoluto. È comprensibile come un potere di tale ampiezza attirasse con prepotenza quel tipo umano che di potere è avido : come vi aspirassero anche degli individui dagli istinti moderati, attratti dai molti vantaggi materiali della carica e come questi ultimi venissero fatalmente intossicati dal potere di cui disponevano.» (Primo Levi, I Sommersi e i Salvati)

Grazie, A., il tuo post mi ha fatto riflettere su come ci si possa ancora definire comunisti oggi dopo l'orrore del gulag russo, cinese, cambogiano, coreano. Il brano che proponi è fondamentale per capire le logiche del potere totalitario. Ma come è potuto accadere? Quale pensiero sta dietro a queste aberrazioni, quale visione dell'uomo e della storia le giustifica? Non possiamo ridurre tutto alla follia razzista hitleriana. sarebbe rassicurante, ma non è così. Nell'ultimo numero di Programma comunista, giornale storico dei bordighisti, viene citato come fondamentale per la comprensione di cosa è il vero programma comunista, uno scritto di Bordiga del 1958. Me lo sono andato a cercare e ieri sera l'ho finalmente letto. La tesi sostenuta è questa "Contenuto originale del programma comunista è l'annullamento della persona singola come soggetto economico [ e fin qui ci possiamo stare], titolare di diritti ed attore della storia umana". E qui non ci stiamo più. Bordiga per venti pagine spiega che l'individuo (per lui un concetto borghese) deve essere annullato come essere pensante, protagonista di scelte autonome, portatore di diritti. Conta solo la specie, perché la "personalità individuale" è una "vuota fantasima". La persona singola va eliminata dalla storia, non ha alcun ruolo, perché contano solo le leggi economiche. La storia, dunque, si fa da sola, con il movimento di masse amorfe e inconsapevoli guidate da una entità superiore, il partito rivoluzionario detentore della coscienza di classe. La rivoluzione, scrive Bordiga, ha bisogno delle "mani armate" degli operai, non della loro intelligenza. La mente è il partito.

Ma se “l'autentico” comunismo è questo, allora la differenza fra Stalin, Pol Pot e Bordiga sta solo nel disporre o meno del potere materiale (l'apparato dello Stato) per costruire questo comunismo da formicaio. Non a caso Bordiga spesso evoca la dittatura spietata che il partito eserciterà una volta preso il potere. Anzi possiamo aggiungere che Stalin, che pure esercitò la violenza su scala di massa contro il suo popolo e il suo stesso partito, non arrivò mai a teorizzare con tanta brutale chiarezza che il proletariato non era che una massa amorfa da utilizzare per la presa violenta prima e la gestione dispotica poi del potere da parte di una élite. Ma la liberazione della classe operaia dallo sfruttamento del capitale non doveva essere opera della classe operaia stessa? Ma il proletariato non doveva, emancipando se stesso, emancipare l'intera umanità?

Leggere queste righe di Levi a poche ore lettura del testo di Bordiga, mi ha confermato che, forzature politiche a parte, la tesi della coincidenza dei due totalitarismi non è poi così campata in aria. Le tesi di Bordiga portano direttamente alla situazione descritta da Levi, dove chi è in basso è un numero, una cosa. Marx parlava di emancipazione e piena realizzazione dell'uomo, non di riduzione dell'uomo a un essere privo di personalità individuale, a un numero tatuato su un braccio o stampato su una tuta da lavoro. Il marxismo è un umanesimo, Gramsci e la Luxemburg lo hanno sostenuto fino alla fine e da qui le accuse di idealismo e democraticismo dei presunti "ortodossi". Se il comunismo novecentesco, realizzato da Stalin e dai suoi epigoni ma anche teorizzato da chi pure come Bordiga si contrapponeva allo stalinismo, è un salto indietro rispetto alle stesse libertà borghesi, allora va respinto proprio in nome di un ritorno al marxismo libertario del giovane Marx dei Manoscritti, innamorato della sua Jenny e dell'umanità. Per lui il comunismo era l'idea di una libertà piena non più condizionata dal denaro e di una vita finalmente umana, non una casa dei morti gestita da un potere impersonale e tirannico, il partito Messia depositario della verità e dunque al di là del bene e del male, che poi nel concreto diventa, come spiega bene Levi, il capriccio personale di "piccoli satrapi" onnipotenti.